Non portate fumetti ai vostri bambini

C’era una volta un cretino. Un giorno si alzò, e si disse che i fumetti erano, e dovevano essere, cose per bambini. Sarà entrato più volte, con indosso una maglietta larga da pseudocolto, in una fumetteria. Guardando gli scaffali, deve aver visto righe e colonne di grandi occhi giapponesi, divise scolastiche troppo corte, luminosi effetti di sentimenti adolescenziali, e portachiavi morbidi al tatto. Sul bancone delle novità può aver trovato un numero di Topolino, recante quattro cifre sul bordo, di cui la prima addirittura il 3. Si tratta della stessa persona che in questo momento è in libreria, piazzato su due piedi davanti allo scaffale dei fumetti, ma di spalle. Aspetta un libraio, davanti a una postazione vuota, per chiedergli qualcosa che abbia delle pagine piene di disegni, una copertina cartonata. Per incartarlo e darlo a sua nipote, che è già in quinta elementare.

Sconsigliamo a questo genere di persone di cimentarsi nella lettura di una qualsiasi opera di Craig Thompson.

Craig Thompson, classe 1975, Wisconsin, cresciuto tra trattori e fieno dorato, ha vinto in pochi anni una fila di premi e riconoscimenti fin troppo lunga da elencare – quattro Harvey Haward, due Eisner Awards, due Ignatz Awards, e un Grammy Awards, che come cifre assomigliano tanto all’ultimo numero di Topolino, disponibile in edicola. La sua opera più nota, Blankets, è stata definita dal Time di New York come «un grande romanzo americano», e compare nella lista delle migliori opere in lingua inglese tra il 1925 e il 2005.

Blankets è quello che, nell’intraducibile termine inglese, viene definito novel. Ha una grossa particolarità, che lo indirizza contemporaneamente su due strade molto diverse. È un graphic novel, un romanzo disegnato. Per questo, è appoggiato nello scaffale dei fumetti, in libreria, insieme a molte saghe di supereroi dai colori metallici. Per questo, per il termine graphic davanti alla parola novel, il suo posto in quella classifica di grandi opere sale tra i primi dieci.
Il tizio che sta ancora aspettando il libraio, e sbircia lo schermo assente del suo computer, non lo comprerà. Né per sé e neanche per la nipote.

I motivi possono essere vari. Tanto per iniziare, i fumetti di Craig Thompson sono davvero pochi, e nelle librerie possiamo trovarne al massimo due, una copia singola di Blankets, e una dell’enorme Habibi, pubblicato dopo lunghi anni di incubazione, nel 2011 (nessuna traccia recentemente pervenuta nelle librerie italiane di Addio, Chunky Rice, 1999, e di Carnet di viaggio, 2004). Nessuno zio in vena di regali poserebbe gli occhi su quest’ultimo, in buona parte perché pesa quanto un tavolo, e ha lo spessore di un avambraccio. È marrone – il marrone non piace alle bambine – e in copertina presenta grandi arabeschi tratti dalla cultura islamica. Per il momento, dunque, lo metteremo da parte. Diversamente, Blankets ha un design più accattivante – né troppo corto né troppo lungo – e in copertina mostra una lunga fila di azzurri alberi bidimensionali, su un morbido sfondo innevato. I due protagonisti, il giovane Craig (Thompson) e Raina si abbracciano come miniature, da un lato, le bocche coperte dalle sciarpe. Fa venire voglia di aprirlo, sollevando una tazza di cioccolata calda. Potrebbe andare.

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Ma aprendolo, ecco, forse come regalo di compleanno, in mezzo ai palloncini e alla panna rimasta sui piattini, potrebbe non essere il massimo. I disegni di Craig Thompson sono scuri, molto scuri. Come se da qualche parte una lampada fosse rotta, e la luce arrivasse solo dalla stanza adiacente. Il nero riempie buona parte della carta stampata. Tratteggia le persone, sottolinea le borse sotto gli occhi e le mascelle, fa fare fughe di prospettive assurde ai pavimenti, rende serpenti i rami degli alberi, e coccodrilli dentati irrompono dalla fantasia dei personaggi in scena, aumentando notevolmente la presenza del tratto spigoloso. Blankets è un’autobiografia, il ritratto e il racconto di un’infanzia e di un’adolescenza, riempite di solitudini e incertezze, oltre che di molto inchiostro nero. Racconta di Craig, della sua famiglia, di suo fratello Phil che gli rubava le coperte e condivideva con lui i disegni. E parla di religione, ma non di presepi. Di campi educativi cristiani, dove la parola Gesù è inflazionata, ma sembra proteggere da un mondo esterno fin troppo prepotente e sconosciuto, come la neve che invade la storia per la maggior parte della sua durata. E di come avvenga lo stereotipo, ovvero che si incontri l’amore, da adolescenti in vacanza. Ma trovarsi una ragazza dentro a un gruppo di protestanti evangelisti, e cercare di seguire con lei il naturale sviluppo del crescere e dell’incontrarsi, può diventare un’esperienza difficile, un’esperienza da dover narrare per poterla capire. L’autobiografia e l’autoritratto convergono, motivano al lettore, ma anche allo stesso autore, le scelte fatte nei periodi più delicati della vita, e quelle più estreme, quelle che possono essere viste solo guardandole da lontano, dentro un disegno.

Habibi, secondo capolavoro, corre sulla stessa tendenza, quella del romanzo di formazione. Ma i presupposti sono diversi, come lo è anche la scelta della base culturale a cui fa riferimento. La penna affilata torna a disegnare molte linee piccole e dirette, che riempiono cieli, deserti, anche i colori della pelle. Ma spesso la punta si allarga, e compaiono grandi forme materne, circolari. Sono le stesse forme del Corano, e dell’Islam, i talismani arabi incorniciano storia e tavole, dando forma a un’ambientazione non del tutto reale, ma neanche del tutto fantastica, collocata in un moderno e antico Medio Oriente inventato. La base di tutto è la parola stessa, che in arabo è disegno, e può venire usata per raccontare e per illustrare allo stesso momento. La storia segue – e viene detta – da Dodola, che incontriamo bambina venduta, e ritroviamo adulta, dopo centinaia di pagine e di fortune contrastanti. Craig Thompson prende una distanza larghissima dal suo mondo naturale, quello dell’America cristiana, e riesce a trasmettere la forza di una donna lontana, che cresce come una persona quando è trattata come un oggetto, la confusione meravigliosa delle città, il rumore delle tempeste nel deserto quando si è da soli lì in mezzo, e la paura dei cambiamenti, anche quando possono portare solo qualcosa di buono. La storia è scandita da brani illustrati del Corano e della tradizione islamica, che danno frasi come moniti, e diventano onde e cornici in mezzo ai quali avviene, quasi in sordina, la vita di Dodola.
A fare presenza, come in Blankets, è soprattutto il nero. Le storie vere hanno sempre chiaroscuri molto forti, non del tutto apprezzabili all’immediato occhio nudo.

È probabilmente lo stesso caso e la stessa fortuna di tanti fumetti, che rimangono a riposare sulle mensole in libreria, spostati da un angolo all’altro nei cambi di stagione. Troppo neri. Sicuramente troppo per dei bambini, i maggiori acquirenti stimati. Molto nere, decisamente nere, sono le pagine di un grande fumettista europeo, David B. (Il grande male, 1996-2003) e dello statunitense Art Spiegelman (Maus, 1973-1991), per non mettere in campo il capolavoro argentino L’Eternauta di Hèctor Oesterheld  e Francisco Solano Lopèz. E molto grigie sono le pagine di Jirō Taniguchi, che nonostante quel che suggerisce il nome, no, non disegna proprio dei manga.

Tornando a quel tizio, che sta ancora lì, in libreria. Ha smesso di aspettare, si è stancato di perdere tempo per consultare una buona opinione. Si è voltato, e ha esaminato i fumetti alla buona, la maggior parte delle copertine plastificate riflettevano la luce, così non ha nemmeno letto i titoli per intero. Ne ha trovato uno largo – da tenere sul palmo della mano aperta – ma sottile, di aspetto leggero e blu notte. Con un sentimento di fiabe nel cuore, lo ha aperto. Nelle prime pagine ha scoperto folletti, principesse e tazze di tè, lunghi mantelli e corone di principi. Alla cassa ha pagato, e ha chiesto un pacchetto. La carta che porta via copre Dolci Tenebre di Vehlmann Fabien e Kerascoët. Non sa che sua nipote, dopo neanche dieci pagine, scoprirà che i folletti escono dall’azzurro cadavere di una bambina in putrefazione. Come non sapeva che nello scaffale dei fumetti, in libreria, possono nascondersi molte sorprese. Alcune bellissime.

Maria Gaia Belli

* Immagini © Craig Thompson: Habibi, Rizzoli Lizard, 2011; Blankets, Rizzoli Lizard, 2010.

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