Orhan Pamuk: Istanbul, anima e magia

Era con grande concentrazione (…) che leggevo romanzi tra i diciotto e i trent’anni. Mentre me ne stavo immobile e incantato in camera mia a Istanbul, ogni romanzo mi offriva un universo ricco di dettagli di vita quanto un’enciclopedia o un museo, pienamente umano quanto la mia stessa esistenza, e zeppo di domande, consolazioni e promesse che per profondità e ampiezza erano paragonabili solo a quelle che si trovano nella filosofia e nella religione. Leggevo in uno stato di trance, dimenticando ogni altra cosa, per acquisire una conoscenza del mondo, per costruire me stesso e modellare la mia anima.

– Romanzieri ingenui e sentimentali

È leggendo e scrivendo che Orhan Pamuk (Istanbul, 1952) con il passare degli anni ha scoperto la  seconda persona nascosta che vive in lui. Al secondo anno di architettura decide di diventare prima un pittore e poi un romanziere. Ha 22 anni a quell’epoca, si chiude in una stanza e dopo quattro anni conclude il suo primo romanzo Il Signor Cevdet e i suoi figli, per metà è un romanzo autobiografico e per metà un saggio su Istanbul, dove è ambientato. Ci vorranno altri quattro anni per la pubblicazione, è il 1982.

Orhan_PamukA Pamuk piace da sempre trasmettere l’idea per la quale la scrittura gli evoca l’uomo che, chiuso in una stanza, si chiude in se stesso, nelle sue parole, gettando così le fondamenta di un nuovo mondo. Scrivere vuol dire tradurre in parole il proprio sguardo interiore, guardarsi dentro e godere della felicità di esplorare pazientemente e ostinatamente un mondo nuovo: i romanzi sono seconde vite. La scrittura è come scavare un pozzo con un ago. La motivazione di uno scrittore consiste nell’esigenza di chiudesi in una stanza piena di libri, come ha fatto Michel de Montaigne.  «Io credo che la letteratura è la mole più preziosa che l’umanità si è data per comprendere se stessa», scrive nell’introduzione di Le Voci di Istanbul. Scritti e interviste, «la letteratura è l’arte di saper parlare della nostra storia come se fosse la storia di altri e della storia di altri come se fosse la nostra. Per raggiungere questo obiettivo, noi cominciamo leggendo le storie e i libri di altri». Scrivere e leggere sono sempre stati per l’autore una via di fuga dal suo mondo, quello della Turchia, quello della sua città di provincia. Diventando scrittore si rende conto di stare per aprire ferite nascoste, scoprendole, conoscerle e infine rivelarle alla luce del sole. Queste ferite si fanno parte viva della scrittura e dell’identità dell’uomo-scrittore. Questa scrittura viene accolta dal resto dell’umanità, perché sono le ferite di altri uomini. «Tutta la vera letteratura poggia sulla fiducia, di un ottimismo infantile, seconda la quale gli uomini si assomigliano. Colui che si chiude per anni in una stanza, si rivolge a questa umanità e ad un mondo privo di centro».

"Istanbul" (2003): volume di memorie, dove ricordi d'infanzia si mescolano alla storia della città

“Istanbul” (2003): volume di memorie, dove ricordi d’infanzia si mescolano alla storia della città

Spesso le storie di sono presentate come vicende d’amore intrecciate a vicende politiche e nello sfondo spesso la sua città natale: Istanbul, animata in modo polifonico: «Il centro del mondo per me è Istanbul. Non solo perché vi ho trascorso quasi tutta la mia vita, ma anche perché dopo trentatré anni ho raccontato le sue strade, i suoi ponti, le sue persone e i suoi cani, le sue case e le sue moschee, le sue fontane, i suoi eroi straordinari, i suoi negozi, i suoi cantucci bui, le sue notti e i suoi giorni, identificandomi in ciascuno di volta in volta». Istanbul e l’opera di Pamuk sono della stessa natura, sono la prova che Est e Ovest riescano a fondersi in un equilibrio o a volte nell’anarchia totale. Nella sua rilettura della storia ottomana e nella capacità di legare le tradizioni orientale e occidentale, Pamuk − e così la sua città − mostra la sua natura metamorfica, trasformando continuamente la propria identità.

A Istanbul, mi è sempre piaciuto più l’inverno che l’estate: ancora oggi rimango a osservare i pomeriggi che arrivano presto, gli alberi senza foglie che tremano nel vento, gli uomini con giacche e cappotti neri, sulle strade semibui, che tornano a casa in fretta, nelle giornate di fine autunno o inizio inverno. Anche i muri dei palazzi antichi e delle vecchie case signorili di legno ormai crollate, che adesso hanno preso il colore speciale di Istanbul, fatto di trascuratezza e desolazione, mi svegliano dentro una dolce tristezza e un desiderio di contemplazione. Le sfumature in bianco e nero delle persone che tornano a casa di corsa nelle giornate invernali, quando il buio arriva presto, mi spingono a pensare che anch’io appartengo  questa città, e condivido qualcosa con la sua gente. Mi sembra che il buio della notte sia davvero in grado di coprire la miseria della vita, delle strade e degli oggetti, mentre respiriamo dentro le case, nelle e nei letti, impegnati con i sogni e le fantasie costruite sulla ricchezza della vecchia Istanbul, avvolta nelle sue leggende ormai smarrite.

– Istanbul: i ricordi e la città

Neve (2002) è un romanzo a sfondo politico ma anche il romanzo emblema della carriera dell’autore. Considerato come la prima opera dichiaratamente politica, si mette in scena il conflitto tra islamismo e occidentalismo nella Turchia moderna. Rispetto ai precedenti lavori, l’ambientazione è la la zona orientale turca e, prendendo spunto dalla cronaca, segue l’inchiesta di un giornalista e poeta alla ricerca delle motivazioni di una serie di suicidi di ragazze adolescenti. In Neve Pamuk raffigura una vita di particolare magia, il suo protagonista – per certi versi l’alter ego dello scrittore -, Ka (kar è neve in turco) si ritrova a Kars, città della provincia anatolica della Turchia dove vivono insieme curdi, georgiani, nazionalisti laici e integralisti religiosi. Qui avvengono dei suicidi di giovani ragazze a cui è fatto divieto di portare il velo. Nella città questi gravosi eventi sembrano ormai quotidiani.

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Il lettore europeo si chiede allora perché queste donne vogliono portare il velo? Ka, kar e Kars sembrano tre microcosmi incentrati sulla stessa idea: lo scontro tra le più frange della cultura europea e di quella islamica. Apparentemente a Kars non è presente l’integralismo islamico ma solo singole persone che abbracciano l’Islam dopo essere state deluse dal sogno europeo. Che l’amara verità sia che l’integralismo islamico, più che essere l’ultima evoluzione di una cultura retrograda, è una modernissima reazione agli ideali europei-occidentali? Non ci sono risposte assolute, e di certo Pamuk non ne offre. Personaggio dopo personaggio, Pamuk sembra mettere in scena ogni ipotesi solo per poi confutarla. Ma il “mistero” alla fine non è svelato.

Quando scoprì, leggendolo su alcuni libri, che dal momento in cui il fiocco di neve si cristallizza in cielo a forma di una stella a sei braccia, e poi scende a terra e scompare perdendo il suo aspetto, passano circa otto, dieci minuti, e venendo a sapere che ogni fiocco di neve si modella grazie al vento, al freddo, all’altezza delle nuvole, ma anche a tanti altri fattori misteriosi e incomprensibili, intuì che tra i fiocchi di neve e gli uomini c’era una relazione.
(…) Per questo, utilizzando i libri dove c’erano forme di fiocchi di neve, aveva disegnato il suo fiocco, e su di esso aveva sistemato tutte le poesie che gli erano venute in mente a Kars. In questo modo, oltre alla struttura del suo nuovo libro di poesie, segnava su un fiocco di neve anche tutto ciò che aveva fatto lui. Ogni persona doveva avere un suo fiocco di neve, in cui c’era una mappa interna della sua vita.

– Neve

Nel 2006 durante la cerimonia del Premio Nobel per la Letteratura − è lui il vincitore, è il primo scrittore turco nella storia a vincere questo premio − esprime: «Great literature speaks not to our powers of judgement, but to our ability to put ourselves in someone else’s place. […] The world to which I wish to belong is, of course, the world of imagination», per poi aggiungere «it is the imagination of the novelist that gives the bounded world of everyday life its particularity, its magic and its soul». L’immaginazione dà allo scrittore, attraverso i suoi romanzi, seconde vite.

Abbiamo già scritto di Pamuk in Il Museo dell’Innocenza di Orhan Pamuk alla Somerset House, Londra

Bibliografia
Orhan Pamuk, Romanzieri ingenui e sentimentali, (traduzione di Anna Nadotti), Torino, Einaudi, 2012.
Orhan Pamuk, La nuova vita, (traduzione di Marta Bertolini e Semsa Gezgin),Torino, Einaudi, 2000.
Orhan Pamuk, Istanbul: i ricordi e la città, (traduzione di Şemsa Gezgin, cura editoriale di Walter Bergero), Torino, Einaudi, 2006.
Orhan Pamuk, Neve, (traduzione di Marta Bertolini e Şemsa Gezgin),Torino, Einaudi, 2007.
Orhan Pamuk, Le voci di Istanbul: scritti e interviste, (traduzione di Marina Bernabei e Barbara D’Andò), Roma, Datanews, 2007.
Orhan Pamuk, Altri colori: vita, arte, libri e città, (traduzione di Giampiero Bellingeri e Semsa Gezgin), Torino, Einaudi, 2008.

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