Oskar Kokoschka: il “Gran Selvaggio”

Oskar Kokoschka (1886-1980) è sicuramente uno dei miei autori preferiti. Non ha avuto la fama dei suoi connazionali Klimt o Schiele. Quel che tutti sanno è che fu uno dei più grandi rappresentanti dell’espressionismo, uno dei massimi esponenti del movimento della Secessione viennese da giovane. Non è conosciuto però solo per la sua opera pittorica. Il doppio talento nella composizione di poemi che illustrava lui stesso è sicuramente di gran pregio. I suoi scritti giovanili, quasi fossero sue dichiarazione di poetica, sono raffigurazioni stesse, caratterizzate dal colore rosso, il colore più amato dal pittore perché contenete la passione della vita.
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Nel 1908 Kokoschka esordisce con un poema, I ragazzi sognanti, una sequenza di 8 litografie a colori rilegate insieme e con il testo inserito in una colonna accanto all’immagine. L’opera era stata commissionata dal laboratorio di arte Wiener Werkstätte, legato al mondo del design, con l’intento di raccogliere gli esiti di varie correnti del tempo Secessione viennese, Arts and Crafts, Liberty inglese, Art Nouveau e Jugendstil – è considerato da molti il maestro del cosiddetto stile decorativo Werkstätte. Il poema doveva essere per bambini, invece Kokoschka ne fa una fantasia onirica di un adolescente che scopre la propria sessualità inquieta con una Vienna modernista sullo sfondo. Le litografie sono però più un’intensificazione del testo già di per sé di stampo onirico. L’influenza di Klimt in questa fase è inevitabile, però già qui la superficie composta di intarsi viene resa più spezzettata con una forte linea nera di contorno, con tutta una serie di stilizzazioni decorative che si inselvatichiscono verso una preannunciata tendenza di deformazione espressiva. Proprio quando si segna l’apoteosi dell’arte di Klimt, uno dei fondatori della Secessione Viennese e interprete dell’Art Nouveau, Kokoschka frantuma il costante equilibrio di stampo klimtiano con il predominio della verità a sfavore del decoro e della bellezza. Sarà però l’illustre pittore che difenderà sempre il giovane dichiarando che è il maggiore talento della sua generazione.
Eseguirà tale manifesto del suo lavoro "Assassino, speranza delle donne" per l'esposizione Internationale Kunstschau di Vienna

Eseguirà tale manifesto del suo lavoro “Assassino, speranza delle donne” per l’esposizione Internationale Kunstschau di Vienna (1908)

È sempre nel 1908 che inizia ad esser chiamato il “Gran Selvaggio”.  Infatti insieme a Schiele inaugurerà, ognuno a modo suo, un’estetica espressionistica dotata di una forza espressiva cruda, emotiva, a volte spettrale in grado di disgregare qualsiasi forma di armonia. Klimt, Kokoschka e Schiele esprimono libido, pulsioni, angosce, turbamenti intimi – come al tempo spiegava Freud –, facendo esperienza prima di tutto di se stessi poi con gli impatti significativi sulla loro stessa esistenza.

Nel 1909 scrive il dramma Assassino, speranza delle donne sull’essenza primordiale del tema della Penthesilea di Kleist. L’aggressività si unisce alla passione erotica, c’è fin da ora un senso di fobia verso l’alterità femminile, si avvertono influenze delle teorie sul matriarcato di Bachofen. Scrive sulla sua autobiografia:
«Riflettevo notte e giorno sul segreto che si nasconde dietro all’amore e alla morte. Non ero il solo ad avventurarmi in acque perigliose. Tutto il mondo sembrava in preda a un malessere esistenziale, l’uomo non si accontentava, come un pesciolino rosso, della sua coppa di vetro. Veniva meno la fiducia nella possibilità dell’azione individuale o di gestire il proprio futuro (…). Il progresso tecnico aveva colto le masse impreparate e prodotto una tensione che doveva in qualche modo scaricarsi (…). La mia tenacia mi salvò di vuoti di coscienza che, come tali, minano la sicurezza dei periodi di transizione. La paura rende inattivi, ma dietro all’ombra di Thanatos che mi aveva perseguitato fin dall’infanzia, si celava il sempre più allettante abisso di Eros. Qui, nella nuova esistenza di cui cominciavo a ricercare la chiave, sta forse il segreto della mia prima commedia teatrale».
L’angoscia del perturbante freudiano risiede proprio nella dimensione della sessualità della donna, quell’abisso profondo al pari dell’inconscio verso cui l’uomo si sente attratto e terrorizzato allo stesso tempo.
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50518457 È particolare nella ritrattistica la sperimentazione e la strumentalizzazione che ne fa per sondare la psiche, cercando ciò che non si vede contro l’ufficialità e la rigidezza dei ritratti tradizionali. La polarizzazione che Kokoschka fa della figura umana è la sua forza poetica, è scavando dietro le maschere degli uomini e delle donne che ne denuncia il lato oscuro partendo dallo spazio dove sono collocati i soggetti che sono però emanazione di quello stesso spazio. Il passo verso l’approdo all’espressionismo è breve, ma ha difficoltà nel riconoscersi alla corrente. Il termine è troppo generico e rischia di opprimere il suo individualismo. Sul celebre manifesto Pietà Kokoschka dirà in seguito: «L’uomo è rosso sangue, è il colore della vita, ma egli è morto sulle ginocchia di una donna che, lei, è bianca, è il colore della morte».
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Questo primo periodo è caratterizzato già dalla bidimensionalità secessionista – ma il suo stile pittorico cambiò così frequentemente in vari sviluppi –, alimentandosi di dissolvenze e inquietudini, anche estemporanee, come quella che improvvisamente lo colpì un giorno nel 1910 ospitato da un uomo alla vista di un agnello appena scuoiato:
«Il cadavere giaceva sul tavolo. Era venerdì santo e pensai al figlio di Dio il cui destino non era stato molto diverso. (…) All’improvviso mi venne un’idea. Invece di accettare il suo invito per l’arrosto della domenica, volevo portare nel ripostiglio pieno di ciarpame e dipingerlo subito. (…) Tutto era grigio, triste, senz’anima come il regno dell’oblio, delle ombre dell’Ade; sembrava un cimitero. Frugando dappertutto scoprimmo nella stanza della cameriera, sul davanzale, un giacinto candido in piena fioritura. Sembrava di cera, artificiale e splendeva come la luce perpetua, anche al buio. Non avrei potuto sperare niente di meglio, anche se il profumo mi ricordava la stanza dove una volta avevo dipinto una ragazza morta. Il giacinto profumava nell’aria ancora fredda, come un annuncio di primavera, come un dito puntato verso il cielo che placa l’eterno terrore che tutto, fuorché le cose vissute, sia vano.»
oskar-kokoschka-natura-morta-con-castrato-e-giacinto-1910Così dipinse a Vienna Natura con castrato e giacinto  il venerdì santo del 1910. Il fulcro della sua opera sempre più matura è presente già qui: la volontà di rendere visibile l’eternità del transitorio, il dramma della materia in corruzione tra sacro e profano.
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tumblr_m5iw7fnsa01rqt0sfo9_r1_1280Eva Di Stefano – ha studiato Filosofia e Storia dell’arte a Palermo, Vienna e New York e si è focalizzata nelle sue ricerche alla relazione tra arte e psiche in chiave iconologica, esperta di Klimt e della Secessione viennese – scrive: «Il pennello è usato come un bisturi, e la nuova immagine del volto umano coincide con il suo malessere, la sua logica anatomica esprime l’esperienza psicologica. (…) Nei ritratti lo sguardo di Kokoschka attraversa l’apparenza esteriore dei modelli, incide sottocute portando allo scoperto i loro nervi e le loro vene fino a che la loro carne coincide con il sistema circolatorio, come nei macabri esperimenti del principe alchimista Raimondo di Sansevero, e fino a stabilire quella tensione che gonfia come una marea le onde della psiche le quali, non più trattenute, increspano la superficie, così che l’instabilità nervosa si traduce in una instabilità spaziale.  La pennellata registra l’urto dell’invisibile, ma anche, nella rete di linee, la propria strategia di avvicinamento al corpo dell’altro, il proprio tentativo di superare la barriera e ridurre la distanza».
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Ama la poetica di Rembrandt e ne scrive anche un saggio. Dal 1917 al 1924 insegnò all’Accademia di Dresda, lì studiò da vicino il pittore olandese: scrive di quanto «sia capace di guardare la realtà in faccia tanto da comprendere la transitorietà e ciò nonostante da darle forma. E ciò nonostante rendere la sostanza immortale trasparente nella forma mortale». Già dai suoi primissimi disegni e in particolare dagli studi sul nudo, interpreta non solo il lavoro di Rembrandt ma anche quello di Gauguin, Hodler e Rodin in un modo pittorico molto più spontaneo ed espressivo rispetto ai suoi contemporanei.
In Kokoschka figure tormentate e contratte, in particolare le mani sono grandi e nervose in disequilibrio tra forza e debolezza. Mani che sembrano dotate di vita propria come le mani aliene del protagonista de I Quaderni di Malte Laurids Brigge di Rainer Maria Rilke. Il giovane Malte si focalizza molto sulle mani: «Solo le mani, forse, uno non si sarebbe immaginato. Sono mani troppo calde, che vorrebbero sempre rinfrescarsi e istintivamente si posano sul freddo, aperte, con l’aria fra le dita. In quelle mani il sangue poteva affluire come ad un altro monta alla testa, e quando si stringevano a pugno erano davvero come teste di matti, furiose di idee improvvise. Occorrevano incredibili precauzioni per vivere con quel sangue». In un altro passo: «E poi, prima della tarda cena notturna quella sosta pensierosa sulle mani nel bacile d’argento. Le proprie mani. Era possibile stabilire un nesso fra ciò che era loro? Una conseguenza, una continuità nel prendere e lasciare? No. Tutti tentavano la parte e la controparte. Tutti si pareggiavano, non c’era alcuna azione».
a sinistra "Autoritratto con la mano alla bocca" - a destra "Ritratto di Adolf Loos"

Da sinistra “Autoritratto con la mano alla bocca” (1918-1919) , “Ritratto di Adolf Loos” (1909)

Le angosce di Malte sono modi strutturali della sua oscurità interiore, così come le mani dei protagonisti dei ritratti in Kokoschka sono soggetti a impulsi contrastanti e oscuri. Ad esempio nel ritratto di Adolf Loos, suo amico architetto – che tra l’altro gli fa conoscere l’editore berlinese della rivista Der Sturm, Herwarth Walden, e fondatore di un’importante galleria d’arte omonima, che promuovere opere artistiche e teatrali – le mani intrecciate dichiarano energia e solidità in opposizione alla stanchezza del volto. Quello che riusciamo a percepire con la vista è fondamentale, ma la coscienza ha il potere psichico di un flusso che si riflette sulle immagini.
Ma ecco che ferite più profonde, nella storia umana, stanno per colpire la coscienza collettiva. La guerra combacerà con ferite private. Nel 1937 nella Germania nazista vengono sequestrate opere considerate esempi di arte degenerata, sono 417 le opere di Kokoschka sequestrate ma 9 di queste vengono esposte al pubblico ludibrio nella celebre mostra itinerante “Arte degenerata” (in tedesco Entartete Kunst). Insieme ad alcune opere di Cézanne, Gauguin, Matisse, Braque, Picasso, van Gogh, Munch, Klee, Kandinskij e altri, vennero vendute in una pubblica asta a Lucerna, mentre circa 5.000 in totale furono bruciate a Berlino nel 1939. Sempre nel 1937 reagisce dipingendo l’Autoritratto dell’artista degenerato per poi fuggire a Londra dipingendo molte allegorie politiche come Alice nel paese delle meraviglie parte di un’intensa attività pubblicistica politico-culturale.
Vivrà la maggior parte della sua vita fuori dall’Austria, per lo più in esilio. Sarà il successo negli anni Venti negli Stati Uniti che lo ha coronato come uno dei più grandi artisti moderni.
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Da sinistra “Alice nel paese delle meraviglie” (1942), “Autoritratto dell’artista degenerato” (1937)

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Di Stefano Eva, Kokoschka, Giunti, 1998.

Rilke Rainer Maria (a cura di Jesi Furio), I quaderni di Malte Laurids Brigge, Garzanti, 1974.

Kokoschka Oskar (Guggenheim Museum), Works on Paper – The Early Years 1897-1917,  Harry N Abrams, 1994.

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