Anni di piombo

Parole di piombo. Quattro libri per capire gli anni Settanta

Gli anni di piombo, quegli anni tragici e cruciali, prendono il nome da un film. Un film del 1981, Anni di piombo, diretto da Margarethe von Trotta e ambientato in Germania. Ma a noi italiani non possono che ricordare le Brigate Rosse e i NAR, la strategia della tensione e le leggi speciali, la strage di Bologna e il rapimento di Aldo Moro. Un periodo oscuro, ancora pieno di segreti e mezze verità, come se fosse impossibile fare i conti con un passato violento e tuttora irrisolto. Molti scrittori hanno tentato di ricostruire i dati empirici forniti dalle testimonianze, dalle cronache di quei giorni, tramite una narrazione romanzesca. Un’operazione che serve a rileggere la storia da un punto di vista diverso, a trovare un disegno coerente ad un periodo confuso e contraddittorio come questo.

 

Scena tratta da Anni di piombo di Margarethe von Trotta, uscito nel 1981

Scena tratta da Anni di piombo di Margarethe von Trotta, uscito nel 1981

 

EDOARDO ALBINATI – LA SCUOLA CATTOLICA

Massacro del circeo, 20 settembre 1975

Massacro del circeo, 20 settembre 1975

Il romanzo che ha vinto l’ultima edizione del Premio Strega analizza la genesi di quello che viene definito il massacro del Circeo. Due studentesse, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, vengono invitate ad una festa da tre ragazzi poco più grandi di loro. Arrivate nella villa dove si sarebbe svolta la festa, nella zona del Litorale Pontino chiamata appunto del Circeo, vengono violentate, seviziate e massacrate per ore. Rosaria Lopez viene uccisa mentre Donatella Colasanti, dopo essersi finta morta, riesce incredibilmente a fuggire. Albinati era un compagno di scuola del fratello di Angelo Izzo, uno dei tre protagonisti del massacro. Una scuola rigorosamente per soli uomini, religiosa, ovattata, un’atmosfera asfittica dove la prevaricazione è la prassi, così come la misoginia, il buio della ragione. Il valore aggiunto dell’opera di Albinati sta nel non puntare il dito contro i mostri di turno ma nel pericoloso tentativo di rispecchiarsi in quel mondo che è stato anche il suo.

 

FRANCESCO PICCOLO – IL DESIDERIO DI ESSERE COME TUTTI

Enrico Berlinguer

Enrico Berlinguer, segretario del PCI dal 1972 fino alla morte nel 1984

Anche l’opera che ha vinto il premio Strega 2014 nasce da un processo a ritroso, in cui l’autore ripercorre la sua giovinezza alla luce dei fatti pubblici che hanno caratterizzato l’Italia. Il suo punto di vista è quello di un ragazzo di sinistra, caratterizzato da un pensiero tutt’altro che puro e inquadrato rispetto alla politica. L’analisi che fa Piccolo della politica di Berlinguer, segretario del PCI dal 1972, è distante dalla narrazione postuma che viene fatta oggi, che travisa e semplifica un pensiero ben più complesso. Al Berlinguer austero, fermo sulla questione morale, poco incline a qualsiasi tipo di accordo, Piccolo antepone un Berlinguer di governo, propositivo, che con la sua idea di Alternativa Democratica guardava a un compromesso delicatissimo con la DC che avrebbe portato a una politica progressista e inclusiva. Un compromesso storico, insomma, definitivamente tramontato con il rapimento di Moro da parte delle BR e il cambio di rotta del PCI, arroccato nei suoi principi e in una purezza che lo porterà gradualmente, secondo Piccolo, all’estraneità e alla reazione.  

GIORGIO VASTA – IL TEMPO MATERIALE

Comunicato delle BR

Fondamentale nel romanzo di Vasta è l’analisi del linguaggio nuovo usato dalle Brigate Rosse.

In Totem e tabù, Freud spiega come il potere passi dal mondo dei padri a quello dei figli. Nelle tribù, i padri distribuivano il potere egualmente tra i figli affinché nessun figlio avesse un potere maggiore o uguale a quello del padre. Però poteva accadere che i figli si alleassero per uccidere il padre e cibarsi del suo corpo, nutrendosi del suo potere. Un punto di vista simile a quello dei giovani palermitani di Il tempo materiale. La voce narrante è Nimbo, un ragazzino di undici anni che insieme ai suoi amici compie degli atti di rivolta ideologica simili a quelli che stavano compiendo in tutta Italia le Brigate rosse. I ragazzi prendono come modello dei personaggi e dei movimenti che li portano ad atti anomali e violenti verso il mondo. Quella di Vasta è una scrittura fisica, corporea, dove il livello umano e il livello animalesco sono strettamente a contatto. La diversità di questi tre ragazzi testimonia una voglia di rivoluzione e di superamento ad ogni costo della realtà in cui vivono, che sfocerà però in una violenza cieca, una violenza che può generare soltanto morte.

 

LEONARDO SCIASCIA – TODO MODO

Todo Modo, film di Elio Petri del 1976.

Scena tratta da Todo Modo, film di Elio Petri del 1976. Qui potete riconoscere Gian Maria Volontè e Marcello Mastroianni

Todo Modo è un bellissimo esempio di come si possa piegare la letteratura di genere, come il giallo, per scrivere un’allegoria sul potere e un’analisi di coscienza. Il protagonista, un pittore, finisce in un monastero siciliano comandato da un potentissimo religioso, Don Gaetano. In questo monastero si incontrato tanti, tantissimi uomini per sottoporsi ad una purificazione sotto l’autorità di Don Gaetano, che li controlla e impone loro esercizi spirituali. Il pittore fa amicizia con Don Gaetano e assiste a tre omicidi, i primi di due politici e l’ultimo di Don Gaetano. Si presenta subito un dualismo tra il pittore alla ricerca della verità, che rappresenta il bene, e Don Gaetano che rappresenta una certa chiesa, ambigua e deviata, simile alla Zattera della medusa di Gericault, ed incarna in sé le forze del male. Sono due coscienze che lottano l’una contro l’altra, le due parti scisse di una certa personalità. Todo Modo è l’affresco di un sistema di potere ipocrita e vischioso, con la sua serie di inganni e connivenze, tratteggiato con feroce ironia. Il mondo che caratterizzava gli anni ’70, e che forse non è mai finito. “Ministri, deputati, professori, artisti, finanzieri, industriali: quella che si suole chiamare classe dirigente: e che cosa dirigeva in concreto, effettivamente? Una ragnatela nel vuoto, la propria labile ragnatela. Anche se di fili d’oro”.

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