Protopoesia, da “Probabilmente allegria”, José Saramago

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Dal gomitolo arruffato dei ricordi, dall’oscurità dei doppi nodi, tiro un filo che mi sembra sciolto.

Lo libero pian piano, temendo che si disfi  tra le dita.

È un filo lungo, verde e azzurro, dal profumo di limo, e ha la morbidezza calda del loto vivo.

È un fiume.

Mi scorre tra le mani, ora bagnate.

Tutta l’acqua mi passa tra le palme aperte, e di colpo non so se le acque nascono da me, o verso di me fluiscono.

Continuo a tirare, non più solo memoria, ma il corpo stesso del fiume.

Sulla mia pelle navigano barche, e io sono anche le barche e il cielo che le copre e gli alti pioppi che lentamente scivolano sulla pellicola luminosa degli occhi.

Nuotano pesci nel mio sangue e oscillano tra due acque come gli appelli imprecisi della memoria.

Sento la forza delle braccia e la pertica che le prolunga.

Sul fondo del fiume e di me, scende come un lento e fermo battito di cuore.

Adesso il cielo è più vicino e ha cambiato colore.

È tutto verde e sonoro perché di ramo in ramo si desta il canto degli uccelli.

E quando in uno slargo la barca si sofferma, il mio corpo svestito brilla sotto il sole, tra lo splendore più grande che accende la superficie delle acque.

Lì si fondono in un’unica verità i ricordi confusi della memoria e l’immagine repentinamente annunciata del futuro.

Un uccello senza nome scende da non so dove e silenzioso si va a posare sulla prora rigorosa della barca.

Immobile, aspetto che tutta l’acqua si bagni d’azzurro e che gli uccelli dicano sui rami perché sono alti i pioppi e rumorose le loro foglie.

Allora, corpo di barca e di fiume nel formato dell’uomo, m’inoltro verso il fulvo stagno che le spade verticali circondano.

Lì, tre palmi interrerò la mia pertica fino alla pietra viva.

Ci sarà un grande silenzio primordiale quando le mani si uniranno alle mani.

E poi saprò ogni cosa.

José Saramago

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