Quale Europa?

Tra i popoli d’Europa, dovrebbe esserci una sorta di legame federale; essi dovrebbero avere in ogni momento la possibilità di entrare in contatto, di discutere i loro interessi, di prendere risoluzioni comuni e di stabilire tra loro un legame di solidarietà, che li renda in grado, se necessario, di far fronte a qualunque grave emergenza che possa intervenire.”

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Questo era il progetto di Unione Paneuropea che Aristide Briand presentò nel 1929 davanti alla Società delle Nazioni. Questo appello allo spirito di aggregazione del Vecchio continente torna prepotentemente ad interrogarci.

Le origini profetiche dell’Unione Europea erano ispirate dalla rifondazione di una convivenza pacifica tra le genti differenti per razza, per religione, per linguaggio, senza rinunciare all’autonomo sviluppo della loro individualità, come auspicava il nostro connazionale Ernesto Rossi. Sarebbe stata la laicità l’antidoto che avrebbe saldato il patto sociale. Il coinvolgimento delle legislazioni nazionali, nella predisposizione di norme per l’esercizio di siffatta interdipendenza, abbisognava di un ancoramento: ecco che veniva scelto il canone dei diritti umani, così come catalogati dalla Dichiarazione Universale adottata dall’Assemblea generale dell Nazioni Unite nel 1948. Di più: notoriamente la CEDU (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) nacqu

e proprio come garanzia collettiva della protezione e della promozione di un patrimonio comune di tradizioni e ideali politici, di rispetto della libertà e di pertinenza del diritto.

sfere_di_giustiziaFinalmente, nel 1957, venne firmato il Trattato istitutivo della Comunità economica europea che realizzò la prima e sola base giuridica sulla quale derivare la concreta possibilità di risolvere i bisogni di cooperazione fra gli Stati membri. Nel giudizio del filosofo politico statunistense Michael Walzer si trattava di una realtà diversa e forse una novità assoluta. Il perno di questa Comunità non poteva che essere il principio di uguaglianza tra i singoli Stati e i loro popoli concepito come strumento d’integrazione. L’uguaglianza come istanza declinata nella forma del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, a sua volta applicato congiuntamente al diritto di cittadinanza, divenne il motore dell’estensione delle competenze europee.

Tappe giuridico-economiche consecutive portarono al Trattato di Maastricht. Firmato il 7 febbraio del 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre del 1993, esso segna il passaggio da un’Unione avente fini prevalentemente economici ad una struttura, in linea con l’aspirazione primigenia, di avvicinarsi sempre più ai cittadini e di costituzionalizzare la solidarietà tra i popoli. La cittadinanza europea, da quel momento, valeva ad identificare uno status che avrebbe contribuito, più che al rafforzamento di uno spirito di appartenenza, all’abbattimento dell’estraneità tra nazioni. I detrattori di questa politica denunciavano il retaggio piuttosto di un market citizen come modello dominante rispetto a cui la costruzione comunitaria era incapace di affrancarsi. Fu la Corte di Giustizia, con la sua giurisprudenza, a forgiare una dimensione autenticamente europea, aprendo ai cittadini migliori orizzonti, senza voltare le spalle alla realtà, nè alle situazioni concrete.

Non sfuggirà una delle principali declinazioni di questo paradigma: la libertà di circolazione e gli aiuti al mantenimento degli studenti come soggetti migranti economicamente inattivi, lo stesso dicasi per l’accesso transfrontaliero al welfare dei cittadini europei in cerca di occupazione.

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Il radicamento di una forma di solidarietà organica nell’Europa allargata e la sua istituzionalizzazione, al di là dei privilegi e delle facilitazioni, sollecitò e sollecita il legislatore comunitario ad andare oltre la logica del coordinamento dei sistemi nazionali. Ciò succede, a maggior ragione, dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in base al quale è la Corte dei diritti dell’Uomo l’ultimo grado di giurisdizione, non più la Corte di Lussemburgo. I diritti umani si riconfermano, quindi, architrave dell’Unione Europea, dei suoi sviluppi e delle sue riforme. Almeno in apparenza, poiché, da sempre, la critica mossa al progetto europeo è la sua ambizione economica, prima di ogni altra cosa.

L’invasività del primato sovranazionale del sistema europeo è il dibattito che, in questa emergenza storica, sta coinvolgendo tutti i Paesi. I corollari più evidenti sono: la sostenibilità o meno dei costi; la dipendenza economica dovuta al debito sovrano di certe nazioni come l’Italia; la tessitura più o meno solida di una rete comune. Da un lato è una richiesta esplicita del nostro tempo la solidarietà con coloro che sono diversi, che sono stranieri, oltre i confini del gruppo e della comunità (Rainer Zoll), dall’altro in molti si chiedono: quale Europa?

L’economista Loretta Napoleoni, che paventa un imminente tracollo dell’euro, si chiede quale sia, ad oggi, la reale identità comune dell’Europa, rilevando senza ipocrisia, che è sotto gli occhi di tutti la mancanza di una volontà politica e culturale comune, sostituita da una moneta unica che ha cristallizzato preconcetti attraverso un simbolismo che non è sorretto da un vero sentimento di appartenenza oltre i confini (intervista).

L’Europa è quindi pura utopia? L’immobilismo attuale annichilisce ogni possibile trasformazione? Si sono diluite, perse, profondamente modificate le radici?

dittatura_europeaIda Magli, alla domanda qual è l’origine di quella che Lei ha definito “la dittatura europea”? ha risposto senza mezzi termini: le origini vengono da molto lontano. Un progetto di “pace perpetua” fondato sull’omogeneizzazione di tutti i popoli e di tutti gli Stati, in primis di quelli europei, risale al primo Umanesimo ed è passato poi ai Filosofi del Settecento fino a Kant che ha scritto appunto un “Progetto di pace perpetua”. Si trattava con tutta evidenza di un discorso filosofico, un’ipotesi teorica priva di qualsiasi aggancio con la realtà, ma i politici e i finanzieri anglo-americani se ne sono serviti, alla fine della prima guerra mondiale, per lanciare, sotto l’ideale della pace, l’idea di un’unione degli Stati europei. Un’unione federale a guida americana che in realtà doveva dare inizio ad una economia e ad un mercato mondiale.

Innegabile la crisi del capitalismo finanziario dell’UE ed il punto cruciale in questo tempo è decidere se sia il caso di uscire o meno dall’euro, eppure in molti continuano ancora a credere nel miraggio europeo, che, effettivamente, è un sogno culturale difficile da far scendere dal piedistallo. Al contempo, è, però, necessario sforzarsi di ragionare sulle possibilità che ci sono già ora e sul meglio che sarà possibile realizzare, in ogni caso, oltre ogni promessa svuotata di speranza o attendibilità. In particolare, è fondamentale continuare ad informarsi sul sistema politico europeo, poco raccontato e spiegato dai mass media  e dai politici italiani, e sulle politiche sociali intraprese dalle istituzioni europee, studiando, oggi, più che mai, la situazione economica per farsi un’idea più chiara e, soprattutto, per elaborare una più matura comprensione del significato di essere cittadini europei, o dell’eventualità di alternative concrete. Al proposito proponiamo una preliminare e recente bibliografia, su cui torneremo a discutere.

* Lucia Serena Rossi e Marco Mellone (a cura di), Il diritto internazionale privato e processuale dell’Unione europea. Materiale normativo e giurisprudenziale, Editoriale scientifica, 2011

* Loretta Napoleoni, Democrazia vendesi. Dalla crisi economica alla politica delle schede bianche, Rizzoli, 2013

* Serge Latouche, Limite, Bollati Boringhieri, 2012

* Luciano Gallino, Finanzacapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, ed. Einaudi, 2011

* Tesauro, Diritto Comunitario, Cedam, 2012

 

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