Quando finirà l’Età della Plastica?

Da decenni, ormai, la plastica è diventata il nemico numero uno degli oceani. Ogni anno, otto milioni di tonnellate di oggetti in plastica finiscono direttamente in mare, impattando negativamente sugli ecosistemi naturali e sulle specie viventi. Se, però, le campagne di sensibilizzazione verso una progressiva riduzione dell’uso di bottiglie e buste di plastica si sono moltiplicate e stanno avendo molto successo (avete fatto caso a quanti, per fare la spesa, utilizzano ormai sacchetti di stoffa?), sono ancora poche le informazioni riguardanti un problema ancora più grave: quello delle microplastiche. La reale minaccia per l’habitat naturale e, potenzialmente, per la salute umana, è rappresentata da miliardi di microscopiche particelle in plastica contenute nei prodotti più svariati che quotidianamente utilizziamo senza troppi scrupoli.

microplastiche_pesciDentifrici, cosmetici, indumenti e altri centinaia di oggetti d’uso comune sono i principali responsabili di un inquinamento senza precedenti e ancora senza soluzione. Circa il 99% della plastica nel mare è praticamente invisibile, cosa che rappresenta il pericolo maggiore per la biodiversità. Balene e tartarughe sono tra le principali forme di vita marina colpite: con uno studio durato sette anni, il WWF ha rilevato notevoli tracce di ftalati nei corpi dei cetacei del Mediterraneo. A loro volta, anche le tartarughe sono colpite direttamente dalla presenza di microplastiche: circa l’80% di questi animali ha ingerito pezzi di plastica presenti nelle acque del Mare Nostrum.

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In poco più di un secolo, la plastica si è imposta come il materiale simbolo del nostro stile di vita, essendo facilmente reperibile e a buon mercato. Recentemente, però, sono sempre più visibili gli effetti negativi dello sconsiderato uso di plastiche e microplastiche e della cultura dell’usa e getta. Ancora una volta, abbiamo esagerato: il 95% dei rifiuti marini è costituito da prodotti in plastica che possono rimanervi fino a cinquecento anni. Ma quali sono le conseguenze per la nostra salute? Il dossier dell’Ong statunitense Orb Media, “Invisibles: The Plastic Inside Us”, non ha la risposta ma di certo ha contribuito a far emergere il problema e a suscitare il dibattito: se, infatti, mari e laghi sono contaminati dalle microplastiche, è possibile che queste siano finite anche nell’acqua potabile che esce dai nostri rubinetti? Nell’83% dei campioni testati dai ricercatori la risposta è stata affermativa. “We are living in The Plastic Age”, si legge sul sito di Orb Media, ma se da un lato la plastica ci libera, migliorando la nostra vita quotidiana, dall’altro ci imprigiona, producendo rifiuti e un microscopico inquinamento che si ritrova nelle acque dolci e salate, nel suolo e nell’aria.

how-to-survive-the-plastic-age-9-638E se flora e fauna sono direttamente colpite dall’inesorabile accumularsi di microplastiche, come possiamo pensare tutto ciò non avrà un effetto anche su di noi? Fibre di plastica sono state ritrovate perfino negli alimenti con cui ci nutriamo ogni giorno e in Europa il 72% dell’acqua che beviamo è contaminato, anche perché i comuni filtri per l’acqua domestica non riescono a bloccare particelle così piccole. Gli effetti sulla salute umana non si conoscono ancora, ma proprio per questo gli studi dovrebbero moltiplicarsi per giungere il prima possibile a delle conclusioni.

Per ora, in attesa di dati e riscontri più attendibili, seguiamo il principio di precauzione. Sempre più aziende si stanno impegnando a ridurre e a eliminare le microsfere dai loro prodotti e un recente emendamento della legge di Bilancio approvata al termine del 2017, bandirà in Italia l’uso dei cotton fioc non biodegradabili e delle microplastiche nei cosmetici. Dal primo gennaio 2018, inoltre, i sacchetti di plastica per frutta e verdura sono diventati compostabili e biodegradabili, riutilizzabili anche come contenitori di rifiuti organici. Un’innovazione che avrà un costo che oscillerà tra uno e cinque centesimi a sacchetto, e che inevitabilmente ha dato adito a una polemica che difficilmente si acquieterà.

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Ovviamente si spera che il tutto avrà dei benefici a lungo termine sull’ambiente e sulla riduzione del marine litter, anche se, il vero beneficio è dato dal riuso e dal non produrre altri rifiuti. Il vero cambiamento non sta nell’utilizzare dei sacchetti che comunque continuano ad essere in gran parte costituiti da materiale di derivazione petrolchimica, ma nel dare reale impulso all’economia circolare, quella che ricicla e riutilizza, con meno spreco possibile.

Photocredit: www.infosostenibile.it, nonsoloambiente.it, slideshare.net, greenme.it

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