Quel momento decisivo tra fotografia e immagine

«Una fotografia è una immagine ottenuta tramite un processo di registrazione permanente e statica di un’immagine, proiettata per mezzo di un sistema ottico su un elemento fotosensibile: emulsione chimica per la fotografia fotochimica, ovvero quella tradizionale dalle origini ai giorni nostri, sensore elettronico per la fotografia elettronica, oggi digitale».

Questa la definizione di fotografia su Wikipedia alla quale, peraltro, ci sarebbe veramente poco da aggiungere se non fosse per precisare come questo processo, in passato estremamente complesso e laborioso, sia stato del tutto rivoluzionato dalla digitalizzazione numerica delle immagini. Come in tutte le rivoluzioni che si rispettino, anche in questo caso ci sono vincitori e vinti, ma si può dire che stavolta gli uni e gli altri appartengono ad ambiti diversi e complementari tra loro.

Breve storia. Sarebbe difficile affrontare il discorso partendo dall’invenzione della fotografia che risale a Niepce e a Daguerre, perché si aprirebbero quasi due secoli di storia, essendo il 1813 la data convenzionale dei primi esperimenti dei fratelli Niepce. Però è possibile ricordare brevemente cosa fosse la fotografia prima dell’avvento del computer: vent’anni fa era normale pensare alla fotografia come processo fotografico che si divideva in tre fasi distinte ma integrate tra loro e ad ognuna di esse era associato uno scopo preciso.
Innanzitutto, la ripresa riguardava la composizione dell’immagine: essa era il risultato di scelte fondamentali dell’autore che attenevano al soggetto, alla luce, all’esposizione (tempo e diaframma), alla profondità di campo (ovvero la differenza tra la parte a fuoco e quella non a fuoco dell’immagine), alla scelta della pellicola (bianco e nero o colore, maggiore o minore sensibilità) e per ultimo, ma non meno importante, alla scelta dell’obiettivo. Poi arrivava il secondo momento dello sviluppo del negativo – e qui parliamo solo di bianco e nero – che consisteva nel lavaggio e fissaggio della pellicola in opportuni recipienti (tank), con prodotti chimici e tempi di trattamento che differivano principalmente dalla sensibilità effettiva alla quale era stata esposta la pellicola. Infine, la stampa su carta, fase che richiedeva un apparecchio chiamato ingranditore che proiettava su una tavoletta l’immagine ingrandita (una alla volta per carità). Tuttavia, prima della stampa, si doveva scegliere tra più immagini simili quella che, solo apparentemente, sembrava la migliore.
Le tre fasi, molto concrete e corporee, richiedevano tanta creatività nella composizione, tanta attenzione a non fare prendere luce alla pellicola nello sviluppo e tanta pazienza nella stampa per scegliere e dare il migliore taglio e contrasto alla immagine. Solo allora la fotografia compariva, finalmente, e quasi miracolosamente dai bagni di sviluppo e fissaggio. Tutto questo comportava tempi e costi non indifferenti e una grande gioia nel vedere comparire l’immagine alla luce di una lampadina normale. Il processo, nel suo insieme, richiedeva buon gusto, esperienza, una buona dose di artigianalità e, soprattutto, le fotografie dovevano essere prive di difetti per potere essere esposte in una mostra o accettate da un’agenzia fotografica.

Così sono nate molte foto d’autore, meglio sarebbe dire icone. A titolo di esempio e modello per l’autore dell’articolo, ne citiamo solo due Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, artisti complessi e molto diversi tra loro. Per HCB, uomo poliedrico, lo scatto era frutto del “tiro fotografico” della sua Leica, risultato della sua cultura dell’immagine, della frequentazione di gallerie e della curiosità del mondo che lo circondava. Robert Capa invece era un fotografo di guerra, politicamente impegnato e sempre in prima linea, testimone appassionato attraverso i suoi occhi e la sua fotocamera della sofferenza degli uomini e della distruzione che si lascia dietro.

HCB Brussels 1932

HCB – Brussels 1932

HCB - Alicante 1932

HCB – Alicante 1932

 

Robert Capa - Soldato repubblicano 1936

Robert Capa – Soldato repubblicano 1936

Robert Capa - Soldato repubblicano 1936

Robert Capa – Soldato repubblicano 1936

Poi, furono l’irruzione del computer e la digitalizzazione delle immagini a cambiare tutto. Del resto, quest due fattori non potevano non incidere anche sulla fotografia e sulle immagini analogiche, che  diventarono un insieme di puntini (pixel) combinati in un’ immagine virtuale. Per i produttori delle macchine fotografiche, già molto evolute tra gli anni ’70 e ‘80, il passaggio dall’analogico al digitale fu relativamente semplice: si trattò di sostituire il meccanismo di trascinamento della pellicola con una fotocellula che trasformava i segnali luminosi in segnali elettrici e trasferirli ad una memoria digitale. La ripresa veniva enormemente semplificata anche per la quantità di scatti che si potevano fare, lo sviluppo e la stampa furono eliminati dai programmi di foto ritocco, che consentivano sul proprio computer il lavoro in una camera oscura, illuminata solo da una fievole luce rossa.
Un’altra importante novità consisteva nella grande sensibilità possibile, grazie ai molti megapixel delle macchine di oggi, una manna per la definizione delle immagini, ma soprattutto per la possibilità di “tagliarle” anche molto in fase di ritocco, grazie alla dimensione dei file, senza comprometterne di molto la definizione. Un peggioramento siè registrato stato invece con l’impiego degli schermi LCD in fase di ripresa: il vecchio mirino è fondamentale per buone inquadrature, e paragonarlo a quello di un’arma non è assolutamente improprio.

Nonostante la tecnologia non abbia smesso di avanzare, la lezione ricevuta dai grandi maestri del bianco e nero continua ad essere indispensabile per sviluppare non solo la necessaria familiarità con tempi, luce, profondità di campo negli effetti compositivi e creativi delle immagini, ma anche per accrescere la propria sensibilità per originalità e immediatezza delle inquadrature e per l’espressività dei volti, delle situazioni e del contesto. Due esempi di questa “scuola” degli anni ’70 sono due miei réportage ROM e Teatro.

Pino De Marte - Mina 1972

Pino De Marte – Mina 1972

gaber7

Pino De Marte – Giorgio Gaber 1972

Pino De Marte - Campo ROM 1975

Pino De Marte – Campo ROM 1975

Pino De Marte – Ceramista di Gerace 1976

Pino De Marte – Ceramista di Gerace 1976

 Infine, la condivisione delle immagini e i social network. Non è da sottovalutare un’altra conseguenza dell’irruzione del computer e del web nella vita quotidiana, ossia l’incidenza del loro ruolo nella progressiva trasformazione del concetto e della pratica di fotografia in più semplice produzione di immagini. In effetti, un’ulteriore semplificazione della vita del fotografo è costituita dal boom dei dispositivi mobili, che attraverso fotocamere miniaturizzate, integrate ai telefoni e ad internet consentono di scattare – inviare – condividere con un click le immagini appena riprese. E’ cambiata del tutto la modalità “riflessiva” sull’immagine virtuale, consentita dal tempo necessario a tradurla in fotografia. La disponibilità assoluta del mezzo fa sì che spesso si fotografi tutto e comunque, banalizzando anche situazioni e momenti personali, pur di fare vedere agli amici dove si è, e con chi ci si trova. Prevale nei fotografi di oggi, anche in quelli tecnicamente preparati, l’esigenza di condividere l’immagine, prima ancora di averla riguardata criticamente. Per questo sui social si possono trovare foto di scarpe, compagnie di ragazzi con la bottiglia di birra in mano, elaborazioni, scansioni o copia-incolla di tutto, dai manifesti alla grafica pubblicitaria, dai graffiti sui muri, alla sala di un museo e tanti, tantissimi… tramonti. La leggibilità di un immagine, il suo significato, la sua fruizione da parte di altri, la sua utilità sembrano essere passate in secondo piano. L’invasione di immagini scaricate su internet e/o scambiate attraverso la messaggistica, non poteva che peggiorare la qualità complessiva. Convegni e seminari alla presenza di  studiosi e semiologi, non hanno migliorato la situazione, anzi, il mercato degli I-phone e dei 140 caratteri, sempre più fiorente, ha come spento la coscienza critica della gente: nessun vaglio di quello che si pubblica, tanto basta un like.
Questo può fare pensare ad un nuovo modo di vivere la fotografia certo più accessibile, semplificato, rapido come un battito di ciglia, un modo relazionale che fa precedere la necessità di comunicare “oltre il verbale”, con la stessa immediatezza della oralità, sacrificando talvolta l’idea estetica legata all’immagine o ai contenuti emotivi ed affettivi del ricordo in essa celati. Certamente avrete provato ad aprire un vecchio album o una scatola di foto della vostra famiglia e certamente avrete scoperto luoghi e persone care in quelle vecchie foto, spesso ingiallite. Vecchi album li trovate in vendita anche sui banchi dei mercatini, chissà quante storie potrebbero ancora raccontare! Questo orizzonte è ancora tutto da esplorare, perché grazie alla qualità delle ottiche di un tempo ed agli eccellenti procedimenti di sviluppo e stampa, si possono ottenere dai negativi o dalle stampe scansioni di ottima qualità per documentare persone, luoghi e situazioni di una volta e confrontarle con quelle di oggi. Un recupero di questo materiale potrebbe servire non tanto ad un’operazione nostalgia ma ad una rivisitazione e sensibilizzazione sulla nostra storia recente, ad esempio per la riscoperta del nostro territorio, oggi così deturpato o per il recupero e la valorizzazione di luoghi ed edifici, talvolta anche dello Stato, oggi messi in vendita per pura necessità di cassa. Si potrebbero costruire archivi digitali in ogni luogo italiano e pensare a qualcosa simile alle campagne del FAI – Luoghi del cuore. Si dovrebbe infine favorire una educazione all’immagine anche nelle scuole, attraverso l’insegnamento della tecnica e come supporto didattico.

Dunque, immagini o fotografie?
Tornando alle premesse di questo breve percorso dalla fotografia analogica alle immagini digitali, si propone a lettori e lettrici di questo articolo, nativi digitali, il percorso inverso. Ogni scelta è valida e permette di capire qualcosa di più del mondo che ci circonda attraverso fotografie “proprie”, soggettive piuttosto che con immagini clonate o rubate da altri.

citazione bresson

Note

(*) In questo articolo l’autore si è riferito alla fotografia di réportage, perché fa parte del suo personale bagaglio culturale.

(**) Il titolo e la citazione finale sono ispirati a The Decisive Moment (Images à la sauvette), 1952 di Henri Cartier-Bresson.

 

 

 

 

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