Renzo, Lucia, io e Marcello Fois

Qualche anno fa seguii all’università un paio di lezioni che annovero, ancora oggi, tra le più belle della mia vita. Si trattava di un laboratorio e uno degli insegnanti fu proprio Marcello Fois. In otto ore ci parlò dei classici, della loro importanza, della loro attualità. Mi (spero “ci”) fece capire l’importanza di studiare Lettere, disse: «Se fai questo genere di studi, e pensi: ‘Questo libro è brutto, non mi va di leggerlo’, hai sbagliato. Hai sbagliato posto. Pensate a un cardiochirurgo, che apre un torace e pensa: ‘Questo cuore è brutto, non mi va di operarlo. Lui ha sbagliato a fare il cardiochirurgo, e voi che vi annoiate a leggere, avete sbagliato a studiare Lettere.’». Ecco, io tornavo a casa completamente soddisfatta delle mie scelte e piena di domande.

Una o due lezioni dopo, Marcello Fois parlò de I Promessi Sposi. Un romanzo che avevo studiato in mille salse: ho la versione per la scuola elementare, per la scuola media, per la scuola superiore. All’università virai su altri autori, “No, Manzoni, no, per cortesia”, dicevo. Di Renzo, Lucia, don Abbondio e compagnia bella ne avevo piene le tasche, mi dicevo scherzando “Questo matrimonio non s’ha da fare”. Chissà perché. Non me l’hanno fatto studiare come si doveva? Forse, ma è bastata una frase di Fois per farmi capire la potenza e l’attualità de I Promessi Sposi, un giorno, il 21 gennaio 2015.

«Ieri a lezione si è parlato di una continuazione de I promessi sposi di Manzoni. Quindi abbiamo immaginato una Lucia chiattona con a malapena cinque denti, tanti figli (tra aborti vari), un Renzo che lavorava dalle 16 alle 18 ore alla filanda perché i sindacati erano carenti, polenta e legumi a cena, pidocchi e parassiti da cornice. E poi Renzo e Lucia, ormai stanchi della solita vita monotona, vanno al lago di Como tenendosi per mano e Renzo le dice “Senti, Lucì, ma quanto ci siamo divertiti quando ti hanno rapita?”». Una frase di cui parlai con molte persone, tra cui Adriano che mi disse: «Mi ricorda molto lo scambio di frasi finale de L’educazione sentimentale», ancora un classico.

«Non abbiamo mai avuto niente di meglio, dopo», disse Federico.

«Già, forse hai proprio ragione: non abbiamo avuto di meglio», disse Deslauriers. (L’educazione sentimentale)

Quanto hanno da dire i classici oggi? E quanto ha da dire I Promessi Sposi? Marcello Fois ne parla in Renzo, Lucia e io – Perché per me I Promessi Sposi è un romanzo meraviglioso, pubblicato da add editore nella sezione Incendi (la stessa di Anni luce). In questo volumetto, Fois comincia con una provocazione rivolta agli insegnanti e agli alunni perché, si sa, il romanzo di Manzoni occupa una parte importante nel programma ministeriale e non si può saltare perché non è un romanzo divertente. «Il discrimine tra l’intrattenimento e la formazione» dev’essere chiaro, scrive Fois.

«Al ragazzo, all’alunno, si promette una scuola “divertente”, ma non gli si spiega che “divertente” è una parola per niente leggera. “Divertente” è un’accezione che attiene alla capacità di farsi un’idea propria delle cose, e cioè devèrtere, saper guardare altrove, misurare l’area in cui l’informazione che si è appena ricevuta può esercitare un potere comunicativo nella vita di tutti i giorni. Divertirsi, sotto certi aspetti, significa fare propria una nozione e renderla organica: mangiarla, masticarla, digerirla, evacuarla. Questo processo non assicura sempre un’esperienza piacevole, da ciò l’equivoco secondo cui solo quello che fa ridere è divertente. Molte volte, specialmente in corso di apprendimento, è vero l’opposto. Ora qualcuno può dimostrare che farsi gli addominali, o depilarsi le sopracciglia, o svolgere un’equazione algebrica, o imparare a memoria la perifrastica, o parafrasare una terzina dantesca, o sottoporsi a una sessione di tatuaggio, piercing, eccetera siano esperienze “piacevoli”? Non lo sono eppure sono “divertenti”, contribuiscono cioè a incrementare lo strumentario fisico e mentale con cui possiamo affrontare le cose del mondo. Ergo: chi l’ha detto che I Promessi Sposi debba piacere? Il punto non è che piaccia, ma che “diverta”, che racconti cioè nell’ordine: che nazione siamo, che lingua parliamo, che cos’è un classico, fino a che punto ci conosciamo.» (Marcello Fois)

Dopo un’intensa introduzione, il lettore parte con Fois per perdersi tra le pagine de I Promessi Sposi, per conoscere nel profondo i suoi personaggi, i rimandi ad altri classici perché «il classico abita in sé stesso. Si09-fois_WEB nutre di sé stesso. Il classico abita nei classici». Quello che Fois implicitamente consiglia è di mantenere gli occhi, le orecchie, la mente aperti. Ben vengano i collegamenti con l’Iliade e l’Odissea perché Renzo, come Ulisse, si mette in viaggio; Lucia, come Elena di Troia, viene rapita; ritorna la peste proprio come accadde ad Atene nel 430 a.C. Manzoni adotta la lingua di Dante sciacquando i panni nell’Arno e siamo ancora soliti dire “Questo matrimonio non s’ha da fare” e “Verrà un giorno”, espressioni manzoniane che sono rimaste attaccate alle nostre radici. Attraverso brevi capitoli, intrisi di aneddoti personali, Fois spiega il debito che abbiamo ancora oggi con Manzoni e i suoi promessi sposi, e non solo. Nel libro vengono citati ampiamente De Amicis e Collodi, Cuore e Le avventure di Pinocchio. Secondo Fois, queste tre opere «hanno determinato per adesione e anche per opposizione la formattazione del nostro attuale pensiero letterario.» Quarantun anni passano dalla pubblicazione del romanzo manzoniano agli altri due, quarantun anni in cui l’Italia viene unificata, in cui il senso delle parole popolo e patria si forma negli italiani, descritti già ai tempi come «artisti, menefreghisti, guardinghi, sentimentali, sanguigni, eroi per caso, parassiti, altruisti, martiri. Un po’ pusillanimi, un po’ anarchici, formula divenuta assai cara a Leonardo Sciascia. I caratteri di questa nazione nascono prima di lei, come aveva predetto Manzoni che, nel 1840, fa iniziare I Promessi Sposi con una minaccia mafiosa. Più chiaro di così.»

Sceneggiato Rai 1967

Sceneggiato Rai 1967

Una nota di merito va al capitolo Lucia dice di no. Verso la fine del romanzo, c’è uno scambio di battute tra Lucia e Renzo ed è proprio la nostra eroina che ricorda a Renzo che lei non se l’è andata mica a cercare. Lucia Mondella, personaggio che vive nel 1600, in un’epoca paternalistica, sottolinea – con un velo d’ironia – che, nonostante tutto, è stata padrona di sé stessa fino alla fine: «Lucia, con il suo controllatissimo fastidio, dice inoltre che lo status di donna richiede un’autodeterminazione più ampia: quella che deve superare il ricatto sessista e quella che deve superare il ricatto affettivo. Lucia Mondella, chiude I Promessi Sposi ponendo una questione strepitosamente attuale. Spiega cioè che l’indossare una minigonna non autorizza lo stupro. Che l’essere donna non corrisponde automaticamente all’essere preda.» Innumerevoli volte dovremmo riprendere in mano i classici, sfogliarli, rileggerli totalmente o parzialmente perché classico non significa vecchio. Lo aveva scritto già Calvino e ce lo ricorda Marcello Fois.

«Leggere un classico è come visitare i sotterranei di una città. In superficie, alla luce del sole, si stratifica il mutamento, ma là sotto, nel sistema circolatorio, si può individuare l’articolazione delle fondamenta, affascinanti, labirintiche, semplificate e sostanziali, come le sinopie sotto gli affreschi.» (Marcello Fois)

Ci vorrebbero più libri di questo genere per non dimenticare l’importanza e la forza della letteratura, Renzo, Lucia e io è una lezione divertente di cento pagine, una lezione molto simile a quelle a cui ho assistito e, per questo, ve lo consiglio vivamente.

Photocredit: per la foto dello sceneggiato Rai © Il Secolo d’Italia

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