Natura vivente. Rivoluzione e «pace». Frida

Magdalena Carmen Frida Khalo y Calderón (…). I suoi nomi di battesimo testimoniano le sue origini meticce. (…) Sotto l’influenza del padre, ateo convinto, la famiglia deciderà di chiamarla semplicemente Frida, nome laico e germanico che significa “pace”; lei – fino alla fine degli anni ’30 – autograferà con l’ortografia “Frieda”.

 

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La piccola Frida ©MaudGuély

Quel diadema di sopracciglia imperiose, quello sguardo lapidario, che buca la tela e paralizza. Quelle pupille che sanno di Messico e sofferenza. Già si sente il profumo delle strade di Coyoacán. Già si sente il bustino stringersi nel petto fino a soffocare.
Frida Kahlo. Una pittura che richiama sensazioni ancestrali, commistione di ferinità e umanità. Il suo fascino disarmante è quello di un’eroina mitologica, di una dea azteca, eterea e distante, eppure così viva nella pittura da riuscire quasi a sentirne il respiro.
Nata nel 1907 a Coyoacán, Messico, preferiva dire di essere nata nel 1910, non per futile vanità femminile, bensì per far coincidere la propria nascita con l’inizio della rivoluzione messicana, di cui lei si sentiva figlia carnale.
La spina bifida, da cui era afflitta fin da piccola, era solo un assaggio delle tragiche sofferenze fisiche e psicologiche che avrebbero martoriato l’indomita Frida fino alla morte. Il 17 settembre 1925 l’incidente sull’autobus di ritorno da scuola. La colonna vertebrale spezzata in tre parti, così come l’osso pelvico, Frida impalata al corrimano dell’autobus. Durante la convalescenza che Frida si appassiona alla letteratura comunista ed inizia la sua attività artistica, esordiendo con un autoritratto, pratica che poi diventerà una tecnica caratteristica della sua pittura.

«Sono molto inquieta per quanto riguarda la mia pittura. Come trasformarla perché diventi utile al movimento rivoluzionario comunista, perché fino ad ora non ho dipinto che l’espressione onesta di me stessa, ma assolutamente distante da una pittura che potrebbe servire il Partito. Devo lottare con tutto il mio essere affinché quel poco di forze che mi lascia la mia salute sia destinato a aiutare la rivoluzione. L’unica vera ragione di vivere.»

«Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio.»

Frida Kahlo, “Diego ed io”, 1949

Frida Kahlo, “Diego ed io”, 1949

Il destino aveva segnato per lei un’ulteriore lacerazione, stavolta dovuta ad una passione esplosiva ed incontenibile per il rinomato artista Diego Rivera. La madre di Frida paragonò la loro relazione a quella tra un elefante e una colomba: Diego infatti aveva il doppio degli anni di Frida, era sovrappeso e molto poco attraente.

Due matrimoni, un divorzio ed innumerevoli tradimenti da ambo le parti, con ambo i sessi (tra gli amanti di Frida, nomi illustri quali quello del rivoluzionario russo Lev Trotsky e del poeta André Breton) , un aborto spontaneo, la relazione extraconiugale di Diego con la sorella preferita di Frida, Cristina Kahlo (in occasione di tale avvenimento Frida dipinge Ricordo o Il cuore), l’impegno politico e la pittura come unica espressione artistica possibile: sono solo alcuni dei tasselli di una storia d’amore che pare una fiction televisiva, ma che fu drammaticamente vera, intensa e lancinante.

«Tu non vuoi ammetterlo» scrisse Frida a Diego «ma sai perfettamente che, malgrado le stupidaggini che ho fatto con altri, nessuno rappresenta niente rispetto a te […]. Noi non siamo pronti a dimenticarci, possiamo essere dei buoni fidanzati, dei buoni sposi, non dire il contrario, ti supplico.»

Nel periodo prossimo al divorzio, la Kalho dipinge uno dei sui quadri più pregnanti: Le due Frida. Un doppio ritratto speculare di Frida, in cui le due icone sono sedute su una panca. Sono unite da una vena collegata al cuore di ognuna.

Un altro condotto sanguigno, collegato al cuore della Frida vestita in abiti messicani, reca all’altro capo un medaglione raffigurante Diego, a confermare l’accettazione dell’aspetto tradizionale della sua compagna, mentre la Frida in abiti europei è rifiutata in quanto aderente agli influssi occidentali. Il carattere patriottico dello stile di Frida è vantato da Diego:

«Frida Khalo è una donna straordinariamente bella, non di una bellezza triviale, ma di una bellezza tanto eccezionale e caratteristica quanto quella che produce dipingendo. (…) Le sue toilettes sono l’incarnazione stessa dello splendore nazionale. Mai ne ha tradito lo spirito e ha rivendicato il suo nazionalismo a New York e a Parigi, dove delle personalità eminenti ammirano le sue opere e dove gli stilisti lanciarono la moda “Abito Madame Rivera”.»

Frida Kahlo, "Le due Frida", 1939

Frida Kahlo, “Le due Frida”, 1939

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Frida ha sempre espresso sé stessa e la sua bellezza anche attraverso i vestiti e le acconciature ©MaudGuély

Dopo una vita avversa alle convenzioni sociali, di emancipazione attraverso la politica, di sincero sentimento di identità col Messico e contemporaneamente di profondo intimismo e riflessività, di pittura, arte, passione, Frida morì di polmonite bronchiale. Fu cremata e le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo. Le ultime parole che scrisse nel diario furono: «Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più».

E dunque sorge spontaneo il quesito: si può scindere la Frida pittrice dalla Frida donna? Biografia e pittura possono essere separate? E se sì, è giusta questa separazione?

Indubbio che il fascino di Frida sia strettamente legato ad una vita, che più che un’esistenza, pare un romanzo, una missione. D’altra parte, non ci è permesso dare un taglio netto tra le due Frida, farne una “pittrice dimezzata” sulla scia di un impulso calviniano. L’arte di Frida infatti risulta essere una perfetta sintesi di questi due aspetti.

"Frida, un nastro intorno a una bomba" (A. Breton) ©MaudGuély

©MaudGuély

Il mezzo creativo è da una parte mezzo di narrazione autobiografica, intima, emozionale, dall’altra si rivolge ad un obiettivo universalistico e totalizzante.
Frida cerca di ordinare il caos della natura che la circonda. Esplora se stessa, nell’ormai emblematica forma dell’autoritratto, per donare un senso alla realtà. Storicizza la sua figura e la rende simbolo della ricerca di una realtà essenziale.
Nell’analisi della sua opera, si escluda ogni velleità astratta e teoretica. Frida dipinge la propria realtà: l’allegoria, la metafora e il simbolo sono il mezzo più spontaneo e diretto, quasi ingenuo.

«Credevano che io fossi surrealista, ma non lo ero.  Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà.»

L’affascinante dicotomia tra il corpo e l’animo torturato da un destino crudele (o provvidenziale?) e l’incontenibile energia vitale di Frida sono una pennellata sottesa – in ogni quadro.

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* Le illustrazioni sono di Maud Guély che, insieme alla linguista Rachel Viné-Krupa, ha realizzato il volume Un ruban autour d’une bombe. Une biographie textile de Frida Khalo, edizioni Nada, Paris, 2013

 

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