Say goodbye to loneliness, say goodbye to Marlon Brando

Ottant’anni e centocinquanta chili a gravargli sulle spalle. Un collasso polmonare e la fine soffocata tra le lenzuola ruvide di un ospedale. Succedeva a Los Angeles, il 1° Luglio del 2004. Si è conclusa così l’avventura di una delle stelle più fulgide di Hollywood, nello sberleffo di un epilogo banale. Marlon Brando, un nome che pare quasi un titolo, un’icona del Novecento, se ne andava così. Avremmo immaginato per lui una conclusione più eroica, degna di Terry Malloy (Fronte del porto), di Stanley Kowalski (Un tram che si chiama Desiderio), di Don Vito Corleone (Il Padrino). Una vita consumata dagli eccessi e dai drammi, incorniciata tra le pareti ovattate di un successo altalenante e controverso. Figlio di alcolisti, Marlon Brando nasceva ad Omaha il 3 Aprile 1924. Dopo l’espulsione dalla scuola militare, frequentò la scuola d’arte drammatica The Dramatic Workshop, con la Adler, che parlò degli insegnamenti a Brando dicendo di aver ordinato alla classe di comportarsi come polli e poi di aver aggiunto che una bomba nucleare stava per schiantarsi su di loro. Brando rispose: “Io sono un pollo – Che ne so di bombe?”

Di seguito l’esordio a teatro, e l’approdo al cinema relativamente tardi. Il sodalizio con Kazan gli regalò il primo Oscar nel 1954 con Fronte del porto, replicando il successo nel 1973 con Il Padrino. (Rifiutò la statuetta in segno di protesta contro le ingiustizie verso i nativi americani. Prima di lui, questo gesto era stato compiuto solo da  George C.Scott). Ottenne otto nomination agli Oscar, fu definito dalla rivista Time nel 1999 come uno dei 100 personaggi più influenti del secolo, aggiudicandosi nello stesso anno il quarto posto nella lista delle leggende del cinema, redatta dall’American Film Institute. Nella sua filmografia relativamente ridotta (circa 40 film) spiccano le interpretazioni in Giulio Cesare (di Joseph L. Mankiewicz, 1953), Il selvaggio (di László Benedek, 1954), Bulli e pupe (di Joseph L. Mankiewicz, 1955) e Ultimo tango a Parigi (di Bernardo Bertolucci, 1972). Svetta tra tutte la magistrale interpretazione fornita da Brando in Apocalypse Now, pellicola del 1979, in cui si trova di nuovo a collaborare con  Francis Ford Coppola. È l’ultima ed immensa espressione del talento di Brando, che solo un anno prima, durante le riprese di Superman, aveva dichiarato: “Il mio tempo di attore sta finendo. Mi rimangono solo due colpi in canna”. Il film (che ottenne ben due premi Oscar) è incentrato sulla guerra del Vietnam, sugli orrori e sulle conseguenze psicologiche e fisiche che essa provoca in militari e civili. Brando recita a fianco di Martin Sheen, nel ruolo del colonnello Kurtz. Kurtz è un uomo che si è ritirato nella giungla, venerato come semidio dagli indigeni, ormai libero dal giudizio altrui e di se stesso. Brando è completamente rasato e visibilmente ingrassato, niente a che vedere col bellissimo Terry Malloy degli inizi (quando si presentò sul set, nessuna uniforme gli entrava e non fu un caso la decisione di Coppola di ritrarlo sempre in penombra, offuscandone i tratti). È interessante il parallelismo tra Kurtz e Brando, due uomini votati all’autodistruzione, entrambi tragici, entrambi uniti dalla stessa lucida illogicità. L’esistenza di Brando è infatti spezzata dal suicidio della figlia Cheyenne nel 1995 a soli 25 anni e dall’arresto del figlio Christian, reo confesso dell’ omicidio del fidanzato della sorellastra. Collezionista spietato di donne bellissime ed affascinanti, seduttore seriale e padre di innumerevoli figli legittimi e non, Marlon conclude la sua vita soffocato dai debiti e circondato dai suoi legali. La misera fine dell’attore, numero uno del cinema mondiale, non ne cancella però il ricordo, e la levatura del suo talento è ormai emblematica. A dieci anni dalla scomparsa, la mancanza di una presenza di tale pregio nel palinsesto cinematografico si fa sentire sempre più profonda. Non ci resta che salutarlo affettuosamente sulle note di “Goodbye Marlon Brando” di Elton John.

Say goodbye to loneliness, say goodbye to Marlon Brando 

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