Se Caravaggio diventa Experience

Turisti davanti al Cenacolo di Leonardo da Vinci

Turisti davanti al Cenacolo di Leonardo da Vinci (immagine ripresa da ilgiorno.it)

Partiamo da lontano. Sono uno di quelli che preferiscono il Baricco saggista al romanziere. L’ho deciso dopo aver letto i Barbari, che in modo sfrontato e sicuramente non accademico centra clamorosamente la situazione contemporanea. Dopo i Barbari ho recuperato i Barnum, e mi ha colpito un articolo sul Cenacolo di Leonardo da Vinci. Un’opera che era stata appena restaurata e che lui aveva avuto modo di vedere prima che fosse esposta al pubblico. La cosa difficile, impossibile, era cercare di vederla in maniera vergine, dimenticandosi tutta quella stratificazione di immagini pubblicitarie, televisive, cinematografiche, editoriali in cui era stata riproposta. Dimenticandosi insomma l’immaginario che era venuto fuori, ritornando all’originale che stava lì davanti. In calce, come fosse un aneddoto, veniva segnalata la distanza di sicurezza, 15 centimetri, che allontanava da quell’immagine che avevi sfogliato, osservato, zoommato mille volte.

Ci ho pensato domenica, in visita alla splendida Venaria Reale. Da quando sto a Torino ci sono andato decine di volte, e ogni volta mi chiedo perché la gente sia fissata con quell’obrobrio della Mole Antonelliana, quando a pochi chilometri c’è la versione sabauda di Versailles, se vogliamo. Nella reggia vengono spesso ospitate mostre molto interessanti, e recentemente è stata proposta una Caravaggio Experience, che impreziosirà i maestosi spazi della Citroniera Juvarriana fino al 1 ottobre 2017. Imperdibile, no?

Intendiamoci: non sono un esperto di arte moderna. Mi piace, la conosco, ma non la capisco fino in fondo. Trovo incredibilmente più semplice capire l’arte contemporanea, con tutti quei salti concettuali che ispira e che richiede. Per l’arte moderna, diciamo almeno fino all’impressionismo, rimango tra chi sta cercando di vederci troppo e chi sta vedendo troppo poco.

Ma Caravaggio è un’altra cosa. Basterebbe la vita di Michelangelo Merisi, l’intensità delle sue figure, la provocazione delle scelte pittoriche, di quella luce artificiale prima che il termine luce artificiale esistesse. Basterebbe uno dei suoi capolavori per capire che quella è Arte sublime, per capire che è tra quei tre o quattro pittori che possono essere definiti Maestri, inarrivabili.

Entro nella Citroneria Juvarriana, il grande spazio che aveva ospitato, tra i tanti, le foto di Steve McCurry e vivo un effetto che non mi aspettavo. Non so, lo definirei effetto Expo. Ci sono gli oggetti dei quadri di Picasso, plastificati, messi nello stesso modo dell’originale, con l’unico scopo di far fare le foto buffe ai partecipanti. Ma tra una foto e un selfie mi chiedevo perché vendere un alleggerimento con richiami neanche troppo presenti all’arte spacciandola per un approfondimento esperienziale.

Dietro una tenda, annunciata da un tappeto sonoro di carattere epico e l’oscurità di sottofondo, si preannunciava il cuore dell’evento, la parte significativa.

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Beh, la Caravaggio Experience non è altro che una riproposizione in sequenza delle sue opere, zoommate in maniera diversa sui vari muri della stanza. Prendiamo la famosa Cena di Emmaus: sul muro davanti viene proiettato il quadro originale, a sinistra si muove uno zoom sull’espressione di Cristo mentre a destra viene evidenziata ingigantita la mano nera di sole e di fatica del pellegrino. Dietro, mi immagino, lo sguardo della serva mi trafigge. E questo, con poco altro in più, ripetuto per un’ora.

La prima domanda che mi faccio, e a cui cercherò di rispondere in qualche modo, e se c’è davvero bisogno di tutto questo. Il video, ad esempio. Scontornato con poca grazia, privo di qualsiasi intuizione folgorante. Musica epica e ingrandimenti. Viene da pensare, con rabbia, ai meravigliosi esempi di tanta arte contemporanea, che usano l’animazione e la ripresa in maniera sempre più spiazzante. E spesso confinati nelle fondazioni, nei musei di nicchia.

Caravaggio Medusa

(Immagine ripresa da lavenaria.it)

Viene quasi nostalgia, della nicchia. Piene le panchine, persino dei tappeti in terra. La gente sdraiata, gli occhi spiritati. Il frutto dell’operazione, il primo, è che Caravaggio è diventato una popstar. Un maledetto, uno che Celentano avrebbe definito rock in quella famosa trasmissione di qualche anno fa. Se il ‘900 è stato il secolo che ha visto l’arte trasformarsi in happening, il nuovo millennio sprofonda nelle logiche dello show. Le stesse logiche che ripropongono i soliti nomi in uno stanco tour per l’Italia, e i nostri musei che fanno una fatica immensa a stare dietro.

Che poi, forse, la questione è proprio questa. Non siamo più abituati all’arte. A fare quel salto interpretativo e conoscitivo, a ricomporre i pezzi del puzzle. Scordiamoci ogni approccio diretto: siamo costretti a un’esperienza già digerita, fatta da altri e semplificata.

La cosa strana è che ti convinci a rimanere altri cinque minuti. La scusa è quella che ormai hai pagato, fuori piove, non hai nulla da fare in casa. Poi devi ammettere che quelle opere che ti circondano enormi ti stanno ipnotizzando. Hai cominciato entrando per gioco dentro le opere, ma era una purificazione prima di entrare sul serio. Di esserci dentro.

Caravaggio Experience

(immagine ripresa da lavenaria.it)

Colpa delle distanze, quelle che dicevamo all’inizio. Quelle opere non le hai mai potute vedere in quel modo. Ci sono sempre state barriere, turisti, teche di vetro a tenerti lontano. E ora che sono loro, ad avvicinarsi, accade quello che non avevi mai pensato. Le vedi, davvero.

L’opera si scompone, ti avvolge, ti chiama a sé. Ti basta entrare nel gioco per esserne attratto, non sai per quanto tempo, quante ripetizioni. E la cosa assurda è che il gioco riesce perché l’opera non è più imprescindibile, non è più il medium da decodificare, da capire e spiegare ai figli che ti tirano la manica, alla fidanzata sottobraccio. A contare è l’esperienza, solo e soltanto l’esperienza. Tua e universale.

E ti viene da pensare a un po’ di cose, davanti a quel Caravaggio. Ti viene da pensare che quell’intensità non è mai esistita o non esiste più, o comunque tu non l’hai mai conosciuta. Ti viene da pensare a Dio, anzi, all’idea di Dio.

Ti viene da pensare, soprattutto, che quella non è arte, non la riconosci come tale, ma non per questo va buttata via. Non adesso, almeno.

Caravaggio Experience turisti

(immagine ripresa da artribune.com)

Magari la musica, ecco, così epica, così scontata, come a suggerire che ti devi emozionare perché quello è Caravaggio, come se ci fosse bisogno di un avvertimento sonoro, un segnale à la Pavlov.

Scorrono i titoli di coda. Mi ero chiesto se c’era davvero bisogno di tutto questo, mi sono promesso una risposta. Non lo so, davvero. Mi viene da pensare che per qualche minuto, almeno, non ho più pensato al senso della cosa, alle domande, alla necessità di avere una necessità. Per qualche minuto, non di più. Basta quello.

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