Se è maschio, lo chiamiamo Victor o Crictor?

Secondo la vena poetica di Molly Burkett, la felicità sta nell’avere «una casa in piena campagna, un cane, un gatto, un cavallo, e molti, molti più animali che giungono lì dal circondario». Eppure, quando c’è un cucciolo di mezzo la felicità è sempre presente, anche in città, anche nella fantasia, soprattutto nella lettura, perché spesso ci spaventiamo, nella realtà, davanti a un serpente, un ragno o a qualche altro rampante.

Per noi comunità di mammiferi bipedi, cosiddetti umani è importante nominare. Il nome è un segno di riconoscimento, un riferimento identitario, ciò che contiene già una storia, un carattere, un destino. Ed è anche un’attività divertente quella di immaginare o di ricevere l’ispirazione – quando un cucciolo sta arrivando – sul nome giusto da scegliere. Questo in tutti i casi, di qualsiasi cucciolo si tratti.

Dunque, se è maschio lo chiamiamo Victor? O Crictor? Dipende. Quali sono i criteri discriminanti? Non ogni cucciolo è uguale. Già che ci siamo, ammettiamolo, dipende anche dalla specie, dall’aspetto del neonato e, inevitabilmente, dalle aspettative e dalla sensibilità del genitore.

Questi sono i quesiti che si sono posti con scrupolo d’amore Madame Bodot e Monsier Tatou. No, no… Niente fraintendimenti, non sono marito e moglie, sono due genitori: adottiva la prima, naturale il secondo. L’amore è incondizionato in entrambi i casi, questo è quello che conta, soprattutto quando si tratta di decidere il nome!

JpegMadame Bodot, è una signora abbastanza anziana, molto rispettata nella sua piccola città della Francia. Maestra di scuola, Madame Bodot ha un figlio esploratore che le scrive delle sue ricerche e dei suoi viaggi, quando un giorno, al posto della corrispondenza abituale, arriva un pacco regalo. Un cucciolo esotico che dice più di tante parole. Slanciato, verde, abbastanza striato, sinuoso, il cucciolo è un rispettabile e socievole Boa Costrictor. Va da sé che Crictor per lui è un nome perfetto.

Allora rimane Victor. La sua storia è quasi speculare. Nella sua vita c’è una esploratrice, ma questa è la sua amatissima nonna che è partita per salvare gli animali della foresta dell’Amazzonia. Ma, ancora una volta, dissipiamo i fraintendimenti: dimentichiamoci lo stile charmant dello chignon o dell’abito lungo alla francese, qui è storia di carapace coriaceo. Questa è una famiglia di armadilli industriali.

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Street Art in Paris, Rue de l’Échaudé (06.12.2014) ©LauraTestoni

Mi pare di aver incrociato Victor a Parigi l’inverno scorso, ma forse è stato un abbaglio, o solo un suo simile. Sarebbe comunque ben possibile vederlo filare di corsa da qualche parte nel mondo, perché ha deciso di seguire le tracce archeologiche della adorata Grand-Mère, con quella valigia preziosa che significa partire determinati, destinazione: futuro da adulti. Ma non è stato facile per Victor diventare adulto. Il viaggio vero è stato quello per arrivare a prendere una decisione indipendente, autonoma. Il coraggio di definirsi. Di fare dei limiti catapulte. Victor nel linguaggio moderno e aziendale sarebbe rubricato come introverso, timido, non adatto al contatto con il pubblico, troppo angosciato, troppo ansioso. In sintesi, pieno di complessi per chi non elogia lo spirito marcatamente riflessivo. Sotto pressione, in collera o semplicemente quando è triste non riesce – non riusciva almeno da piccolo – a esprimersi. Un fatto di nervosismo, di confusione, qualcosa in lui rientrava, si soffocava, lo ammutoliva. Per non dispiacere, per non contraddire, per non ingenerare conflitti si teneva le cose dentro e si ‘rintanava’. Spiegata così la faccenda del temperamento di Victor sembra semplice, ma come ogni creatura vivente anche per lui vale la regola base: ciò che non si verbalizza si manifesta.

Vi è mai capitato di avere delle conseguenze quando siete estremamente in imbarazzo o davanti a una frustrazione o a un ostacolo che non riuscite a superare? L’ostacolo può essere anche un vostro limite, una vostra paura enorme. Bhé Victor inizia a tossire. Una tosse spaventosa, gutturale, animale. Diventa viola, non respira, soffoca. Allora vuole sparire dal mondo, vorrebbe che il mondo lo inghiottisse piuttosto che continuare così e non può fare nulla per fermare quegli accessi involontari e feroci, non basta che gli diciate “stai tranquillo”, “prendi le cose con serenità”. Purtroppo è più forte di lui. È una paura atavica, senza fondo. Che lo fa chiudere in sé stesso. Per un armadillo è naturale – direte voi -, con quel carapace può rintanarsi quando vuole. Eh no! Nemmeno per lui finisce tutto lì, nella psicosomatizzazione. Il fatto è… il corpo. Se hai un corpo resti visibile, se sei visibile gli altri ti vedono, pare ovvio. Non c’è quel momento solitario in cui ritrovare la calma. L’introspezione allora non è nello scudo della corazza, ma è nelle unghie. Strumenti potenti per scavare, scavare, scavare, fare un buco profondissimo, dove nessun potrà seguirti e arrivare. Saltare in quel vuoto che si è creato e scappare.

Questa è la fuga di Victor, il suo anestetico, il suo mondo parallelo dove coltivare la fantasia-evasione di un universo su misura evasiva appunto, non imprevedibile come quello reale, quello in cui la gatta, Dalva – che lui ama perdutamente – non lo considera minimamente o quello in cui Madame Potame – Ippopotama di successo – usa (aziendalmente) le vulnerabilità altrui per trarne profitto: ebbene sì, Victor si è lasciato convincere ed è diventato per un breve periodo la star di una pubblicità di sciroppi contro la tosse. Ma non pensate subito alla corruzione o all’arrivismo tipici dell’animo terreno, il fatto è che Dalva ama stare su un sofà tutto il giorno e guardare la televisione – soprattutto le pubblicità – mangiando caramelle a riptezione. Allora, se lui passasse sullo schermo almeno lei lo guarderebbe con occhi diversi, e magari si innamorerebbe di lui, lo troverebbe interessante, degno di attenzione. Forse, con il successo… forse…

JpegPoi c’è tutta quella storia delle pressioni sociali e ambientali. Facile per Crictor, adottato e imborghesito dallo spirito colonialistico francese, una belva al guinzaglio per le vie della città. A prendere il biberon tra le braccia della sua nuova mamma, poi a scuola, insieme a lei, con un papillon da primo della classe e poi a sventare crimini grazie alla sua forza e alla sua sicurezza, tanto da ricevere l’onorificenza pubblica di un monumento a sua immagine e somiglianza nella piazza centrale. No, la vita di Victor è più complicata. È complicata perché gli altri hanno sempre voluto da lui qualcosa che lui non era, non poteva e soprattutto, non voleva essere. Monsieur Tatou a dire il vero è un industriale affermato, produttore di carapaci per armadilli, in plastica. «Ma papà, io voglio fare un altro mestiere». E così la questione è rimandata, ma sappiamo benissimo che Monsieur Tatou si aspetta che Victor prosegua le sue orme.

In quel momento Victor… scava, scava, scava un tunnel, più di uno – i bivi confondono chiunque tenti di seguirlo – e corre, corre per quelle vie oscure che lo allontanano e lo portano non si sa bene dove. Lui lo sa: lì dentro una volta ha visto aprirsi una strada con delle scale che lo hanno fatto riemergere in una città fantastica, onirica. Così, ogni volta che scappa torna a cercarla, ma non la trova più. La strada immaginaria, perché la sua strada, lui, non l’ha mai seguita.

Non basta avere immaginazione, il punto è seguire l’immagine di sé, ma questa è una cosa reale, e nella realtà lui non sa … Ecco allora che arriva il momento in cui inizia a subire i meccanismi di difesa… Ma non sa bene come disattivarli e più si sforza, più ci prova… Lo desidera talmente tanto, che il troppo lo mette in trappola.

Non c’è niente da fare, ognuno ha la sua storia. Nemmeno Madame Potame o Monsier Victor, per esempio, hanno avuto una vita semplice. E non è tutto lineare come pretenderemmo o come appare après coup. Prendete Crictor, così selvaggio e predatore che sogna un po’ di disciplina e per lui la libertà è liberarsi da quell’etichetta stereotipata del ‘cattivo per partito preso’, biblicamente – della ‘fonte di ogni male’. Lui non è solo il suo istinto. Mentre, la prospettiva, in altre situazioni, si ribalta, come nel caso di Victor che, per trovare la propria libertà di essere (o semplicemente, per essere), deve fare grandi sforzi; superare quella rigida ragionevolezza che lo rende dolce e amaramente in cattività. Deve imparare ad accogliere la propria aggressività e poi a gestirla né contro di sé né contro gli altri, a proprio favore, mettiamola così. Sbilanciarsi.

Ci sono prove, lezioni, variabili, errori, possibilità di imparare e incamminarsi, tra incontri, dubbi, speranze e anche deserti. Quello che pare comune è che nessuno desidera finire a far parte di uno ‘zoo’ indistinto e tutti vorremmo essere amati per ciò che siamo.

Ma alla partenza siamo tutti lì, a cercare la via per amarci in prima persona per ciò che siamo  trovare il coraggio. Questa è la grande sfida di Victor che finalmente è partito, equipaggiato di quella famosa valigia leggera; non fosse altro che più leggera è, più avrà spazio per riempirla con le tante cose che troverà in marcia.Jpeg

Una valigia capace di contenerci come il pacco in cui Crictor è arrivato a casa, o quella che Victor ha ereditato da Grand-Mère e che portato con sé per partire da casa e andare chissà dove, ma del resto non sono affari nostri, non sono più piccoli, sanno badare a loro stessi. Let them go, è arrivato il loro momento di conquistare il mondo!

Se Crictor e Victor sono due tipini interessanti anche per voi e sulle vostre corde, allora i loro biografi, rispettivamente Tomi Ungerer e Lygia Bojunga, potranno addolcire i vostri sogni.

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