Sì viaggiare, sì cambiare

Viaggiare è  probabilmente una delle esperienze più antiche del mondo. L’istinto allo spostamento è da sempre insito nell’uomo e non c’è termine più appropriato della parola spinta, per definirlo. È, infatti, di questo che si tratta: di una sorta di slancio, interno ed esterno, che ci porta a muoverci. L’etimologia stessa della parola viaggio ci da conferma di quanto detto. Dal provenzale viatge , e prima ancora dal latino viaticum , un derivato di via, il viaggio indica da sempre l’atto del movimento.

Solitamente, e forse anche erroneamente, tendiamo ad utilizzare questo termine per indicare solo degli spostamenti su medie o grandi distanze o ancora da un paese, solitamente quello di origine, ad un altro viaggiarestraniero. In realtà, però, sempre di viaggio si tratta anche quando la mattina ci spostiamo per andare a lavoro o all’università o, addirittura, quando usciamo per fare una semplice passeggiata. Viaggio è tutto ciò che implica un movimento, non solo fisico, ma anche e forse soprattutto mentale. Che sia un caso l’espressione “viaggiare di fantasia”? Se, allora, parliamo di continuo divenire, è inevitabile il tentativo di individuare quelle che sono le fasi, le quali si alternano ciclicamente, che caratterizzano l’esperienza del viaggiatore. Si parla rispettivamente di: partenza, transizione e arrivo.

La partenza. Carattere fondamentale di questa prima fare è il distacco. Partire significa sempre allontanarsi, temporaneamente o meno, dalla realtà quotidiana per entrare a contatto con una nuova cultura, con un ambiente differente e con persone diverse da quelle che solitamente ci circondano. Potremmo quasi definire questo primo momento come quello dell’abbandono: lasciare tutto e tutti, anche una parte di noi stessi, per andare alla ricerca dell’altro, dell’estraneo, del diverso. È a questo punto che subentra la seconda fase, il transito. la mente del viaggiatoreÈ questo il momento dello spostamento, di quello che potremmo definire il viaggio secondo il senso primario più antico del termine. Nel testo La mente del viaggiatore,  di Eric J. Leed, professore della Florida International University, l’autore fa notare come, in particolare in letteratura, ma in generale nei testi sui viaggi ( diari di bordo, cronache ) la descrizione della transizione è qualcosa a cui si conferisce sempre poca importanza. Chi scrive tende spesso a concentrarsi sul momento dell’arrivo, e in particolare sulla descrizione di quanto di nuovo c’è nell’estraneo, nell’esotico.  Questa selezione, se così possiamo definirla, di cosa descrivere e cosa no, è forse legata all’idea di instabilità, di incertezza e temporaneità che l’atto del transitare implica. Il movimento, in quanto spostamento, momento di passaggio, è qualcosa di talmente sfuggevole ed effimero che, forse, lo stesso viaggiatore ha difficoltà a comprenderne il senso e a metterlo per iscritto. Nonostante ciò, però, quello che più ha importanza in questa seconda fase è l’idea del transitare come atto di mutamento. Colui che viaggia cambia il proprio modo di relazionarsi con lo spazio, con il tempo e con se stesso e questo porta, ad un livello più ampio, ad un cambiamento nei rapporti con gli altri. È così che il viaggio diventa veicolo per la creazione di nuove comunità e trasformazione di quelle già esistenti. 1-desiderioTuttavia, anche se si parla di movimento continuo, il divenire stesso implica, ad un certo punto, un momento di approdo. Che poi in un secondo tempo questo possa costituire a sua volta un punto di partenza, è qualcosa di implicito nell’idea stessa di cambiamento. L’arrivo, dunque, è questo momento di stabilità, di momentanea quiete. E se inizialmente abbiamo parlato di partenza in termini di distacco, non possiamo che definire l’arrivo come, invece, un momento di identificazione. Abbandonata la propria identità iniziale, attraversate e affrontate situazioni differenti, il viaggiatore giunto arrivato finalmente a destinazione non può che acquisire una nuova identità. Necessariamente, che si tratti di un soggiorno breve o lungo, il momento dell’arrivo è anche quello dell’adattamento. Costretto a calarsi in quei meccanismi di inclusione ed esclusione che caratterizzano ogni società, l’individuo si presenterà sempre alla fine del suo viaggio come una persona diversa da quella che era al momento della partenza.

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