Stoner – Un caso editoriale

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Bill Stoner è uno di noi. Ce lo immaginiamo con gli occhialetti leggermente appannati, le pupille accese da Shakespeare e Shelley, le labbra arrotondate a ripetere qualche verso di tanto in tanto, mormorato, stretto come un segreto.

È lui il protagonista della sua vita, un’esistenza assurta a mitologia nel momento in cui si imprime nella pagina, in cui si fa inchiostro, cellulosa e fibra. Un romanzo che ha il titolo di una sola parola: Stoner.

Il libro, partorito dalla brillante mente di John Williams, esce nel 1965, e vende solo 2000 copie. Sbolognato con un’unica recensione, positiva certo, ma pur sempre una, sul New Yorker, va fuori catalogo dopo solo un anno. Stoner è un personaggio che non piace agli americani, troppo lontano da quel Jay Gatsby con cui Fitzgerald li aveva fatti sognare. Stoner è arrendevole, malinconico, solo, destinato a prendere polvere in fondo a uno scaffale dimenticato.

A compiere il miracolo sarà Anna Gavalda, la re Mida francese delle traduzioni. Lo tocca, e questo diventa oro. Traslato da inglese a francese prima e italiano poi, Stoner viaggia di libreria in libreria. Esplode il caso editoriale. Stoner scala le classifiche di distribuzione e arriva all’ impensabile numero di un milione di copie vendute. Agli europei la prosa limpida, l’essenza fragile e introspettiva di Bill Stoner garba e parecchio. In particolare agli italiani, che lo leggono solo nel 2012, edito da Fazi Editore, nella traduzione di Stefano Tummolini. E passa da essere “il romanzo dimenticato di un uomo dimenticato” (Vintage Classics) al “romanzo perfetto” (Fazi).

Nonostante l’incipit, classificabile come uno dei più brutti della storia della letteratura, nonostante la trama piatta, e una genesi editoriale zoppicante, il romanzo entra nei cuori dei lettori come un dardo infuocato, che squarcia di netto le definizioni di “coraggio” e “valore”. Un romanzo che si muove disinvolto tra le arterie più contorte dell’interiorità di un personaggio che si fa persona, e di un lettore che arriva a mettere in discussione gli stereotipi dell’eroe, in un tumulto continuo di piccole cose e grandi decisioni.

Williams, John photo credit The Univserity of Denver

I punti di contatto tra Stoner e Williams sono diversi (a partire dal nome, William Stoner e John Williams, passando per l’estrazione contadina, la carriera accademica, il matrimonio, la scrittura) e per questo i critici l’hanno spesso classificato come una sorta di autobiografia dell’autore. Ma le differenze caratteriali e decisionali non vanno trascurate (l’uno non va in guerra, l’altro sì. L’uno è arrendevole e si lascia attraversare dalla vita come uno spettatore, l’altro combatte per essere ricordato, per essere riconosciuto come scrittore. L’uno muore nella panacea dei sensi, l’altro distrutto da alcol e droghe). Ciò che si verifica è un paradossale rovesciamento di ruoli: l’autore è un eroe maledetto, la sua creatura un antieroe comune e volendo mediocre. Per questo, il romanzo forse potrebbe essere definito più come un meraviglioso “what if”. Un “come sarebbe andata se…” solo Stoner alias Williams avesse lasciato che la vita lo attraversasse, se avesse cercato un rifugio piuttosto che una trincea, se avesse scelto la letteratura alla carne.

Lettura consigliata a: chi ha voglia di mettersi in discussione, chi ha bisogno di conoscere un amico, chi non vuole evadere dalla realtà, ma entrarci dentro fino in fondo. A chi ama la letteratura, a chi non cerca un senso nelle cose, solo un’emozione.

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