Tempi moderni – La spettacolarizzazione, Guy Debord e l’analisi del nostro tempo

Voler capire sé stessi nel momento vero e proprio in cui si è, studiare dunque l’epoca che viviamo nel momento nel quale la viviamo è una delle cose più complesse e rischiose da indagare. 
Per questo spesso sono i posteri ad avere una visione più chiara e ragionata dell’epoca che li precede, potendo loro parlare quando i fervori e gli istinti d’appartenenza sono ormai sfumati.
Altre volte, invece, un autore visionario ne dipinge un quadro chiarissimo ancor prima che accada, così da darci una visione più distaccata della contemporaneità.
Uno di questi autori è Guy Debord (1931-1994), scrittore, regista e filosofo francese. Nel 1967 Guy Debord pubblica La società dello spettacolo, saggio nel quale indaga le fondamenta e gli effetti, cioè che è e ciò per la quale è questa società spettacolare, che all’epoca era ancora agli esordi ma che trova il suo compimento ora, nel tempo che viviamo e che vivremo.

Viviamo in un secolo nel quale lo spettacolo e la vita virtuale rappresentano una grossa parte della nostra esistenza. Una realtà del tutto immersa nello spettacolo e nell’era post-industriale del progresso tecnologico. 
L’idea di una società non spettacolarizzata è qualcosa di ormai impensabile.
Viviamo in quel tempo in cui l’era televisiva sta raggiungendo il suo compimento. La televisione per come l’abbiamo conosciuta e per quel che ci hanno raccontato che era ben presto non esisterà più. Lo spettacolo però non muore di certo- the show must go on– e quindi cambia linguaggio, cambia periferiche.

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Debord scrive il saggio agli inizi dell’era televisiva ma riesce già a mettere in evidenza alcuni tratti facilmente riconoscibili nella nostra società contemporanea.
Ai tempi di Debord il virtuale era soltanto agli albori ma la delineazione che ne compie è assolutamente attuale ora che la virtualizzazione della società –e la sua conseguente totale smaterializzazione- è arrivata al compimento, o quasi.

Parlare di società dello spettacolo significa innanzitutto parlare di una società in cui la produzione è soprattutto produzione immateriale.
La principale produzione della società attuale è lo spettacolo, e lo spettacolo è immateriale: tende sempre di più all’astrazione dell’oggetto che è il reale soggetto di tale spettacolo.
Nella società dello spettacolo, infatti, la merce non viene acquistata per essere consumata, ma per la simbolicità della quale viene caricata attraverso i media, ponendo lo spettacolo a giocare il ruolo di anello logico necessario per saldare il mondo dei media e quello delle merci.
La spettacolarizzazione è al centro di tutte le dinamiche di una tale società. Si lega dunque alla smaterializzazione della merce ed è in essa che ritroviamo l’apice nonché lo scopo della spettacolarizzazione. La società è diventata immagine di sé stessa, e tali immagini non appaiono soltanto reali ma lo sono: «la realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale» dice Debord.

Secondo Debord sono cinque gli elementi che danno forma e allo stesso tempo condanna a questa società: il continuo rinnovamento tecnologico; la fusione economico-statale; il segreto generalizzato; il falso indiscutibile; un eterno presente.
Grazie al processo tecnologico costante ci scopriamo infatti abbandonati agli specialisti mentre la fusione economico-statale offre la base necessaria per l’esercizio del dominio (che in questo caso è quello spettacolare).
Dall’altra parte il segreto generalizzato si dimostra l’operazione sociale più importante di questo dominio dello spettacolo, il falso indiscutibile provvede a distruggere l’opinione pubblica mentre l’eterno presente fa in modo che le notizie veramente importanti passino soltanto di rado e per brevi periodi.

Un esempio di questo dominio spettacolare nella società contemporanea è l’asservimento a esso della scienza. «Non si chiede più alla scienza di capire il mondo o di migliorare qualcosa. Le si chiede di giustificare istantaneamente tutto ciò che si fa», scrive Debord.
La domanda sociale è decisa e diretta dallo spettacolo, che si lascia trasportare dalla rassicurante abitudine del discorso spettacolare.
La menzogna e il segreto stanno alla base di una società spettacolare totalizzante che tende a voler giustificare invece che a spiegare. L’utilizzo improprio della scienza, fuorviata attraverso ambiguità e fallacie, è un’utile strumento spettacolare per rinforzare le basi di menzogne e segreti sui quali si regge. Questo tipo di dominio crede dunque di non aver più bisogno di pensare, e necessariamente non pensa più.
In una società nella quale gli uomini sono ridotti a puri consumatori e lo sguardo critico è annebbiato dall’illusione della realtà è palese come la logica sia stata sostituita dall’ideologia.

Debor ci parla di un eterno presente. Questo eterno presente è da un parte il tempo nel quale opera questa società e dall’altra uno dei suoi risultati. In una società che non fa altro che rappresentare sé stessa nel processo di spettacolarizzazione la realtà spettacolarizzata è nel momento nel quale viene rappresentata. 
Si può dunque davvero capire una società attraverso la spettacolarizzazione che ci è fornita di essa?
Se, come ci dice Debord «lo spettacolo è il momento storico che ci contiene», allora è forse proprio questo spettacolo che dovremmo considerare quando ci domandiamo cosa guardare nel momento in cui «il dito indica la luna».

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J. R. Eyerman, LIFE Magazine.

Se quindi riconosciamo che lo spettacolo è specchio della società che viviamo un’analisi di esso potrebbe fornirci un prezioso strumento per l’analisi del nostro tempo e, in certa misura, di noi stessi.
Certo, ci sono quei fervori e quegli istinti d’appartenenza che spesso intaccano il pensiero critico, ma in una società come quella contemporanea- nella quale siamo totalmente immersi nell’esposizione spettacolare di ciò che siamo- il disincanto diventa strumento a sostegno del pensiero critico, per capire che guardare lo spettacolo significa spesso osservare il nostro tempo che compie il suo essere.

Welcome back my friends to the show that never ends, cantavano Emerson, Lake & Palmer- e non potevano avere più ragione. Lo spettacolo deve continuare, o almeno continuerà fino a che noi siamo, fedele specchio che ci riflette e rappresenta. Ma se invece che guardarlo passivamente ci rendessimo conto di come sfruttare questo riflesso per comprenderci e non solo osservarci, forse il dominio spettacolare non servirebbe solo per dirigerci ma ci darebbe in mano lo strumento per comprenderci.

 

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