Three seconds left – Le vittorie imperfette di Emiliano Poddi

Le vittorie imperfette, Emiliano Poddi, edizioni Feltrinelli

Uno scontro, per quanto complesso, può avere soltanto un finale. Un taglio netto, insomma, che divida i vincitori dai vinti. Prima di leggere Le vittorie imperfette di Emiliano Poddi, edizioni Feltrinelli, ne ero abbastanza convinto. Poddi, invece, ci racconta di un fatto realmente accaduto che scardina tutte le convenzioni a cui siamo abituati. Una storia troppo incredibile per essere vera.

Uno scontro, dicevo. Alle Olimpiadi di Monaco, anno 1972, si sfidano U.S.A. e U.R.S.S. nella finale del torneo di pallacanestro. Una finale annunciata che non è, non può essere soltanto una questione di sport. Specialmente dopo il massacro di atleti israeliani, avvenuto pochi giorni prima nel villaggio olimpico. La storia irrompe nelle Olimpiadi senza riuscire a fermarle, riempiendole di significati diversi da quelli rappresentati dai cerchi olimpici.

La mancanza di punti fermi travolge le Olimpiadi di Monaco e trova il suo culmine nella finale tra U.S.A. e U.R.S.S., dove il tempo si aggroviglia fino a diventare incomprensibile. O meglio, per dirla con le parole dell’autore, “un imbuto spazio-temporale” che sembra inghiottire il passato e il futuro negli ultimi tre secondi della partita, ripetuti più volte, che restituiscono finali sempre diversi. Poddi ci restituisce un mix di equilibrio e di caos, di passato e presente, dove il tempo perde le sue coordinate temporali per diventare una variabile impazzita.

Le vittorie imperfette è un’efficace commistione tra finzione e realtà, sembra quasi al confine tra romanzo e docu-fiction. La forma romanzesca aiuta ad entrare nelle pieghe della a realtà, a interrogare i protagonisti di un episodio a

La palla a due con cui inizia U.S.A. - U.R.S.S.

La palla a due con cui inizia U.S.A. – U.R.S.S.

suo modo storico, una perfetta esemplificazione della Guerra Fredda. I protagonisti, i punti di vista scelti da Poddi sono i due numeri 14 di U.S.A. e U.R.S.S., Kevin Joyce e Sasha Belov, e lo stesso scrittore che vive la partita in modo postumo e se ne sente legato in maniera indissolubile. Quei tre secondi dettano in maniera diretta o indiretta il destino di questi tre personaggi e non solo.

Ho avuto il piacere di parlare di tutte queste cose con Emiliano Poddi, che ringrazio per la disponibilità.

Per scrivere un libro del genere, quanto dura la fase di ricerca e di documentazione? Hai impiegato più tempo a documentarti o a scrivere il romanzo?
Dopo una prima fase dedicata alla ricerca, le due cose – scrittura e documentazione – si sono intrecciate fra loro, e questa sovrapposizione è andata avanti fino alla fine. Ad  esempio, durante la revisione, gli editor di Feltrinelli (bravissimi!) mi hanno suggerito di approfondire il passaggio del romanzo in cui Sasha – uno dei due protagonisti – parla al telefono con la sua compagna del loro gatto. E io, quando mi ci sono messo, ho scoperto in modo del tutto casuale che nell’Ermitage di San Pietroburgo lavora una squadra di gatti. Stanno lì da più di mezzo secolo e difendono i quadri dai topi. Ovviamente li ho inseriti in quella telefonata…

Nel libro ci parli di Monaco ’72, di tutte le implicazioni passate e future per i protagonisti, come se fossero già all’interno di questo evento. Ma ci mostri anche, sparse nel testo, le fasi della tua ricerca come scrittore. È un nuovo modo di narrare? Pensi che anche la fase di ricerca possa essere uno splendido spunto narrativo?
È un modo di raccontare che mi piace molto, da lettore prima ancora che da scrittore. Adoro i libri di Cercas, di Carrère e di Tuena, nei quali il narratore mette in scena se stesso e la propria ricerca. Inoltre, il mio romanzo preferito è Libra di DeLillo, e anche lì, mascherato nella figura di Nicholas Branch, c’è lo scrittore-ricercatore che tenta di far combaciare i pezzi. È un romanzo straordinariamente bello, cui la presenza di Branch aggiunge ulteriore complessità e profondità.

Come hai scelto i due numeri 14 di U.S.A. e U.R.S.S. come protagonisti della tua storia?
L’imbeccata – o l’assist, visto l’argomento – mi è stata offerta da Gianni Riotta (Repubblica) e da Marco Imarisio (Corriere). Nel ’92, Riotta dedicò a Kevin Joyce l’incipit di un suo pezzo sul Dream Team che di lì a poco avrebbe stravinto l’oro del basket a Barcellona ’92. Imarisio, in occasione di Londra 2012, scrisse un articolo sul quarantesimo anniversario di Usa-Urss: l’ultimo paragrafo raccontava di Sasha Belov e delle sue disavventure post-olimpiche. Solo in seguito, dopo averli scelti come protagonisti, ho notato che Sasha e Kevin portavano lo stesso numero di maglia. Mi è sembrato un segno, la conferma numerica che i due avessero un destino speculare.

L'autore Emiliano Poddi

L’autore Emiliano Poddi

L’unico personaggio a provare una vera malinconia del passato è lo scrittore, che è anche l’unico a non aver vissuto dal vivo le Olimpiadi di Monaco. Per i due protagonisti il tempo si è fermato, cancellando i concetti di passato e futuro. È stato difficile per te, da scrittore, approcciarti al tempo in questo modo? O è stata una sfida interessante?
Torno a DeLillo. In un incontro con i lettori qui in Piemonte, al Festival Collisioni, ha raccontato che un suo amico filosofo una volta gli ha detto: «Davvero nel tuo prossimo libro vuoi parlare del tempo? Non farlo, è troppo difficile per te». Se è difficile per DeLillo, che è forse l’uomo più intelligente del mondo, figuriamoci per i comuni mortali. Intendo dire che io non mi sono posto direttamente il problema del tempo: ho solo cercato di raccontare come si è comportato il tempo nei confronti dei personaggi coinvolti nella storia. Il punto di partenza è stato il tabellone luminoso della partita, quando alla fine mancavano tre secondi. Ecco, lì è apparso chiaro a tutti che non sempre le cose si susseguono in ordine cronologico. A volte il tempo torna indietro, poi scorre di nuovo in avanti, fa dei salti oppure si dilata. È un’esperienza che i russi e gli americani di Monaco hanno vissuto sulla propria pelle.

Secondo Cercas, ogni romanzo è la risposta che dà lo scrittore a una domanda che lo tormenta. Quale domanda sta alla base di un’opera come Le vittorie imperfette?
Penso proprio che nel mio caso la domanda sia stata: che c’entro io – un brindisino nato nel ’75 – con Usa-Urss di Monaco ’72?

Se potessi scegliere un’ideale dream team di scrittori di ogni tempo per una partita di pallacanestro, chi inseriresti nella tua squadra?
Il play-maker, il cervello della squadra – dopo quanto detto fin qui –, sarebbe ovviamente Don DeLillo. Guardia tiratrice: Joseph Conrad, sperando che spari canestri da tre con la stessa frequenza con cui mette a segno i suoi aggettivi. Ala piccola: Primo Levi, per la sua duttilità tattica (e anche chimica). Ala grande: Gustav Flaubert, per le sue sbalorditive percentuali di belle frasi, spesso apparentemente semplici come i tiri dalla media distanza. Centro: Ernest Hemingway, perché sotto canestro ci vuole un duro. Ma neanche un coach bravo come Mauro Berruto riuscirebbe a non farli litigare…

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