Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Il potere della parola

tre manifesti 1Ci sono film che i trailer rovinano, e quello di McDonagh rientra tra questi. Ci si aspetterebbe una storia violenta, un linguaggio volgare, la fiera rappresentazione della grettezza americana. Se insomma ci si basasse sulla promozione che ne è stata fatta, Tre Manifesti potrebbe sembrare una pellicola alla Tarantino. E in parte lo ricorda pure, proprio per gli elementi di cui si è appena parlato. Diversa è però l’indagine che riguarda l’aggressività, della cui funzione catartica qui si dubita fino alla fine. Non si deve poi dimenticare che, per quanto le parole non vengano certo soppesate, l’impatto che avranno i manifesti non dipende affatto dalla violenza del loro testo. D’altronde, anche volendo, su quei cartelloni «non si possono scrivere cose diffamatorie, e nemmeno “cazzo”, “figa” o “pisciare”».

tre manifesti 3A volerli affiggere è Mildred Hayes (Frances McDormand), una madre la cui figlia è stata uccisa e violentata. Il suo gesto, più che dalla speranza di trovare il colpevole, è dovuto alla rabbia di non averlo ancora catturato. Accusando di inefficienza lo sceriffo Bill Willoughby (Woody Harrelson), la donna proietta su di lui le proprie frustrazioni, e quei manifesti, a ben vedere, altro non sono che lo specchio del proprio senso di colpa. Mildred, incapace di prendersi cura della figlia, si sente infatti responsabile di quel che le è successo, e l’unico modo per sopportare il dolore che prova è riversarlo intorno a sé. La violenza che ne consegue è qualcosa di disumano, ma umana è invece la sofferenza che la origina. Persino l’agente Jason Dixon (Sam Rockwell), poliziotto razzista ed omofobo, dovrà fare i conti con la propria sensibilità, e capire che è possibile superare le nostre debolezze solo accettandole.

tre manifestiNon c’è nulla di male a sembrare poco virili, ad ascoltare gli ABBA, o a sentirsi inadeguati nel sostituirsi al proprio padre. Quel che è invece è sbagliato, o se non altro poco funzionale, è il voler dimostrare a tutti la propria forza, magari anche a discapito di chi non ne ha altrettanta. La vendetta è sicuramente qualcosa di comprensibile, e così pure la necessità di trovare un capro espiatorio, ma è sempre bene ricordarsi che la “rabbia genera altra rabbia”. La banalità di questa frase, pronunciata ingenuamente dalla fiamma dell’ex-marito di Mildred, non intacca però la verità del suo messaggio. A ribadirlo è lo stesso sceriffo, afflitto da un cancro in fase terminale, il quale accetta la propria impotenza con la forza della disperazione: saranno le tre lettere che scriverà, forse più dei tre manifesti, a cambiare infatti le cose. Magari il colpevole non verrà punito, forse non sarà nemmeno trovato, ma certamente smetteremo di cercarlo in noi stessi.

tre manifesti 4È dunque evidente che il film di McDonagh, sebbene descriva il cuore degli States, non si limita però ai confini del Missouri. Il finale, non a caso, si conclude con un viaggio oltre frontiera, ma è il film intero a muoversi tra questioni universali. Anche volendo considerare certi atteggiamenti come tipici delle praterie, non è di queste che il regista intende parlare. La paura del diverso, d’altra parte, è la stessa in Wyoming come a Cuba, e questo perché uguali sono gli uomini in tutto il mondo. Differenti potranno essere le cose che ci spaventano, la maniera di affrontarle, ma non la nostra natura. Francis McDormand, indecisa se accettare la parte, cambiò idea dopo aver letto la sceneggiatura: le era sembrato, più che un copione, un dramma shakespeariano. Tre Manifesti è infatti un film fuori dal tempo, calato in una precisa realtà ma non per questo circoscrivibile ad essa. Un film senza appartenenza politica, imparziale, più interessato alla giustizia che ai pregiudizi. Da questo punto di vista, se un antecedente lo si vuole trovare, è dunque assai vicino alla poetica del migliore Eastwood. Al di là delle derive country, che richiamano una certa produzione dei Coen (Fargo e O Brother, Where Art Thou?), è infatti all’anima dell’America che qui si guarda. E lo sguardo, che dal Missouri arriva fino a noi, è uno sguardo duro ma non privo di affetto.

Lo sguardo di chi è stato ferito.

Photocredits: www.imdb.com/title/tt5027774/mediaindex

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