Jozefina Daubegović è una poetessa fondamentale nella storia della poesia novecentesca occidentale. Parzialmente tradotta in italiano, la sua opera nel nostro Paese non è ancora tanto diffusa quanto meriterebbe. Fortunatamente la sua opera è stata tradotta anche nella nostra lingua e raccolta in varie prestigiose antologie. Per chi non la conoscesse bene, vale la pena ripercorrere qualche traccia essenziale della sua biografia. Jozefina Daubegović è nata nel 1948 in Bosnia-Erzegovina e ha intrapreso studi di Lettere e Storia in Croazia, fino all’epoca del suo esilio a Zagabria: rifugiata di guerra nel 1992, vi trascorrerà il resto della sua vita.
La storia di Jozefina Daubegović è una storia di poesia e il suo poetare è una storia di sensualità, lutto, guerra e soprattutto esilio, ma è anche uno sguardo, un punto di vista che nello sconcerto trova l’umorismo della resistenza, un volto curato, dietro al quale si nascondono gli abissi della disperazione. La disperazione per la perdita della patria, del tempo, dell’arbitrio di sé, della possibilità di progettare, persino la perdita delle cose più preziose per una letterata: i suoi libri e manoscritti andarono bruciati durante la guerra. Allora il destino di Jozefina Daubegović è il destino di una nazione e di un’epoca, il conflitto nei Balcani, ma anche delle derive del Novecento: perdere la propria casa. Cosa resta? Resta il corpo.
IL TRUCCO II
(…)
Il corpo è protetto dagli indumenti
il viso è nudo e solo
Bisogna truccarlo
merita l’illusione
Avere solo se stessi da abitare e da trascinare oltre la propria frontiera per sopravvivere. Portarsi dietro la casa dopo aver perso la pelle. Non è dunque un caso se gran parte dell’opera poetica di Jozefina raccolta ne La televisione di Dio¹ riguarda i segni sul corpo, le cicatrici, il trucco che nasconde e svela. Una ferita che emerge dal profondo e che è scritta sul corpo e solo così può essere trascritta su carta. Jozefina non ha bisogno di interpretare le sue poesie, le sue poesie nascono da come lei stessa ha dovuto interpretare la vita vivendola, vivendo le cause di forza maggiore e di legittima difesa.
Quali sono i colori della nostalgia e dello spossessamento? Di ciò che va in rovina, mentre la vita continua a rifiorire?
CREPUSCOLO TRA LE ROVINE
Davanti alla casa senza tetto il lillà nel pieno
della sua fioritura
cerca
con la sua cascata di fiori di ricoprire le rovine
Il profumo viola si spande raggiunge i muri rimasti
e passa tra i mattoni spezzati
Gli spettri che di notte si aggirano tra quelle case
profumano di lillà
e passando scuotono il polline viola dai mantelli
Per questo la notte tra le rovine è spettrale
e viola.
(Plehan, 15 aprile 1999)
Sempre in viaggio, non per scelta ma per fuggire, e ci sono pochi luoghi sacri che rimangono familiari: il luogo fertile – solitario – della scrittura – balsamo anche per la solitudine radicale e l’isolamento – e della parola poetica che argina lo squarcio dell’urlo atroce del silenzio e l’interiorità, unico campo in cui coltivare una libertà spirituale. I tre spazi non sono così separabili, sono piuttosto due sfumature della stessa notte. Il fiammifero per vedere e per riscaldarsi quando il pianto e il freddo ci ricordano che siamo orfani. Questo sentimento mi sembra di percepire nel testo La tartaruga raccolta nell’antologia Il tempo degli Spaventapasseri² che ha selezionato e ricomposto l’altra vena di Jozefina: la prosa poetica. La tartaruga ha la fortuna di portarsi sempre la casa con sé, ovunque vada se la ritrova sulle spalle ed è anche rifugio, ma non può mai disfarsene ed il peso diventa sbarra, callo. Quando senza terra diventiamo corazza.
Anche nella prosa poetica Jozefina riserva la qualità metafisica e resiliente della sua personalità: la narrazione del deserto. Jozefina nei versi brevi come nei testi più ampi racconta. Racconta cercando di ripristinare un equilibrio, di trovare nei dettagli i segni di un passaggio di senso, laddove continuare a vivere sembra impossibile. Tempi di attesa e paura che non sono risparmiati a nessuno, allora risuonano come un’amicizia antica con chi prima di noi è passato per l’esperienza terrena.
Considerando l’opera di Jozefina nella sua completezza è evidente come la poetessa abbia trattato il contingente all’interno delle dinamiche universali: il tempo e la sua logica autonoma, indifferente e la nostra percezione dello scorrere di noi stessi, nonché – tra le righe – un lamento. Dove è Dio? In cosa avere fede quando la distruzione impera? La televisione di Dio, infatti, non è solo il titolo dell’antologia, ma dell’omonima poesia che si accompagna a Un Dio benintenzionato e Il detentore del telecomando. Jozefina si rivolge a Dio come ad un’entità “smemorata” e alquanto incomprensibile che tuttavia è impossibile smettere di pensare, pregare, ma anche di incolpare benché sia fonte di ispirazione artistica e quindi di speranza. C’è sempre spazio per l’incanto.
(…)
Credo che riesca ancora a sopportarmi solo perché nessuno sa pregare più fervidamente
E nessuno gli tributa una tale gratitudine
È piuttosto vecchio e temo che
Appisolandosi possa premere per caso “delete”
A ripensarci mi rincresce per lui
Perché so che da tanto tempo ha come me
Il terrore di un un virus nel computer cosmico.
(Zagabria, 23 agosto 1997)
Pur nell’esprimibile e nell’incomunicabile, Jozefina non rinuncia alla comunicazione, all’espressione e all’ironia. Non rinuncia alla possibilità di relazionarsi al mondo e di testimoniare un sapere dell’anima. In questo senso, fa sovvenire il pensiero della filosofia lirica diMaria Zambrano: «Presi come siamo dal coltivare distinzioni e differenze, abbiamo dimenticato l’unità che risiede nel fondo di ogni uomo che crea attraverso la parola: la poiesis, espressione e creazione al medesimo tempo, unità sacra dalla quale nasceranno, per rivelazioni successive, separandosi alla nascita – la nascita è sempre una separazione -, la Poesia nelle sue differenti tipologie, e la Filosofia»³.
Seguendo l’insegnamento di Maria Zambrano ritrovo in Jozefina la cifra ulteriore della giustificazione: non solo sembra rimproverare dolcemente un Dio da cui si sente abbandonata proprio perché mostra indifferenza nel non giustificarsi, ma Jozefina cerca una giustificazione per Dio e anche per sé stessa, per le sue vanità, per le sue piccole dipendenze, per il suo fissare gli eventi.
TRUCCO III
Da molti anni mi
Mi trucco con costanza la faccia
Per assomigliare alle facce dei concittadini
(…)
La sua partecipazione democratica al mondo passa per un tentativo di cogliere i movimenti della coscienza, non esprime unicamente emozioni. Forse, una poesia consolatoria, a tratti. Ma anche una poesia filosofica. Come difendere la vita senza creare una corazza quando si vuole rimanere umani (disarmati) rispetto a chi abbraccia le armi e uccide?
Qui mi soccorrono di nuovo le parole di Zambrano: giustificarsi non vuol dire altro che mostrare le origini, mettere a confronto l’essere che si è sviluppato con la necessità originaria che lo ha fatto nascere; mettere a confronto l’immagine dell’essere fatto, “storico”, con l’immagine originaria della Filosofia ne lascia intravedere un’altra persino più pura: la necessità ancora indifferenziata dell’uomo ha di esprimersi creando, rendendo la sua espressione creazione oggettiva.
Nel 2010 – e in varie occasioni successive – la poetessa Bianca Tarozzi è stata a Bologna per presentare “La televisione di Dio” e per raccontare di Jozefina, scomparsa prematuramente nel 2008. Bianca Tarozzi e Jozefina Daubegović si sono incontrare ad un convegno di poesia a Trieste e da lì hanno continuato una conversazione epistolare a distanza, solida come la roccia.
«Con Jozefina ci scambiavamo regali e brevi messaggi e c’era tra di noi un affetto che superava le difficoltà linguistiche. Ho desiderato imparare la sua lingua per poter leggere quelle sue poesie nell’originale ma anche così, come avviene per i veri poeti, le sue parole attraversano le barriere delle lingue e vanno a segno come frecce lanciate da un arciere infallibile.»
Così, l’amicizia tra due poetesse ha permesso di raccontare un altro aspetto importante della vita di Jozefina: la storia di Jozefina, persona molta amata, è anche una storia di grandi amicizie, appunto. L’amicizia e le affinità hanno permesso di diffondere la sua po-etica nel resto d’Europa. La copertina de La televisione di Dio, ad esempio, racconta l’amicizia: si tratta di una illustrazione di Lia Rondelli che la stessa realizzò come biglietto regalo inviato a Jozefina.
Forse non tutti sanno, tra l’altro, che le poesie di Jozefina sono state impiegate da molti psicoterapeuti della sua patria per curare pazienti con traumi di guerra, del resto la malattia come condizione esistenziale non è mai elusa da Jozefina, volontariamente, la malattia è trattata come fatto storico, appunto, conseguenza a cui non si può rimediare.
La malattia è l’insieme delle lacerazioni dell’individuo e la migrazione non lenisce, non è cura, anzi. “Andare via” non è un balsamo ma una violenza. In questo senso, non è secondario il grande lavoro linguistico operato da Jozefina sulla sua lingua madre e da questa consapevolezza muove la scelta delle edizioni “In forma di parole” di mantenere il testo a fronte.
Legami e amicizie stanno proprio in questo lavoro linguistico che trova la sua massima sfida nella traduzione. È davvero possibile tradurre una poesia? Ne vale comunque la pena perché ciò che si traduce è oltre la metrica, si traduce l’esperienza e si fa conoscenza la sapienza di chi, come Jozefina, ha innovato rispetto alla tradizione, soprattutto con l’attraversamento e il superamento della metrica.
In questo aspetto tecnico, Jozefina ha mostrato la sua qualità controcorrente, imposta metonimicamente dal suo spostamento geografico contro la sua conformazione, nondimeno vissuto, effettuato. Così, prende forma il concetto del “superamento” nello scorticamento. In tempo di guerra anche il serpente resta nudo. Il contrasto, nelle sue opere si trova sempre trasposto ricorrendo al campo lessicale animale e vegetale.
ERBA – SEGRETO
Abbiamo raccolto a piene mani
negli angoli della bocca fili d’erba
tra i denti pure
così dobbiamo dire
niente
né dove siamo stati
né cosa abbiamo fatto
né il nome dell’erba (perché non perda la sua proprietà
medicinale)
(…)
Nell’oblio e nell’onirismo di un incoscio turbato dal fantasma della morte, Jozefina tenta sempre di definire sé stessa, di trovarsi in un mondo a pezzi. Sempre Jozefina si specchia negli sprazzi di vita che rinascono, ricrescono, anche se nella vita della sua giovinezza il tempo associato alla guerra portava ad una sola conclusione, ossia che “il nuovo non attecchisce”. Ma quando si sogna è possibile il risveglio.
MAMMA DOMA
Quante volte mentre facevo brutti sogni
nel mio letto di ragazza
(ed era già mattina inoltrata)
mi salvava la tua voce che chiamava – caffé è pronto
con lo stesso entusiasmo con cui il marinaio
dopo una lunga navigazione esclama
terra in vista.
(Zagabria, 4 settembre 1996)
Personalmente, tengo in gran conto l’opera di Jozefina Daubegović e faccio la mia parte per farla conoscere e per tributarle il valore che tracima dalla sua arte. Essenzialmente, le composizioni di Jozefina trasudano bellezza e sono votate a far emergere la grande considerazione verso la poesia ed il pudore verso la sofferenza, verso ogni sofferenza dietro ogni storia.
Il tono è sempre diversificato. Spesso è colloquiale, mai destrutturato. Si rintracciano scintille di manierismo che richiamano la poesia americana narrativa e l’arte visiva: poesie come fotografie di Aleksandra Radonich o di Giulia Niccolai. A ripensarci, però, la poesia americana di stampo narrativo è solo una suggestione, prima viene il riflesso dello spirito della tradizione fiabesca bosniaca e slava come ballate simboliche che si fanno ponte del senso temporale. Most e cuprija sono le due parole – slava e turca – che esprimono il concetto di ponte: la parola poetica è il legame con il passato, un tentativo di continuazione e di rallentamento nella Storia che sovrasta. La parola poetica è una costruzione a cui ispirare una vita che segua un ritmo e un’evoluzione molto più ampi e lenti di quelli degli individui e delle architetture travolte dalla guerra.
Infine, avvicinandoci all’opera di Jozefina, ammireremo una poesia sciolta ma formalizzata per estrarre significati in uno stile che ricorda molto l’ermetismo di Mallarmé. Il modernismo di Jozefina le è valsa la definizione di “emozione ghiacciata”, anche se l’humour sentimentale, a volte scherzoso, e la levità fanno irrompere un’autenticità che scioglie ogni nodo e glissa dove la vita porta.
LA PATRIA NELLA VALIGIA
Quando disfo l’unica valigia
In un qualsiasi albergo
Le nuvole della patria
Le sistemo sul ripiano più alto
Perché non si stropiccino
Il ricordo delle fotografie
Che non sono riuscite a invecchiate
Lo tengo a portata di mano all’altezza degli occhi
Con gli altri ricordi procedo cautamente
Quando apro l’armadio di un qualsiasi albergo
I pezzi della mia patria li appendo
Sulle grucce
(…)
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¹La televisione di Dio, ed. Cicero, Venezia, 2009. Traduzione di Ginevra Pugliese. Prefazione di Sanja Roić, Il sogno di una casa
²Il tempo degli spaventapasseri, ed. In forma di parole, Bologna. Collana diretta da Gianni Scalia
³ Maria Zambrano, Verso un sapere dell’anima, ed. Raffaello Cortina, Milano, 1996. Traduzione di Eliana Nobili. Introduzione di Rosella Prezzo
Immagini
- Per saperne di più sull”immagine di copertina e sull’immagine nel testo, entrambe relative al MUU Street Art Festival di Zagabria 2013, potete leggere l’articolo pubblicato da Il Gorgo, Tellas x Ciredz – New Pieces at MUU Street Art Festival in Zagreb
- Quanto a Aleksandra Radonich, nel luglio del 2008 è stata a Cremona per presentare “Wonderland Serbia”. Project Room Galleria Dellearti accolto i suoi lavori della giovane fotografa che ha recentemente partecipato ad Art Basel. «L‘altra Serbia, lontana dal caos del conflitto, un luogo in cui le differenze si compongono e si armonizzano nei ritmi naturali.» Per apprezzare altri scatti, qui.
Richiami / ricami
- Sempre e ancora poesia con questo approfondimento: La libertà è una parola, parola di poetessa araba di Luisa Rinaldi
- Di María Zambrano potete leggere anche qui: María Zambrano di Cristina Celani
- Un approfondimento sulla concezione moderna del tempo si può trovare qui: Discorso sul Tempo, ovvero il creparsi delle nostre fondamenta tra paradosso e irrealtà di Simone Marcelli