Flaubert: Madame Bovary, c’est moi!

Immaginiamo una sala di lettura. Aprendo la porta, risalta alla vista un’immensa vetrata, un tappeto sul pavimento, un tavolino su cui è poggiato un servizio da tè, una poltrona rossa. Alla vostra sinistra, trovate un’immensa libreria, di quelle con la scala scorrevole. Avvicinatevi alla sezione dei classici, arrampicatevi sulla scala e giungete alla lettera F (immaginiamo che i libri siano disposti per autori). Focalizzata la lettera F, non sarà difficile trovare il nome di Flaubert. Prendete, allora, un romanzo un po’ sgualcito, letto tante e tante volte, il suo titolo è Madame Bovary. Accomodatevi sulla poltrona rossa, degustate un po’ di tè, assaggiate un biscotto e immergetevi nella lettura. Avendo appena finito di leggere, starete immaginando un’esile signora Bovary che sogna troppo per via delle letture. Immersi nelle vostre fantasie, alzando gli occhi verso la finestra (ormai il sole è quasi tramontato), troverete una figura, un fantasma. È Gustave Flaubert che, sorridendo, vi sussurra: «Madame Bovary, c’est moi!». Ma chi è Emma Bovary? È esistita davvero o è una proiezione del suo inventore? E perché Flaubert pronunciò in modo convinto quell’affermazione, sul fatto di essere lui stesso la sua eroina?www.elilaspigaedizioni.it

La vita di Gustave Flaubert fu scandita dalla letteratura: «nacque romanziere, crebbe, visse e morì romanziere, respirando, sentendo, pensando, parlando, e compiendo ogni singolo atto della sua vita come sacerdote di quell’arte. […] Forse, anzi, non è tanto esatto dire che nacque e visse romanziere, quanto che nacque e visse letterariamente, e vivere letterariamente costituì per lui una necessità quasi opprimente» (James – La lezione dei maestri) tanto che il numero delle opere flaubertiane non riesce a raggiungere la decina. James scrive che l’amore per le lettere lo abbandonò quasi subito e ciò che probabilmente lo sostenne fu la rabbia e la consuetudine alla fatica.  Il rapporto che ebbe con la scrittura e con la società del tempo fu difficile, come si evince dalla lettera inviata il 4 giugno 1850 all’amico Louis Bouilhet: «Sento di non avere la forza fisica di pubblicare, di andare dallo stampatore, di scegliere la carta, di correggere le bozze, ecc. […] Tanto vale lavorare solo per sé. Si fa come si vuole e sulla base delle proprie idee. […] E poi, il pubblico è così stupido!»

Occorre ricordare che Flaubert appartiene a quel gruppo di romanzieri, nati intorno al 1820, che si discostano dai grandi maestri delle generazioni precedenti quali Hugo, capostipite del Romanticismo francese, e Balzac, a cui si deve – insieme a Stendhal – l’invenzione del moderno Realismo. Fino al 1850 l’obiettivo della letteratura era stato quello di occuparsi dei problemi della società, ma nella generazione degli autori tardi romantici come Flaubert, Leconte de Lisle, Baudelaire,  «nasce il concetto e l’ideale di una letteratura che in nessun modo si immischi nei fatti pratici, che eviti ogni indirizzo morale e politico, e che si proponga invece unicamente il soddisfacimento di esigenze stilistiche» (Auerbach – Mimesis). Flaubert, come altri, decise di isolarsi totalmente nell’estetica e di non trattare affatto dei problemi del tempo. Questa decisione fu presa per una crescente avversione provata nei confronti della borghesia, mescolata all’appartenenza a quest’ultima: gli scrittori non solo erano legati alla società borghese per nascita ed educazione, ma anche trovavano nella borghesia i propri lettori ed editori. Sebbene la generazione del 1850 agisse in virtù dell’opposizione alla borghesia, non vi era la possibilità di allontanarsene: «l’antitesi affermata così frequentemente fra «artista» e «borghese» non deve indurci a credere che la letteratura e l’arte del secolo XIX abbiano tratto alimento da altro terreno che la borghesia».(Auerbach – Mimesis)

Pierre Bourdieu, in Le regole dell’arte, scrive che in quel tempo vi erano due poli di figure intellettuali: da una parte vi erano gli scrittori appartenenti all’Académie française sottomessi al Secondo Impero, dall’altra i cosiddetti scrittori bohème – come Baudelaire – che avevano difficoltà nel potersi esprimere. Basti pensare che Les fleurs du mal, la raccolta di poesie di Baudelaire, fu processato con Madame Bovary, ma a differenza di quest’ultimo, con esito negativo. Flaubert – tra tutti – ebbe la possibilità e la fortuna di mantenere una posizione autonoma per le proprie disponibilità economiche. Visse per la maggior parte del tempo a Croisset, vicino Rouen, dove si dedicò alla stesura delle sue opere, ma durante i suoi soggiorni a Parigi era molto disponibile ad incontrare gli amici. Non apprezzava la massa dei suoi contemporanei, ma la sua timidezza gli faceva mutare atteggiamento con le singole persone. Poche, però, furono quelle con cui lui ebbe relazioni profonde: occorre menzionare Maxime Du Camp, Louis Bouilhet, Louise Colet, George Sand.

Il totale abbandono all’estetica lo portò a creare uno stile proprio e particolare tanto che Henry James, nella prefazione a Madame Bovary, scrisse:  «Intellettualmente, egli era formato di due compartimenti distinti, uno per il senso del reale e uno per il senso del romantico, e che la sua produzione, per quanto conosciamo a tutt’oggi, si divide ordinatamente secondo queste due linee. Si tratta di divisioni nette, come le sezioni sul dorso di uno scarabeo, sebbene la loro nettezza sia senza dubbio l’espressione finale di una lotta durissima. Faguet […] mostra come il suo romanticismo fosse radicato nella realtà, e la sua realtà nel romanticismo» (James – La lezione dei maestri).

Queste due caratteristiche fanno sì che L’éducation sentimentale e Madame Bovary siano accomunate come Salammbô e La tentazione di Sant’Antonio: queste ultime due opere appartengono più al filone romantico, Salammbô è un romanzo storico ambientato a Cartagine, scritto per evadere dalla realtà, mentre La tentazione di Sant’Antonio è incentrato sui pensieri e sulle visioni del santo. Flaubert, in una lettera, scrisse di esservi molto legato, definendola l’opera della sua vita. L’éducation sentimentale e Madame Bovary, invece, appartengono al filone realista, anche se occorre sottolineare che il realismo flaubertiano non è quello di Balzac. In Flaubert, il realismo diventa imparziale, impersonale e obiettivo: «la sua opinione sui fatti e sulle persone non è mai espressa e quando i personaggi parlano, ciò non avviene mai in modo che l’opinione dello scrittore possa identificarsi con la loro, né avviene con l’intento che con la loro si identifichi l’opinione del lettore» (Auerbach – Mimesis). Le opere che si accostano al filone romantico hanno soggetti esotici ed esuberanti, più affini a Flaubert, a differenza dei tre soggetti borghesi che rappresenta rispettivamente ne L’éducation sentimentale, Madame Bovary e Bouvard et Pécuchet: l’unico spettacolo che gli veniva offerto dall’esperienza e da una conoscenza diretta era la borghesia, che di conseguenza gli fornì, in successione, i suoi tre soggetti così intensamente borghesi (James – La lezione dei maestri). La scelta di utilizzare la borghesia come materia dei suoi romanzi deriva dalla volontà di rappresentare l’esperienza e il mondo circostante. Madame Bovary è considerato da Peter Brooks in Realist vision l’unico romanzo a cui si debba attribuire l’etichetta di realista, ma Flaubert scrive in una lettera Mme Roger de Genettes: «Mi si crede innamorato della realtà, mentre la detesto. È infatti in odio al realismo che ho incominciato questo romanzo».

Il punto di partenza della scrittura di Madame Bovary fu dato da una frustrazione. Flaubert, a settembre del 1849, chiama – nella sua dimora a Croisset – gli amici Maxime Du Camp e Louis Bouilhet per ricevere un parere su un manoscritto: Tentation de saint Antoine. Dopo la lettura, i due amici fidati danno a Flaubert un responso negativo e gli suggeriscono di trattare un’altra materia:

«Visto che hai un’inevitabile tendenza al lirismo, cerca un argomento in cui il lirismo diverrebbe così ridicolo da vederti costretto a controllarti e a eliminarlo. Una vicenda banale, uno di quegli incidenti che abbondano nella vita borghese, qualcosa come La cousine Bette o Le cousine Pons, di Balzac, e sforzati per trattarlo in modo naturale, quasi familiare, evitando quelle digressioni, quelle divagazioni, belle in sé ma che sono intermezzi inutili per lo sviluppo dell’idea e fastidiosi per il lettore». (Vargas Llosa – L’orgia perpetua)articulo.mercadolibre.com.co

È il giorno successivo che Bouilhet consiglia allo scrittore di interessarsi alla vicenda di Delamare (chiamato erroneamente da Bouilhet Delaunay). Nella provincia di Ry, un medico chiamato Eugène Delamare sposa dapprima una donna più anziana di nome Mutuel, di cui rimane vedovo l’anno successivo. Mesi dopo il dottore sposerà Delphine Couturier, figlia di fattori. Questi dati sono riconducibili alla vita di Charles Bovary così come la figura di Emma può essere collegata a quella di Delphine che – come Emma – ebbe degli amanti, sperperò il denaro del marito e fu una consumatrice di romanzi. Un altro fatto da cui Flaubert prende spunto è quello riguardante la figura di Madame Ludovica – in realtà Louise D’Arcet, sorella di un compagno di scuola di Gustave – che dopo essere rimasta vedova sposa lo scultore James Pradier, conducendo una vita lussuriosa e portando alla rovina il marito che si separò legalmente da lei nel 1845. La fonte viene ritrovata da Gabrielle Leleu nel 1947 tra i fogli che Flaubert utilizzò per Bouvard et Pécuchet: nei Mémoires de Madame Ludovica l’autrice, che scrive in modo rozzo e goffo, si presenta come moglie di un falegname vicina alla vita di Louise d’Arcet. Quanto al cognome Bovary vi sono diversi aneddoti: uno dei più importanti accade quando Flaubert ha ventiquattro anni – sei anni prima di cominciare a scrivere il romanzo – e riguarda l’affaire Loursel, avvenuto a Rouen, secondo cui un uomo fu processato per avere ucciso la moglie e una domestica per sposare l’amante Esther de Bovery. Oppure, secondo altre teorie, Flaubert inventò il nome ispirandosi al latino bovarium, boarium, per conferire caratteristiche bovine a Charles Bovary oppure ancora un’altra teoria riguarda un antenato di Flaubert chiamato Anne de Boveri. Tuttavia, la scelta del nome è da ricondurre al viaggio in Oriente intrapreso con Du Camp nel 1850. Trovandosi nella Nubia Inferiore, sulla cima del monte Abucir, Flaubert avrebbe urlato «Eureka! La chiamerò Emma Bovary! E avrebbe ripetuto il nome più volte, assaporandolo» (Vargas Llosa – L’orgia perpetua).

La stesura del romanzo fu lunga e difficile: dura, infatti, dal 1851 al 1856, anno in cui il libro fu processato. Uscì a puntate sulla Revue de Paris fra il primo ottobre e il quindici dicembre del 1856 e, dopo la sua assoluzione in tribunale, fu pubblicato definitivamente nel 1857. Fondamentale è lo scambio fra Flaubert e Louise Colet, amante dello scrittore dal 1846 al 1848. I due si riconciliano dopo il ritorno di Gustave dall’Oriente e grazie allo scambio cartaceo, di cui ci restano soltanto le lettere di Flaubert a Louise fino al 1854 (anno in cui i due amanti litigano definitivamente), si comprende la difficoltà che lo scrittore ebbe nel costruire il suo romanzo.

«Ho ripreso il lavoro. Spero che proceda, ma francamente la Bovary mi annoia. […] Buono o cattivo che sia, questo libro rappresenterà per me un prodigioso tour de force, tanto lo stile, la composizione, i personaggi e l’effetto sensibile sono lontani dalla mia maniera naturale. Con Sant’Antonio ero a casa mia. Qui, sono a casa del vicino; così non mi trovo per niente a mio agio». (Lettera a Louise Colet, 13 giugno 1852)

Spesso scrivendo, Flaubert sfiora il collasso nervoso a causa del lavoro eccessivo, dell’intensa eccitazione e dei problemi riguardanti lo stile. Ma è in quegli anni che lo scrittore riesce a comprendere uno degli elementi fondamentali per la sua teoria del romanzo ossia il contatto fra realtà e immaginazione che genera la realtà fittizia. Per questo, egli assiste ai comizi agricoli, risfoglia vecchi libri che saranno le letture infantili di Emma, domanda all’amico Bouilhet nozioni di medicina e si reca a Rouen presso un avvocato e un notaio per ciò che concerne l’economia. Dunque, è questo ciò che fa Flaubert: attua un saccheggio dato dalle esperienze, primarie o secondarie, alcune vissute, altre lette o udite, e le rimaneggia. In una lettera a Louise Colet, egli scrive:

«Tout ce qu’on invente est vrai, sois-en sure. La poésie est une chose aussi précise que la géometrie. L’induction vaut la deduction, et puis, arrivé à un certain point, on ne se trompe plus quant à tout ce qui est de l’ame. Ma pauvre Bovary, sans doute, souffre et pleure dans vingt villages de France à la fois, à cette heure meme». (Vargas Llosa – L’orgia perpetua)

Ed è anche per questo che Flaubert dirà «Madame Bovary, c’est moi»: perché il romanziere inventa storie partendo da ciò che vive, vede e sente.

Flaubert detesta Emma, ma allo stesso tempo non può fare a meno di scrivere quel romanzo capolavoro che è Madame Bovary. Perché, allora, alla fine del romanzo Emma muore, ingurgitando l’arsenico? Perché Gustave la uccide? In una parte di Emma, Flaubert si riconosce: è questa la parte di se stesso che, attraverso la scrittura, uccide.

Schiacciata, respinta nel suo mondo piccolo-borghese, dove non esiste letteratura ma cattiva letteratura, dove non c’è coscienza ma cattiva coscienza, Emma è sacrificata a una verità distruttrice e più alta di ogni istanza individuale: la verità del mondo alto-borghese che disprezza sadicamente il Kitsch e il romantisme, della letteratura come ultima religione superstite, d ella Coscienza come rivelazione del niente mondano e sguardo abbacinato dalla luce dell’arte. La prima colpa della signora Bovary è di prostituire la santità del bello ai fini pratici delle sue “convoitises personnelles”. Uccidendo l’Emma che ha in sé, Flaubert uccide quindi Gustave Flaubert. (Raffaele Donnarumma)

Immaginiamo che Flaubert vi abbia spiegato tutto quanto. Immaginiamo che sia stato chiaro il suo rapporto di amore e odio con Emma Bovary. Immaginiamo di pensare, per un momento, che forse, in fondo, tutti siamo Madame Bovary. «Mai ingenui, sempre lucidi, passiamo il nostro tempo a succedere a noi stessi, eternamente convinti che madame Bovary sia l’altro. Anche Emma doveva pensarla così». (Come un romanzo – Daniel Pennac)

E se Emma sbagliava a pensarla così, è probabile che ci sbagliamo anche noi.

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