Confine ed elogio del margine

Uno dei principali esperti in psicologia sociale, Willem Doise, nella propria riflessione psicosociale sull’uomo che definisce sé stesso, i propri confini sociali e costruisce i principi della difesa della propria umanità, scrive:

I diritti umani fondamentali che regolano la vita della società non sono un dono del cielo o un dato naturale e immutabile: si costruiscono e decostruiscono sotto i nostri occhi. Sono affermati in certe situazioni storiche non tanto per difendere l’ordine costituito, ma per far evolvere i rapporti sociali: s’inscrivono in un approccio normativo che mira a definire una società ancora da venire.

Sul fronte dei diritti, il XX secolo ha dato il meglio e il peggio: sono coesistiti tentativi di creare le basi istituzionali per il rispetto e accanimenti collettivi nella loro violazione sistematica. Per tutto il movimento femminista, attentati alla democrazia e violazioni dell’uguaglianza fra i sessi, per la politica e la giurisprudenza problemi di scollamento tra la proclamazione dei diritti e la loro ammissibilità di violazione. Ma come chiedersi se l’individuo abbia meritato il rispetto dei suoi diritti? Quel rispetto gli è dovuto per il semplice fatto che esiste.

In Confini e identità. La costruzione sociale dei diritti umani, Doise scrive:

La prospettiva universalistica inscritta nei diritti umani (…) implica la costruzione di uno spazio d’incontro e di discussione in cui diventino possibili rapporti non solo di uguaglianza, ma di solidarietà tra individui che fanno capo a realtà e appartenenze diverse. Le ricerche degli psicologi sociali sui diritti umani dovrebbero concorrere alla creazione di un forum dove coloro che subiscono una violazione possano difendere i propri diritti. (…) Generazione dopo generazione, militanti idealisti si sono battuti contro le decisioni arbitrarie prese da chi deteneva il potere, hanno denunciato le discriminazioni, hanno fondato istituzioni destinate a garantire a tutti una protezione sociale e si sono adoperati per difendere il diritto alla diversità culturale. (…) Il sociocostruttivismo postula che i saperi costruiti dagli esseri umani circa il loro modo di vivere insieme, non riflettono soltanto le loro relazioni attuali, ma possono anche indicare delle possibilità di trasformazione. Nello studiare i diritti umani, ritengo che le loro principali definizioni istituzionali rappresentino l’esito provvisorio dei continui sforzi per disciplinare quelle relazioni e farle progredire.

La psicologia sociale non si limita a studiare le sole relazioni tra le persone e i gruppi senza analizzare l’intervento delle credenze generali diffuse in una società dove i gruppi e gli individui si inseriscono in una grande varietà di reti diverse. In particolare la psicologa sociale Susan Fiske, considera la stereotipia maggiormente probabile quando una categoria è resa saliente sulle altre e vede aumentare la sua visibilità, quando cioè i suoi membri assolvono compiti solitamente non attribuiti agli individui appartenenti alla loro categoria. Un’analisi sulla realtà obiettiva serve a promuovere uno stato di diritto, una realtà che ancora non esiste ma che dovrebbe esistere se fossero applicati i principi democratici. Sembra troppo spesso che la storia umana proceda a passo di gambero, come ha scritto Umberto Eco.

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bell hooks

Esistono ancora oggi dei margini e delle frontiere invalicabili, volte a sottolineare una proclamata diversità, in particolare di genere. Alcune pensatrici del femminismo afroamericano e post-coloniale provano a declinare tutto un discorso sul postmoderno come critica – con intenti etico-politici – dell’identità, a partire dal ripensamento della pluralità di soggettività dell’ultimo secolo. In questa direzione si collocano le riflessioni della pensatrice afroamericana bell hooks, pseudomino scelto da Gloria Jean Watkins negli anni della sua lotta femminista e afroamericana. In Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale (1998) raccoglie alcuni testi significativi sull’esplorazione della soggettività, a partire dall’esperienza delle donne nere afroamericane durante la schiavitù e poi nel contesto di segregazione razzista e di emarginazione dei neri. Si rivela fondamentale delineare un punto di vista critico che contribuisca a costruire nuove strategie di resistenza e di contropotere tanto nella lotta di liberazione dei neri quanto nella lotta femminista contro il sessismo. Fulcro centrale è l’interconnessione e la sovrapposizione fra discorso sulla razza e discorso sul sesso, al fine di mostrare come razzismo e sessismo siano sistemi di dominio che si sovrappongono a vicenda.

Bell hooks ritiene che nella lotta contro il razzismo occorra “respingere la sessualizzazione della liberazione nera in forme che sostengano e perpetuino sessismo, fallocentrismo e dominio maschile”. D’altra parte, le femministe devono vigilare affinché non si rappresenti come universale per tutte le donne la posizione della donna bianca, adulta e di classe media, considerando ad esempio la lotta al razzismo o contro l’ingiustizia sociale come subordinata a quella contro il sessismo. Bell hooks ricorda il ruolo fondamentale delle donne nere per la costruzione di spazi di riappropriazione di sé, di bellezza e di umanizzazione, per individui che la violenza degli schiavisti privava di mondo, di identità personale e di riconoscimento. Dunque l’assunzione di un’ottica femminista e insieme postcoloniale può dar vita a una visione “rivoluzionaria di liberazione nera”, che non si faccia intrappolare dalle costruzioni “essenzialistiche” dell’identità nera, che tenga conto della propria storia e memoria riuscendo a promuovere una cultura nera davvero altra rispetto a quella dominante e capace di far uscire dallo stato di crescente emarginazione e “spossessamento di sé”. Il margine è il luogo concreto dell’emarginazione e/o dell’esclusione dei neri ai confini e al di fuori dal centro rappresentato dalla comunità bianca dominante. Ma il margine può rivelarsi anche come uno spazio critico privilegiato per adottare nuove e più ampie prospettive. È in questo senso che bell hooks ritiene fondamentale rimanere fedele alla marginalità, l’unica soglia dove la memoria del passato può dar voce a forme di resistenza e pratiche contro-egemoniche rispetto a quella cultura del dominio e dell’oppressione che persiste, in forme diverse e più occulte. La sua esperienza personale, dolorosa, di confinamento, di espulsione, di misconoscimento, viene raccontata così:

To be the margin is to be part of the whole but outside the main body. For black Americans living in a small Kentucky town, the rail-road tracks were a daily reminder of our marginality. Across those tracks were paved streets, stores we could not enter, retaurants we could not eat in, and people we could not look directly in the face. Across those tracks was a world we could work in as maids, as janitors, as prostitutes, as long as it was in a service capacity. We could enter that world, but we could not live there. We had always to return to the margin, to beyond the tracks, to shacks and abandoned houses on the edge of town. There was laws to ensure to return. To not return was to risk being punished. Living as we did – on the edge – we developed a particular way of seeing reality. We looked both from the outside in and from the inside out. We focused our attention on the center as well as on the margin. We understood both. This mode of seeing reminded us of the experience og a whole universe, a main body made up of both margin and center. Our survival depended on an ongoing public awareness of the separation between margin and center and an ongoing private acknowledgment that we were a necessary, vital part of that whole.

Il margine diviene quello spazio di disperazione collettiva, dove la creatività e l’immaginazione resistono. Il margine diviene una rappresentazione del sé e dello spazio che è capace di creare una nuova coscienza critica del mondo contemporaneo e della “microfisica dei poteri” che governano i corpi e le vite degli esseri umani. Lo spazio del margine diventa spazio di resistenza, caratterizzato da quella cultura segregata di opposizione che è la nostra risposta critica al dominio. La nostra trasformazione, individuale e collettiva, avviene attraverso la costruzione di uno spazio creativo radicale, capace di affermare e sostenere la nostra soggettività, di assegnarci una posizione nuova da cui poter articolare il nostro senso del mondo.

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