virginia-mori-domenico-brancale-le-due-bambine

Le due bambine di Domenico Brancale e Virginia Mori

La prima volta che ho incontrato il tratto di Virginia Mori, diventatomi poi inconfondibile, stavo camminando per Bologna. Lucidità e suggestione assieme, in perfetto equilibrio: il suo disegno non offre nessuna risposta risolutrice, ma sceglie di dirla in un linguaggio che non lascia spazio all’incomprensione. Sì, quella ragazza–bambina ha davvero rotto lo specchio con la testa ed è dall’altra parte del muro, a vedere (o non vedere) qualcosa che non sapremo mai.

Proprio le illustrazioni di Virginia danno forma, viso e profondità alle parole del poeta Domenico Brancale, che ci accompagna alla scoperta di Isa e Bella, del loro rapporto complice, della loro coesistenza al riparo dal mondo. Perché Isa e Bella devono essere dove una è l’altra: assieme, sono un’unica persona. Ma non è questo l’importante.

Le due bambine, scritto da Domenico Brancale e illustrato da Virginia Mori, è una prova eccellente di fiaba.

Il tratto che mi ha colpita di più ne Le due bambine è, senza alcun dubbio, l’utilizzo perfetto del linguaggio della fiaba: leggerlo (e guardarlo) è stato come tornare alla mia infanzia, in cui le formule – sia stilistiche che di narrazione – si ripetevano da racconto a racconto, creando un mondo sicuro di cui ero in grado di decodificare e maneggiare il codice.

Tanto, ma tanto, ma tanto tempo fa, così tanto che nessuno più si ricorda quando, in un posto, ma molto, ma molto lontano, così lontano che chi è partito da qui per andare là e chi è partito da là per arrivare qui non si sono ancora incontrati, c’era una bambina…

Mio padre, che iniziava così ogni racconto

Il tratto orale e formulaico che Domenico Brancale usa con eccellenza ne Le due bambine lo rende estremamente credibile nelle vesti di narratore che conosce e sa dirigere la storia. Ci dice – senza dirlo, ovviamente che dobbiamo fidarci di lui mentre ci parla delle due bambine e delle loro avventure, perché ci porta sul loro stesso piano, facendoci sentire la verità indissolubile di quello che sta raccontando. Allo stesso tempo ne mantiene perfettamente il controllo, rivelandoci e rimettendo subito al sicuro quanto vuole di Isa e Bella, ricordandoci che nelle fiabe è più potente il non detto rispetto al detto.

Per esempio nelle frasi «E come si chiamavano queste due bambine? / Si chiamavano come si dovevano chiamare» dimostra una certa risolutezza, tipica della voce narrante delle fiabe, che da un lato già filtra e seleziona le informazioni e le riduce all’essenziale per la propria audience, mentre dall’altro dimostra quasi una certa diffidenza nei confronti del suo pubblico, tanto da non voler svelare subito il mistero del nome. Oppure poco dopo, molto prima della metà del libro, quando Domenico dice «E qui finisce la storia. / Ma non era appena / cominciata? / Effettivamente sì. / Allora ricominciamo» non può non farci pensare a «C’era una volta un re, seduto sul sofà» oppure la versione delle mie parti, che può essere tradotta in italiano con «La storia dell’oca è bella ed è corta, vuoi che te la racconti? [La solfa de l’oca l’è bela e le poca, goi de contatela?]» al che tu bambino dicevi «Sì, sì!» e subito l’adulto replicava «La storia dell’oca è bella ecc ecc» all’infinito.

Il tutto viene amplificato dalle illustrazioni di Virginia, che riescono a mettere in luce con estrema precisione quella protezione complice che i bambini hanno verso loro stessi, quando si sentono molto soli e i loro stessi protettori. Le coglie in momenti intimi, come quando si addormentano sul divano, le scarpe più piccole infilate perfettamente in quelle più grandi, o in momenti perfettamente credibili d’infanzia, come quando Bella sta sui piedi di Isa, sdraiata a pancia in su,proprio come facevo io con i miei fratelli più piccoli per far credere loro che potessero volare.

Edito da Blu Gallery e Modo Infoshop, Le due bambine è una fiaba che avrei voluto mi fosse letta da piccola, che trovo affascinante letta a quasi-29 anni, che vorrò leggere a chi sarà piccolo in futuro. Perché, più di tutto, è una storia per stare con se stessi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.