La carne di laboratorio è quasi pronta. E noi?

È proprio così: ormai la carne artificiale è realtà. O meglio, è una realtà molto più alla nostra portata da quando Mark Post, scienziato dell’Università di Maastricht, la fece degustare in mondovisione, il 5 agosto 2013. Il burger in questione, realizzato nel suo laboratorio, risultava invitante nell’aspetto, piacevole all’assaggio, definitivamente simile a carne. Queste le parole di Hanni Rützler, esperta di food trends, ospite d’occasione del programma in qualità di assaggiatrice. Le stesse considerazioni venivano fatte dal food writer americano Josh Schonwald, come secondo assaggiatore. Nonostante la consistenza leggermente insolita rispetto a quella più soffice di un hamburger convenzionale, l’assaggio risultava piacevolmente sorprendente. I due critici non avevano dubbi: ad occhi chiusi, avrebbero detto senza esitare che quello di fronte ai loro occhi altro non era che un prodotto a base di carne bovina, non uno a base vegetale.


Launch of the world’s first cultured meat hamburger (August 5, 2013)

L’obiettivo di Post era quello di creare una carne artificiale che fosse biologicamente identica al manzo, ma che fosse ottenuta in laboratorio piuttosto che in allevamento. Inoltre, la realizzazione di questa carne avrebbe ridotto in gran misura il numero di allevamenti intensivi, noti per essere al primo posto in tema di emissioni nocive di CO2. Il procedimento ha inizio con il prelievo, non invasivo, di mezzo grammo di tessuto muscolare dall’animale. Il punto di partenza biologico è costituito dalle cellule staminali. Una volta estratte e messe in coltura in laboratorio, queste si moltiplicano e si organizzano in fibre muscolari. Da qui diventa facile la realizzazione di un hamburger vero e proprio. Se poi si aggiungono sale, pepe e gli aromi convenzionali, è fatta.

Una nota dolente riguarda lo sfruttamento animale che, seppur ridimensionato, continua a essere previsto anche nel protocollo di Post. Questo, infatti, risulta inevitabile per l’ottenimento del campione da cui estrarre le cellule staminali e lo specifico fattore di crescita FBS.

Un’altra nota a sfavore della carne sintetica di Post è il costo di produzione enorme: la realizzazione dei 150 gr di burger era stata finanziata con ben 250.000€ da Sergey Brin, co-fondatore di Google, sensibile alla lotta per il benessere animale e la tutela ambientale. La motivazione risiede nei 6 lunghi anni di tentativi sperimentali, visti l’utilizzo massivo di materiale di laboratorio e la quantità di tecnici di laboratorio coinvolti. La domanda successiva sorge spontanea. Se questi sono i costi, come potremo mai permetterci di mangiare carne sintetica? 

Alcune risposte sono già qui grazie alle numerose start-up nate negli ultimi anni: la carne sintetica ha preso piede in quasi tutto il mondo. La Just I.n.c., per esempio, con sede in San Francisco, già da anni produce e vende su scala internazionale prodotti “plant-based”, e con gli stessi ideali ha cominciato ad interessarsi anche di carne in vitro. Higher Steaks è una start-up nata negli UK, da diplomati dell’Imperial College, impegnata nella produzione di carne di maiale sintetica, sempre a partire da cellule staminali. Meatable, nata invece in Olanda, utilizza un procedimento molto simile per produrre carne sintetica di manzo. Un ultimo esempio è la Aleph Farms, che produce carne sintetica bovina e che è localizzata in Israele, dove la percentuale di vegetariani e vegani è molto più alta rispetto al resto del pianeta.

Il procedimento di realizzazione della carne, a prescindere dalla tipologia (pollo, manzo, maiale) è sempre molto simile a quello di Post, ma, con alcuni miglioramenti, è possibile ottenere un pezzo di carne sintetica ad un costo molto basso. Basti pensare che, ad esempio, la Future Meat Technologies sostiene di poter arrivare ad un prezzo inferiore di 10 $ per 450 gr entro il 2022. Le prospettive di crescita sono davvero vaste: di questo passo, verosimilmente, entro pochi anni le nuove start-up raggiungeranno una stabilizzazione sul versante dello scale-up industriale. In più, alcune delle start-up sopracitate sostengono di aver eliminato ogni elemento animale nel terreno di coltura, così da venire incontro anche alle esigenze etiche delle associazioni animaliste.

Dopo la concessione delle autorità per la sicurezza alimentare, quindi, la carne sintetica si potrà porre come valida alternativa agli allevamenti intensivi. Lo sfruttamento animale sarà ampiamente ridotto così come le emissioni di CO2 e i litri di acqua impiegatii. Come ben argomentato in “Se niente importa” di Jonathan Safran Foer, la cattiva gestione delle ingenti quantità di scarto animale prodotte dall’allevamento intensivo rilascia le più svariate sostanze nocive nell’ambiente, che siano i corsi d’acqua o l’aria stessa tramite evaporazione. Parliamo di metano, CO2, metalli pesanti, cianuro ed altri materiali tossici per l’uomo.

Tuttavia, nonostante ciò, restano alcuni punti su cui è terribilmente complicato fare previsioni: lo scetticismo da parte del consumatore, la sua accettazione del compromesso, ma soprattutto gli scrupoli etici. Questi rivestono una grande importanza per i consumatori, soprattutto per i vegani. Secondo i principi del veganismo infatti il consumo della carne andrebbe completamente eliminato, così come lo sfruttamento da parte dell’uomo di qualsiasi risorsa di origine animale. La vera necessità, secondo questo pensiero, sarebbe una rivoluzione culturale. La Vegan Society ha già espresso opinioni negative sul prodotto, poiché “perpetuerà il mito che la carne sia, e sia destinata a restare, intrinsecamente desiderabile”. 

Caterina Di Carlo

Phcredits: www.horecanews.it, frame of video “Launch of the world’s first cultured meat hamburger” , www.lifegate.it, 

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