Le città di carta – Ritratto singolare di Emily Dickinson

Anni e anni fa, leggendo Paper Towns di John Green, scoprii cosa volesse dire “Città di carta” e ne rimasi ammirata. Dietro, ne sono sicura, c’è tutta una poesia, oltre che un’idea brillante per evitare plagi. E chissà come sarebbe abitarla una città di carta, forse lo facciamo – ogni giorno – quando ci immergiamo nei versi, nelle pagine di un libro, forse addirittura quando leggiamo una ricetta? Non lo so, ma appena ho scoperto che Alter Ego avrebbe inaugurato una nuova collana – intitolata Specchi e dedicata alla letteratura straniera – e che il primo volume sarebbe stato Le città di carta di Dominique Fortier (trad. italiana di Camilla Diez), dedicato alla vita di Emily Dickinson, mi sono incuriosita. Non solo per il titolo, ma anche perché Fortier, autrice canadese, in patria è molto famosa, basti pensare che Les villes de papier (titolo originale, n.d.r.) è il suo sesto libro (il primo a essere pubblicato in Italia), vincitore del Premio letterario “des lycéens AIEQ” 2019 e del Premio Palmarès littéraire 2018.

«Con il dito Emily segue le città sulla cartina, una dopo l’altra, pronunciando i nomi ad alta voce.
“Solo che questa” dice Austin indicando Linden “non esiste”.
Emily alza due occhi interrogativi. Il nome è stampato nello stesso carattere degli altri, e le cartine non mentono.
“Esiste solo sulla mappa” precisa Austin.
[…]
“Ma com’è possibile?” chiede Emily.
“È una città di carta. Chi ha disegnato la mappa l’ha inventata di sana pianta per assicurarsi che nessuno ruberà il suo lavoro”.
“Rubare una città, che idea bizzarra” osserva Emily.
“Rubare non una città, ma un nome, e il suo tracciato” la corregge Austin. “Se per caso i fabbricanti di questa mappa scoprono su un’altra mappa la città di Linden, avranno la prova che la loro opera è stata copiata”.
“Una città di carta” ripete Emily.»

In questo libro, delicato e attento, Fortier non ci racconta soltanto momenti di una delle poetesse più famose degli ultimi tempi, ma ci fa immergere anche nella sua (dell’autrice, n.d.r.) vita personale, nei posti in cui ha abitato. Fortier ci racconta i suoi traslochi attraverso descrizioni precise, ricordandoci che «i luoghi in cui abbiamo vissuto continuiamo ad abitarli a lungo anche dopo averli lasciati». Fortier rende Amherst (e con lei Homestead), località in cui Dickinson visse, una città di carta interrogandosi se sia preferibile farla rimanere tale – nella sua mente, nelle sue ricerche – o se sia opportuno visitarla di persona, per descriverla meglio. Conservare la libertà di invenzione oppure compiere un viaggio in macchina di quattro ore per poter toccare con mano e osservare i luoghi abitati da Emily?

Dickinson è una creatura solitaria, che veste sempre di bianco, e che ama immergersi nella natura e nelle sue parole, incarna a pieno la dicotomia “vivere per scrivere o scrivere per vivere”, gelosa – in maniera intimistica – delle sue composizioni, Dickinson preferisce tenerle nel cassetto e per sé, non vuole che le sue poesie vengano pubblicate. Talvolta le riprende in mano, odorano di farina, di pepe, noce, cioccolato, sono sue e di nessun altro.

Fortier ci offre uno spaccato della quotidianità della poetessa, ricreando un contatto e raccontando in maniera molto espressiva attimi che si possono facilmente immaginare grazie alla vista, all’udito, al gusto, all’olfatto e al tatto. In poche parole sforzandosi di usare i cinque sensi sembra quasi di essere lì.

«Lei stessa [Emily Dickinson n.d.r.] si sforza di diventare un essere di carta – smettere di mangiare, sudare, sanguinare, essere soltanto colei che legge e scrive.»

In Città di carta ci sono pagine fatte di poche righe e anche pagine bianche e silenziose, pause, attraverso cui Fortier – forse – vuole far sì che ci si addentri nell’ermetismo di Emily Dickinson, basti pensare alla punteggiatura delle sue poesie. Viene tratteggiata la sua famiglia, il rapporto con i genitori, con Austin e Lavinia, fratello e sorella; viene menzionata qualche amicizia ma soprattutto l’autrice racconta come la solitudine di Emily fosse solo apparente: per esempio, non aveva solo una sorella (Lavinia, appunto, detta Vinnie), ne aveva altre tre, «nascoste nella sua camera: Anne, Charlotte ed Emily, come lei. Le Brontë vi abitano in perfetta armonia con il resto della sua famiglia: Browning, Emerson, Thoreau». Ma anche Shakespeare, di cui Dickinson possiede l’opera omnia, e la Bibbia, nel libro c’è anche spazio per il suo rapporto con Dio, curioso e ponderato.

Fortier, grazie a una prosa poetica e a parole calibrate, soppesate, scelte in modo accurato, ci regala un libro prezioso che fa viaggiare con l’immaginazione «in mezzo a un’infinità di correnti», proprio come Emily.

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