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“Gli anni incerti” raccontati da Emiliano Dominici

Tre persone nate in altrettanti punti diversi del mondo, una città che li tiene uniti e che li richiama come una calamita, un sentimento che li mantiene vicini e con cui devono confrontarsi nel corso di tutta la loro esistenza, che a volte è un fardello e altre è l’unica ragione per restare vivi: questo è Gli anni incerti di Emiliano Dominici.

Dominici non è nuovo alle pubblicazioni, ma Gli anni incerti è il primo romanzo per le Rondini di Effequ, una collana in cui «la narrativa è leggera e inquieta». Il titolo, però, continua e si rivela: Canzone di fine millennio. La musica, infatti, è onnipresente nelle pagine: da de Gregori a Battiato, dai Nirvana ai R.E.M., dai titoli delle varie sezioni, anche in traduzione, ai lavori di alcuni dei personaggi, le canzoni sono un tonico che sostiene le loro vite, le riempie, dà loro significato e le accompagna. Non è una caccia alle citazioni, ma un tessuto consistente e coerente, essenziale tanto quanto quello storico che insistentemente fa capolino tra le pagine, con l’uomo sulla Luna, Piazza Fontana, Pasolini.

Tutto inizia prima che i nostri tre protagonisti esistano: sono le ore prima del 22 giugno 1969, ci troviamo contemporaneamente a Livorno, Assisi e New York. Ci serve questa premessa, questo tempo prima della nascita, perché Emiliano Dominici ci vuole presentare il loro background senza che l’intermediazione dei protagonisti ci influenzi, ci offre i contesti in cui Giulia, Guido e Jerry non solo nascono ma crescono, non per giustificare i loro caratteri e le loro scelte, non per lasciarci liber* di giudicarli, ma per permetterci di inquadrarli e seguirli nella loro storia (al singolare) con un bagaglio di conoscenza e di intimità con i loro pensieri e le loro menti. Non diventano mai prevedibili: semplicemente impariamo a capirli, a immaginare le loro mosse, a precedere i loro ragionamenti.

Li vediamo crescere, avvicinarsi e allontanarsi, creare dinamiche e delicatamente disfarle, ma con loro assistiamo anche all’evoluzione delle rispettive famiglie, che non possono scappare dai cambiamenti di fine millennio. Nessuno è immune a questo tempo incerto, ma i nostri tre hanno una sensibilità particolare (d’altronde sono Cancro cuspide Gemelli – e io da Cancro non posso che annuire vigorosamente) che li porta a interiorizzare e metabolizzare quello che succede in modo inedito.

Giulia, Guido, Jerry

Un triangolo: vitale, essenziale, amoroso. Simbolo utilizzato da ogni cultura, corrente e religione in modi sempre variabili, proprio per la sua proprietà trasformista. Le dinamiche e i richiami a tre si ripetono per tutto il libro, sono la costante che ci permette di tenere le fila di ogni cosa – quando si propone una dualità, dobbiamo solo attendere qualche pagina perché si ripristini l’equilibrio. Perché, se Gli anni incerti vuole che capiamo qualcosa, è la verità del detto che non può esserci due senza tre.

Non importa quanto sembrino diversi appena nati, quando sono bambini e poi adolescenti e giovani adulti: non solo si richiamano l’un l’altro, non solo si influenzano profondamente, ma hanno bisogno degli altri per esistere e resistere.

Di vuoti sono esperti, i nostri tre protagonisti: Jerry non ha un padre, Pinuccia muore troppo presto, Vittorio fugge dalla scena. Anche questa è una cosa che li accomuna e permette loro di intendersi in modo profondo, in modalità che i più nella (apparentemente) placida Livorno non conoscono, e di cercare e creare un’appendice esterna alla propria famiglia, di formare un nucleo alternativo.

È come non avere più una mano, una gamba, la bocca, un pezzo di cervello. È sempre lì, quel vuoto, da quand’era una bambina. L’ha camuffato, l’ha spinto indietro, si è adagiata su altre persone, ma è ancora lì. Sa di non poterci fare nulla, lo sopporta come si sopporta un vicino litigioso.

Emiliano Dominici, Gli anni incerti. Canzone di fine millennio, Effequ

Gli intrecci vengono costruiti anche attraverso i colori: arancione per Jerry (e quando incontrerà suo padre non dovrà stupirci se lo chiamano Orange Jules) e viola per Giulia, in richiami che si rincorrono per tutto il libro ma che si rivelano nella scena della coperta di Dora, in cui Guido ammette che sin da piccolo non sapeva scegliere una sola tra le due combinazioni di colore: verde e viola, oppure arancione e giallo.

Gli anni incerti ci dice che non c’è bisogno di scegliere, che il giallo è complementare del viola, che il verde e l’arancione condividono molto più di quello che possa sembrare.

Pensieri, richiami e altre cose

Il desiderio di Giulio di ritrarre i suoi amici e le loro relazioni mi ha ricordato subito un altro libro che in questi anni ha descritto alla perfezione le dinamiche difficili di un gruppo di amici e la loro evoluzione: A Little Life di Hanya Yanagihara, in Italia Una vita come tante con Sellerio. Anche JB ritrae gli altri ed espone le opere in una mostra, ma Giulio e JB hanno soprattutto in comune la capacità di catturare lo sguardo intimo dei loro amati, di cogliere la loro vera natura e riprodurla sulla tela – e di viverlo non come un talento ma quasi come una benedizione.

Il vero alterego letterario di questa relazione, però, lo si intuisce molto, molto presto nella lettura e quando fa effettivamente la sua entrata in scena a pagina 299 proviamo anche una certa soddisfazione. È Jules et Jim, che prima Giulia, Guido e Jerry (Emiliano, hai scelto apposta i nomi per rimandare al libro di Roché? Lo voglio sapere) vedono come film e che poi si regalano in formato romanzo. Come per Jules e Jim, non c’è tensione tra le figure maschili ma benevolenza e un rincorrersi, un cercarsi tra le braccia di un terzo.

Una cosa che invece mi ha sorpresa è il fatto che, nonostante i gruppi e i cantanti scelti da Emiliano Dominici siano iconicamente maschili, almeno nella prima metà del romanzo il legame esplicito con la musica sia prettamente femminile: è Antonella che canta in ogni momento della giornata, è Alberta che vive i concerti come un’esperienza quasi mistica (grazie anche all’aiuto di qualche droga), è Giulia che ama Battiato sin da giovanissima. Se quindi Guido fa un uso della musica molto maschile (voglio intitolare la mia mostra come una canzone dei Nirvana), le donne la usano per tirare avanti, per non essere sommerse, ne fanno un uso quotidiano e solido.

Non voglio però trarvi in inganno: in certi punti profondamente triste, Gli anni incerti è anche estremamente godurioso. Emiliano Dominici ha un senso del riso a denti stretti che conquista subito, come quando la famiglia di Guido deve scegliere un nome per il coniglio (e Vittorio ragiona: «È brutto? È cattivo? Mangia tutto? Allora lo chiamiamo Capitalismo») o viene raccontata la punizione di suor Emma.

«Allora, come sta andando la scuola?» domanda Egisto.
«Suor Emma è cattiva».
«Come, è cattiva? Casomai severa».
«Ieri ha dato uno schiaffo a un bimbo».
«Esagerato, uno schiaffo! E perché?»
«Perché lui ha scritto sul banco ‘abbasso le suore’, e l’ha scritto
con una esse sola, sicché suor Emma gli ha dato uno schiaffo».

Emiliano Dominici, Gli anni incerti. Canzone di fine millennio, Effequ

D’altronde il tre è equilibrio e Dominici, in questa narrazione, ce lo dimostra bene.

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