Letizia Battaglia che si è presa il mondo

«(…) intanto voglio dire a queste giovani creature che ci ho provato, che ci abbiamo provato in più persone a eliminare lo sporco della nostra terra. Non ci sono riuscita, ma voglio che lo sappiamo, che ci ho provato ogni giorno della mia vita

Letizia Battaglia, fotografa palermitana di fama mondiale, ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali. Ha partecipato a importanti mostre e manifestazioni in Italia e all’estero. Nel 2017 è tra le 11 donne più influenti al mondo scelte dal New York Times. In molti la considerano un’eroina che si è sempre battuta per la legalità attraverso la fotografia, l’impegno politico e la sua stessa vita, con spirito di ribellione verso una società ingiusta. Lei si considera una donna normale che, a un certo punto della sua vita (a trentanove anni) ha iniziato a prendere coscienza del suo rapporto con la sua terra e con il mondo. Allora si è rimboccata le maniche e ha iniziato un percorso faticoso ma entusiasmante, lavorando spinta solo dal senso di responsabilità. La sua storia l’ha resa indistruttibile.

Nel libro Mi prendo il mondo ovunque sia (pubblicato pochi giorni fa per Einaudi) racconta insieme alla co-autrice Sabrina Pisu la sua biografia di donna che ha trovato il coraggio di combattere per conquistare se stessa. La sua vita, prima di quel punto di rottura o cambiamento, era come di tutte le donne dell’epoca annichilita da pressioni sociali: accettava tutto, subiva e non riteneva di avere la possibilità di cambiare. Avrebbe voluto finire gli studi per proseguire con l’università ma né il padre prima né il marito dopo lo permisero. Non le permisero di avere una vita professionale, di realizzare i propri desideri. Dopo essere stata in cura in una clinica Svizzera e dopo anni di psicoterapia, i suoi interessi, la sua identità e la sua personalità si svilupparono eccome in nome di una libertà presa come atto di scelta e conquista. Le sue riflessioni private sulla sua famiglia o sull’amore sembrano quasi una confidenza fatta al lettore.

Con l’arrivo dei Corleonesi a inzio anni ottanta, Palermo si trasforma in un campo di guerra civile, una storia di orrore, morte e dolore che ha privato della propria dignità tutti, non solo del popolo siciliano ma dell’intera Italia. È solo nel 1982 che a Palermo muoiono 200 persone.

Battaglia, pur convivendo con la paura, sentiva il dovere di combattere, sentiva di avere una responsabilità come cittadina siciliana. Lavorando per il quotidiano palermitano L’Ora ha dovuto fare molte foto scomode ma sempre con il volere scuotere coscienze addormentate:

«Povera la nostra Palermo: la mia macchina fotografica, una Pentax K1000, ha fermato in tanti istanti, sempre e solo in bianco e nero, sempre e solo con un grandangolo, sempre in un corpo a corpo con la realtà, la vita nel suo labile confine con la morte, recisa con troppa facilità dai proiettili. L’odore del sangue dei morti non mi ha mai abbandonato, ogni volta che accorrevo sul luogo di un delitto mi assaliva la nausea. Le scene dei morti ammazzati mi sono sempre sembrate finte, teatrali, non potevano essere vere. Ogni volta che arrivavo sul luogo di un omicidio, lo sapevo che la persona che avevo di fronte era morta però mi dicevo: “Questo si muove, è ferito, non è morto!”. L’abbiamo pensato per tanti, per Mattarella che era il Presidente della Regione e per alcuni giudici. Ma invece la scena era vera, lui era morto, e l’avevo nella mia coscienza perché facevo parte di quella società civile che non si era ribellata. Erano tutti morti, pieni di sangue, e affollano ancora la mia mente, i miei ricordi» 

Piersanti Mattarella colpito a morte da killer mafiosi, Palermo, 1980

Proprio quell’omicidio, di Piersanti Mattarella, del 6 gennaio 1980, Battaglia riesce a fotografare per caso da ritorno da un giardino comunale. Riesce a fotografare la scena mentre il fratello Sergio toglie il corpo dall’auto, dove era presente anche la figlia di Piersanti. 

«Ogni volta che vedo Sergio Mattarella mi torna in mente quell’immagine: lui che tiene tra le braccia suo fratello come in una raffigurazione della Pietà, come scrisse il giornalista Michele Smargiassi. E, ora, quella fotografia ha acquistato un altro significato perché quell’uomo è diventato il presidente della Repubblica. La sua elezione mi ha reso felice, il fratello di un uomo onesto ammazzato dalla mafia non potrà mai approvare leggi che la favoriscono

Con la fotografia e con la cultura Battaglia ha sempre pensato di fare qualcosa per la sua città. Ha aperto associazione culturale, una galleria fotografica,  ha svolto attività di volontariato coordinando un laboratorio teatrale alla Real Casa dei Matti, ha svolto attività politica prima come assessore comunale poi dal 1991 come deputata della Regione siciliana.

«Senza il coinvolgimento delle persone, non c’è nessun cambiamento. Non sono riuscita mai a impedire a me stessa di esprimere la mia opposizione e disprezzo nei confronti delle cose che non sopporto e che mi fanno soffrire. Quando cammino per le strade di Palermo, se mi capita di vedere un pezzo di marciapiede rotto o sporco provo invidia nei confronti di quelli perfetti di altre città europee e mi chiedo perché noi dobbiamo essere così, contro la cosa pubblica. (…) La politica è miserabile quando rinnega i principi basilari di democrazia come l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Dovremmo tenerci tutti per mano cominciare a considerare la città, il nostro Paese, il pianeta in cui viviamo una casa di tutti, che tutti dobbiamo difendere.»

Palermo viene affrontata dalla grande fotografa in un incontro ravvicinato che condivide con il lettore. La città è lo spazio fisico e interiore vissuto pienamente, disperatamente come figlia, madre, donna, cittadina. Il legame, profondo, viscerale è come quello d’amore, pieno di cose belle e brutte. Il risultato è un racconto intenso e inedito di una città che Battaglia ha reso nota al mondo per la sua violenza efferata ma senza dimenticare la grazia, l’innocenza, la voglia di non arrendersi e sguardi oramai scomparsi. A Milano, dove ha vissuto, Battaglia scelse Palermo, città amata che non poteva abbandonare. A un certo punto della sua carriera sarebbe potuta andare a New York o Parigi, ma ha scelto sempre Palermo emozionandosi sempre tra le sue strade e lottando per il futuro della città.  È sempre stata pronta a cambiare quello che non le piace. Ha resistito tra dolore, urla, pianti, sirene, squilli del telefono improvvisi di giorno e di notte. Minacciata più volte non ha mai deciso di soccombere alla logica del terrore di Cosa Nostra. Riesce addirittura a fotografare Giulio Andreotti con il mafioso Nino Salvo. I suoi pensieri vanno però spesso alle foto mai scattate:

«…della Strage di Capaci non ho neanche una foto, neanche una brutta. Non ce l’ho. Le foto che non ho fatto mi fanno più male di quelle che ho fatto. Le ho tutte dentro la mia testa. Giovanni Falcone era l’orgoglio della nostra terra, noi eravamo fieri che ci fossero delle persone come lui che rappresentavano la nostra voglia di giustizia.»

Tra il 2013 e il 2014 ha lavorato per il progetto Gli invincibili dedicato a tutti i personaggi che sono stati per lei fonte di ispirazione umana e intellettuale. Sono eroi o spiriti liberi che hanno segnato la storia. Tra questi Pier Paolo Pasolini fotografato nel 1972 a Circolo Turati a Milano ed era quasi una delle prime foto da lei scattate. Nel progetto ha rielaborato i ritratti delle sue foto in bianco e nero reiterando le immagini. 

L’appassionato impegno sociale e politico è evidente in trent’anni di lavoro di Letizia Battaglia. Nel libro parla molto del Centro Internazionale di fotografia a Palermo. Il centro vuole essere un’agorà, un posto per pensare e crescere confrontandosi con artisti da tutto il mondo.

«Quando, nel 2012, i giornali hanno pubblicato la notizia della realizzazione del Centro a Palermo scrivendo che sarei stata io a dirigerlo, qualcuno ha contattato il sindaco Orlando per lamentarsi e chiedergli: «Picchí idda?», ovvero, in siciliano «Perché lei?». (…) «Picchí idda?»: di questa domanda piccata che mi fa sempre tanto sorridere ne ho fatto realizzare una scritta al neon da Riccardo Gueci, pagandola con i miei soldi, e l’ho appesa in una parte del centro.»

Purtroppo qualche settimana fa Battaglia ha deciso di lasciare nel 2021 la direzione del Centro a causa delle polemiche per la campagna pubblicitaria realizzata per Lamborghini con ritratti di bambine palermitane di 7 e 11 anni in posa davanti alla supercar con lo sfondo di Palermo.

La seconda parte del libro Mi prendo il mondo ovunque sia  si intitola “L’orrore e la bellezza” ed è stata interamente scritta da Sabrina Pisu che ho voluto intervistare per questa occasione:

Lei si è occupata di reportage su fatti di mafia e corruzione. Com’è arrivata a Letizia Battaglia?

«L’ho conosciuta nel 2016, le avevo scritto per proporle di organizzare a Palermo, al Centro Internazionale di Fotografia che avrebbe aperto nel 2017, una mostra sul Caso Mattei, un progetto legato al libro che ho scritto con il giudice Vincenzo Calia, pubblicato da Chiarelettere. Si trattava una serie di fotografie inedite, alcuni oggetti personali di Enrico Mattei e piccole parti dell’aereo nel cui schianto il 27 ottobre del 1962 perse la vita il fondatore e presidente dell’Eni. Documenti inediti che hanno costituito prove fondamentali nella monumentale inchiesta condotta oltre trent’anni dopo dal magistrato Vincenzo Calia, che l’aereo sul quale Enrico Mattei viaggiava, insieme al giornalista americano William McHale e al pilota Irnerio Bertuzzi, era stato sabotato con una carica esplosiva che lo fece esplodere e precipitare nella campagna di Bascapé, non lontano dall’aeroporto di Milano Linate, dove era pronto ad atterrare. “Dobbiamo realizzare questa importantissima esposizione”, mi rispose. Ed è così che è nata la mostra, la nostra amicizia e, poi, questo libro.»

La fotografia (per Letizia Battaglia) e la scrittura (per lei) aspirano sempre a una verità, a un racconto… Pensa di avere dei comuni denominatori con Battaglia?

«Letizia Battaglia è una persona libera, che rifugge le prigioni di pensiero, e si mette sempre in discussione. Credo che a unirci sia questa libertà e la tenacia nel voler andare avanti, nel non farci fermare dagli ostacoli, nel perseguire i nostri ideali, fino alla fine.»

Pensa di avere una missione nel suo lavoro, nella sua indagine, approdata a “Mi prendo il mondo ovunque sia”?

«Il giudice Cesare Terranova, ucciso dalla mafia il 25 settembre del 1979 a Palermo, diceva che “Fare una cosa è farla bene”. Sono parole riportate in questo libro dove è raccontata anche la storia di giudici e uomini dello Stato coraggiosi, uccisi perché lasciati soli nella battaglia alla mafia. La mia missione è questa: fare il mio lavoro bene.»

Immaginandosi nel futuro, cosa ricorderà sicuramente del periodo di co-scrittura con la Battaglia?

«Ricorderò tutti i momenti passati insieme a Palermo, le nostre chiacchierate e confidenze al Centro Internazionale di Fotografia, a casa sua, in giro nel centro storico, sedute nel tavolino di un bar all’aperto nel quartiere la Kalsa. Ricorderò il suo sguardo che si ferma in alto mentre fuma, il viso che si chiude e si fa piccolo quando è inquieta, la sua dolcezza improvvisa come una carezza che non ti aspetti. Ricorderò la sua forza, l’energia vulcanica che scende come lava sulle sue ferite. E avrò nostalgia, anzi un po’ ce l’ho già.»

Il mio primo e personale incontro con la grande fotografa contemporanea è stato il film documentario del 2016 La Mia Battaglia. Franco Maresco incontra Letizia Battaglia. Qui, come nel libro pubblicato quest’anno, Battaglia racconta cosa c’era dentro la città e il suo patimento: c’era l’amore, c’era la passione per la città, c’era il rammarico, la rabbia e poi tutto quello che stava avvenendo. La sua macchina fotografica era come un’altra testa, non era un mezzo per vendere fotografie, era un altro cuore che parlava scegliendo di vivere con dignità.

«La fotografia non cambia il mondo, né la mia fotografia, né quella degli altri, ma come un buon libro, può essere una fiammella. Un libro, un’opera d’arte, un Picasso, una foto, una musica possono essere senz’altro un buon veicolo per la crescita, ma non possono cambiare il mondo. Gli appetiti della guerra, del capitalismo, delle religioni sono così forti, che la fotografia e la cultura sono una parte della lotta ma non bastano a cambiare il mondo. Niente può cambiare il mondo se non la propria coscienza.»

Note

Immagine di copertina: Letizia Battaglia, La bambina con il pallone, quartiere La Cala, Palermo, 1980

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