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La Resistenza di Lidia Menapace: “Io, partigiana”

Per vivere più femministə: libri, podcast, arte, musica, newsletter e fonti per allargare gli orizzonti e aprire le menti. Oggi, 25 aprile, parliamo di una partigiana femminista: Lidia Menapace.

La storia di Lidia inizia molto presto nel Novecento e continua con forza per novantasei anni. Non solo come figura pubblica e politica – militante della DC prima e di Rifondazione Comunista poi, prima donna nel consiglio e nella giunta provinciale di Bolzano, tra i fondatori de il manifesto, senatrice, anticapitalista, antimilitarista – ma anche come femminista e pensatrice, tra le prime a rendersi conto dell’importanza del linguaggio nella perpetuazione del sessismo, del bisogno di riconoscimento come base della relazione tra donne e della loro attività politica, tra le autrici di Parole per giovani donne (1993) e sempre attenta alla questione femminile.

Ma è il suo ingresso nella Resistenza partigiana a dare forma al pensiero e alle azioni di Lidia, a insegnarle sul campo cosa è giusto e cosa è sbagliato, e per cosa lottare. E lo ha raccontato in un libro scritto e pensato anche per i più giovani – proprio come lo era lei in quei terribili anni.

Avevamo vent’anni e […]
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

Italo Calvino, Oltre il ponte, che Lidia cita per introdurre il libro

Io, partigiana. La mia Resistenza

Pubblicato da Manni Editori, questo libro è un equilibrato mix tra memorie autobiografiche e schede di approfondimento, che spaziano dai canti partigiani e antifascisti alle personalità del periodo, dai modi di dire alle leggi razziali.

Lidia nasce Brisca nel 1924 a Novara, da una famiglia «di tradizioni repubblicane e mazziniane da parte di mio padre, anarchica da parte di mia madre, e questo ci forniva un buon margine di sospetto verso la politica ufficiale» (p. 17). La famiglia da un lato, la scuola dall’altro: la piccola Lidia, sua sorella e il suo fratellino cominciano ben presto a rendersi conto dell’esistenza di una versione ufficiale e di una versione reale della storia. La prima si parla tra i banchi di scuola, con una lingua pulita e controllata, la seconda la si sperimenta ogni giorno a casa, in biblioteca, per le strade: è per questa seconda che Lidia parteggia e a cui sente di appartenere.

Quando alla fine dell’anno portai a casa la pagella con su scritto “di razza ariana”, mia madre, dopo avermi chiesto se ero stata promossa”, mi disse di strapparla “perché non siamo animali e le razze sono solo equine bovine suine canine…”

Lidia Menapace, p. 32

Decifrare ciò che è vero da ciò che vuole far credere il regime diventa la pratica quotidiana che i Brisca devono esercitare – e non è difficile come può sembrare. Le compagne di scuola ebree che improvvisamente spariscono, i compaesani che vanno al fresco, i beni che cominciano a scarseggiare, mancano persino i vestiti, i collegamenti con Milano che saltano e le università che vengono bombardate, le fucilazioni: gli occhi non si aprono ma spalancano, la sua città tanto amata diventata «una giungla, un luogo da morirci disperati, insultati, senza pace» (p. 75).

Il padre di Lidia viene deportato prima in Polonia e poi in Germania, in città le sorelle Brisca e zia Rina iniziano piccole attività per supportare le famiglie dei prigionieri politici e, qualche volta, agevolare il rilascio con la complicità di un ospedale vicino, mentre Lidia inizia ad attaccare manifesti di notte e a diffondere stampa clandestina, come “Il Ribelle”, e ad accompagnare al confine o al sicuro compagni e compagne. Le viene anche dato un nome di battaglia, Bruna, e inizia a fare la staffetta grazie alla sua bicicletta: «me ne andavo in bici su e giù per le vallate, arrivavo a certe case o cascine o baite e lasciavo la stampa» (p. 73).

Intanto Novara decade, si piega su se stessa cercando di difendersi dalle ferite interne, inferte dai fascisti, dai nazisti, dai sostenitori dei regimi e da chi gira il viso dall’altra parte. Non c’è modo di ignorare il declino, lo spavento, la lotta per vivere un giorno in più e, allo stesso tempo, rimanere invisibili per poter continuare a esistere. La voce di Lidia non trema mentre racconta, lo sguardo è fermo, sempre attento e ironico: «naturalmente, per quanto cerchi di ricordare con un tono scanzonato, i fatti tragici non posso dimenticarli» (p. 74).

Quella delle partigiane e del riconoscimento del ruolo che ebbero le donne è «una questione non risolta nella Resistenza e nella sua storiografia» (p. 113) . Lidia la vive in prima persona, questa contraddizione, durante e dopo quegli anni: erano le donne a tenere assieme la trama di relazioni nascoste e a trasmettere i messaggi, a superare i posti di blocco e infilarsi nelle carceri, proprio perché considerate dal regime inutili e innocue.

Anche tra noi donne ci furono quelle che erano più politicizzate, quelle che seguivano mariti fidanzati fratelli, quelle che cercavano di essere emancipate fino a portare armi e quelle che pensavano a una presenza come cittadine di pieno diritto.

Lidia Menapace, p. 113

Ma lo spazio che occupano e hanno occupato non può più essere loro tolto: le donne hanno imparato il loro valore, la loro forza, la loro importanza. La Resistenza prima e la Liberazione poi sono le prove sul campo che anche le donne possono partecipare al cambiamento del Paese, che non sono ai margini della vita pubblica ma ne costituiscono il cuore pulsante. Quegli anni non furono «un fenomeno militare […] ma un movimento politico, democratico e civile straordinario, una presa di coscienza politica che riguardò anche le donne», per la prima volta protettrici non solo del focolare domestico ma delle strade della città, delle vite di persone sconosciute e non solo dei consanguinei, con le mani strette attorno a un fucile o al manubrio della bicicletta, spaventate ma decise, coraggiose e volenterose, perché si potesse poi cantare ogni giorno vittoriosə, al fin liberə siam.

Sono ex prof, ex tante altre cose, ma non ex partigiana: perché essere partigiani è una scelta di vita.

Lidia Menapace

Lidia Menapace è morta il 7 dicembre 2020 a causa del covid.

Con lei scompare una figura particolarmente intensa di intellettuale e dirigente politica, espressione del dibattito autentico che ha attraversato il Novecento. [I valori] che ha coltivato e ricercato nella sua vita – antifascismo, libertà, democrazia, pace, uguaglianza – sono quelli fatti propri dalla Costituzione italiana e costituiscono un insegnamento per le giovani generazioni.

Sergio Mattarella, in ricordo di Lidia Menapace

Per approfondire il tema delle donne nella Resistenza, ti consiglio questo articolo su ANPI.it, questo di Annalisa Camilli su Internazionale e questo su National Geographic.

Immagine di cover: il manifesto

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