Mondi di Poesia: “Sundara” di Mauro de Candia

Perché Sundara? Il titolo è una parola in sanscrito con funzione di attributo, che si identifica con l’idea di bellezza, armonia, meraviglia.

Non potevo che cominciare citando le parole della postfazione, perché riescono a esprimere perfettamente le emozioni che ho provato leggendo per la prima volta i componimenti di Mauro de Candia.
La sua raccolta poetica, Sundara (Edizioni Ensemble, soli 12€), è stata una vera e propria scoperta, tanto che da quando ho ricevuto il suo libricino ho dovuto richiedere tempo, tempo per riflettere e metabolizzare. Questo sia chiaro subito ai lettori: la poesia di Mauro de Candia è densa, ipervisiva, fluida.
Densa, per la profondità culturale che riesce a raggiungere, toccando mondi e livelli culturali distantissimi.
Ipervisiva, perché è attraverso un susseguirsi continuo di immagini che il discorso poetico si articola, si sfalda, e si ricostituisce in un nuovo significato.
Fluida, perché la parola, al di là del lessema, si carica di significati e muta, ad ogni nuova lettura, in qualcos’altro di imprevisto e nuovo, di nuovo.
Non potevo dunque lasciarmi sfuggire l’occasione di intervistare (e con l’occasione, conoscere un poco) questo giovane poeta.

Partiamo innanzitutto da una considerazione sulla scrittura poetica. Ciò che desta immediatamente curiosità è l’ampio utilizzo di neologismi, come babeloteca terroristeria, ma la silloge è davvero piena di esempi, nonché di forme di arricchimento semantico. Del resto, l’io lirico, nella poesia “Esercitazione di lingue” è abbastanza chiaro: il poeta gioca con la lingua, ed è senz’altro un valore aggiunto alla raccolta.

E dunque, ecco la domanda: come nasce il processo creativo, e come si sviluppa la scelta di un determinato accostamento di parole, in altri termini, come lavora un poeta che fa ampio ricorso a questi strumenti?

L’accostamento, per i neologismi, nasce da un approccio alla lingua che mantiene un atteggiamento di continua mobilità tra prefissi, suffissi, assonanze, scavi alla ricerca di parole ancora inesistenti ma che potrebbero essere comunque nate se il percorso linguistico di un popolo fosse stato differente. La lingua è composta da pezzi, dai quali ricavare infinite combinazioni.
Ed è essenzialmente, questo approccio, affine al contenuto: infatti uno dei temi dominanti della silloge è la consapevolezza di essere imbrigliati (socialmente, culturalmente, linguisticamente) in schemi che sono fortuiti, dettati da scelte altrui o da determinate pieghe della Storia. Oltre ad esporre questo tema tra i versi, cerco quindi di utilizzare la lingua in modo ribelle e coerente con questa tensione verso la liberazione dalle influenze.
Per fare questo bisogna ripartire da zero, con l’approccio – in parte istintivo, quasi infantile – di chi si trova a manipolare una materia linguistica grezza e un lessico di base, in modo da limitare l’influenza di ciò che è linguisticamente dominante e creare nuove parole che per contenuto e densità sarebbero magari espresse, solitamente, con un’intera frase.
Parto da una posizione neutrale, in modo da raccogliere le intuizioni e agganciarle con meno condizionamenti possibili.
Contemporaneamente, questa volontà di abbattere i limiti della lingua si accosta al desiderio di ritrovarsi in un mondo concreto, anch’esso privo di limiti ontologici: per questo cito inesistenti animali ibridi (la volpe-gabbiano, la talpa-sirena) utilizzo le personificazioni anche di parole (come in La sillaba selvaggia; o come nella già citata Esercitazione di lingue, dove le consonanti “assomigliavano agli uomini”) o attribuisco il dono della consapevolezza anche a singole parti del corpo (come nel poema finale “Nova genezo”, dove le mani delle ostetriche “si staccano dai polsi, uniche vere consapevolmente beate”). Anche nella precedente raccolta (Le stanze dentro) c’era una poesia intitolata “Il volo di una guancia”: anch’essa descriveva la vita di una parte del corpo personificandola.

Altro tema dominante, è l’ampio ricorso alla natura e al mondo animale: la sua raccolta è costellata di cani, scimmie (anche se acquapitechi), salamandre, carpe koi, e così via. Insomma, il mondo zoomorfo è straripante tra i tuoi versi. Quale è quindi il tuo rapporto con la natura, e quale significato inserisci in questa predominanza dell’elemento naturale?

Ci sono diversi motivi per la presenza di animali (ma anche di piante). L’interesse per gli animali nasce in me in età pre-scolare: è un interesse non solo affettivo, ma enciclopedico. Già a 4-5 anni di età trascorrevo ore a consultare libri a tema animale, imparando i nomi di animali esotici o restando meravigliato davanti a “stranezze” come lo scoiattolo volante o l’ornitorinco. Era una primigenia meraviglia per l’inconsueto, l’inaspettato. Per la prima volta diventavo consapevole che il nostro mondo (e nello specifico, quello che era il mio mondo dell’infanzia: quello della provincia del Sud Italia degli anni ’80/’90) non era che uno dei tanti mondi esistenti, i quali a loro volta non erano che solo una piccola parte degli infiniti mondi possibili.
Il punto di ancoraggio di questo interesse alla mia scrittura risiede in una serie di motivazioni. La prima è probabilmente la consapevolezza che buona parte della poesia comunemente intesa è una poesia “dell’animo umano”, egocentrica per certi versi. Molti poeti parlando dei loro malanni esistenziali, dei loro tormenti interiori. Altri si soffermano sulla società, ma lo fanno in maniera diretta. Il nostro mondo, tuttavia, deve inevitabilmente fare i conti con altre forme di vita, che si intersecano alle nostre nei modi più svariati. Oltre agli animali ci sono anche numerosi riferimenti al mondo vegetale (mandragola, limone, olivo, ciliegio da fiore, pino etc.).
Il linguaggio, quindi, proprio per affrontare tematiche impegnative, può arricchirsi di ulteriori colori ampliando la palette non solo al mondo umano, ma anche a tutto ciò che lo circonda, e quindi ad altre forme di vita.

Non credo però di essere un innovatore: la realtà è che i miei riferimenti letterari non sono propriamente i poeti italiani, ma quelli dell’Est Europa. Se dovessi, ad esempio, prendere tra le mani un libro di Nicolaj Zabolotskij (l’ho ripreso in questo momento per quest’intervista, è una raccolta poetica straordinaria intitolata “Colonne di piombo”, non viene ristampata in italiano da circa 50 anni), leggo titoli come “Il volto del cavallo”, “L’usignolo”, “Battaglia di elefanti”, “La pescheria”, “Le gru”. Anche la stessa Szymborska faceva ampio uso degli animali e di elementi naturali nelle sue poesie.

Per me, quindi, introdurre animali e piante significa ampliare la tavolozza di immagini e colori a disposizione per creare un testo.

Non è ovviamente uno sfoggio di stampo barocco, ma qualcosa di molto funzionale per dare matericità a riflessioni che altrimenti resterebbero molto teoriche o colte. Io cerco di creare una spina dorsale tangibile e viva, trasfigurando le riflessioni in una storia in versi liberi.
Infine, meno parole si hanno a disposizione e più c’è il rischio di incorrere in “ripetizioni” o in calchi di altri autori. Se invece il materiale linguistico viene ampliato, si può sperare di dare una veste originale alle proprie idee.

Altro tema dominante è quello del contrasto tra il mondo naturale di cui accennavo prima, e civilizzazione. Si passa cioè continuamente da riferimenti moderni a riferimenti classici o bucolici, ma questo passaggio non desta alcuna perplessità nel lettore. Tutto appare mescolato, confuso, eppure è proprio questa caratteristica a creare equilibrio. La poesia di Sundara, lavora per immagini, che tu stesso definisci nella postfazione come “micro-storie surrealiste in versi liberi”. Puoi dare ai lettori un approfondimento su questo tema?

Ritengo che la poesia debba avere più livelli di percezione: parlo proprio di percezione e non di lettura. La lettura in quanto transcodifica è il mezzo grazie al quale arrivare: a una comprensione del significato, a una percezione del suono e del piacere che esso crea e infine alla creazione di una immagine interiore o di una serie di immagini.
Abbiamo quindi una triade: l’aspetto della comprensione del significato; l’aspetto del gioco sonoro; l’aspetto visivo, o meglio ciò che i versi cercano di creare lasciando immaginare al lettore i fotogrammi di una storia surreale.
Voglio che dalla mia scrittura scaturiscano delle immagini che non siano necessariamente copie della realtà, ma espansioni della realtà. Come ho riferito in altra sede, io parto da “pezzi” di realtà ricombinandoli e integrandoli, per creare una surrealtà, che agisce per squarci narrativi di un mondo altro, diverso dal nostro.

La seguente è una domanda che non si dovrebbe mai fare a un poeta su una sua raccolta. Ma quale, delle 31 poesie di Sundara, è quella che più ti ha scavato dentro o che senti più cara?

Sono principalmente tre: Profondità, Noi non ci assomiglieremo mai e Nova genezo.
Forse Noi non ci assomiglieremo mai è quella che riesce più a mediare tra una interiorità lirica e il surreale, e contemporaneamente espone l’anima del libro, la volontà di raggiungere una propria unicità, questa condizione di bellezza e gioia che deriva dall’aver completato un percorso unicamente proprio, privo di analogie e influenze altrui.

Questa è quasi una domanda obbligatoria, visti i tempi che stiamo vivendo; come ha cambiato la pandemia il processo di produzione della poetica e della stessa raccolta? E il rapporto con il pubblico?

La pandemia ha influenzato l’ultima fase di scrittura e revisione di Sundara nel senso che ne ha accresciuto la tensione e mi ha conferito l’illusione di scrivere un libro che potenzialmente poteva essere il mio ultimo libro. Tuttavia non credo che tale tensione sarebbe stata così inferiore in assenza di pandemia, dal momento che il mio obiettivo era creare un lavoro che fosse più “potente” del precedente, che riuscisse ad avere una sua personalità ancora più decisa. L’ispirazione non basta, ma deve essere supportata da un lungo percorso di ricerca formale, che dia una veste lessicale consona (la migliore possibile) al contenuto.
Il rapporto con il pubblico era già notevolmente avviato sui social network sin dal 2016, proprio perché il mio primo libro, pubblicato tre anni fa, era un libro nato grazie all’esperienza di scrittura sul mio blog. Pur essendo un docente di Lettere, tuttavia, sono una persona molto restia a parlare delle mie opere in maniera sistematica: ho diversi interessi e non sono un promotore sistematico ed esclusivo della mia scrittura. Con chi mi segue parlo di musica, di cucina, di scuola e anche di scrittura (non solo la mia).


Ecco i canali social di Mauro de Candia, che merita senz’altro di essere seguito:

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Qui il suo sito ufficiale: www.decandiamauro.com
Se volete acquistare il suo libro: www.edizioniensemble.it

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