la-notte-arriva-sempre-willy-vlautin

Willy Vlautin ci ricorda che “La notte arriva sempre”

Di case mancate e che mancano mi piace scrivere e leggere, decisamente meno viverle – eppure mi succede da che ho memoria; La notte arriva sempre di Willy Vlautin (Jimenez Edizioni, 2021) è esattamente questo: il racconto del mancato raggiungimento del sogno americano di comprare casa, che tanto condivide con il suo gemello italiano. Sopra a tutto, la frustrazione, l’indebitamento, l’alienazione. Allora perché ci ostiniamo a volerlo fare?

Da Londra a Milano, ho visto i prezzi levitare e i metri quadrati restringersi vertiginosamente, in una gentrificazione inarrestabile per cui le maschere del buon gusto e della sicurezza non reggono più. È ciò che accade anche per la casa di Lynette, la protagonista de La notta arriva sempre: non è una reggia, anzi, le infiltrazioni e i problemi si susseguono uno dopo l’altro e il proprietario è tutt’altro che accomodante, ma è l’unica casa che potrebbero permettersi, ed è quella in cui la sua famiglia già vive. Non è un investimento, né un traguardo: è un bisogno – non solo quello di avere un tetto sopra la testa, ma ancor di più quello di avere un nucleo, delle mura fisiche che tengano assieme i legami invisibili di una famiglia che forse non è mai stata tale e si sta progressivamente sfaldando.

Partiamo dall’inizio: Lynette ha un fratello maggiore di due anni, Kenny, mentalmente disabile, e una madre, una specie di cosa stanca e abbandonata sul divano della casa che i tre condividono. Sia la madre che Lynette lavorano, anche su più turni e per diversi datori, perciò Kenny passa il tempo con una vicina o seduto nell’auto di Lynette aspettando la fine del turno: così trascorrono le giornate, una dopo l’altra, sempre uguali. È pesante, è alienante, ma Lynette ha un obiettivo: pagare l’anticipo per acquistare la casa in cui la famiglia vive. Finché non arriva una notte, la notte che cambia tutto.

Mi sono resa conto che tutta la città mi tormenta. E tutti quei posti nuovi, tutti quei palazzi nuovi, servono solo a ricordarmi che io non sono niente, non sono nessuno.

Willy Vlautin, p. 193

La madre di Lynette e Kenny ha speso parte dell’anticipo nell’acquisto di un’auto per sé: si apre il vaso di Pandora, da cui escono i mostri terribili del passato. Scopriamo così che la storia di questa famiglia non è felice, che i rapporti si sono fossilizzati, che le parole sono affilate, che l’unico non detto è che il sogno della casa non è il loro sogno: è quello di Lynette, che ha bisogno della madre come garante per l’acquisto. E, forse, non è nemmeno un sogno: è un appiglio, una meta, un motivo per svegliarsi ancora e ancora invece di gettare tutto e piegarsi su se stessi.

Perché, per raggiungere la cifra dell’acconto, Lynette ha lavorato in ogni modo e a ogni occasione, anche come prostituta ed escort, oltre che come cameriera e in una forneria: ha abbassato la testa ed è andata avanti dritta, con un solo obiettivo. Non è stato un guadagno, però, ma paradossalmente un prezzo da pagare: è nella notte in cui si svolge il cuore del romanzo che vengono a riscuotere pegno.

Willy Vlautin (C) Dan Eccles

Tutto precipita: Lynette deve trovare i soldi che la madre ha speso e lo deve fare in fretta. A ogni costo: sembrano pensarla così anche le persone in cui si imbatte durante la notte, che con ogni mezzo provano a ostacolarla per il proprio interesse. Lynette non ha amici e non ha alleati, non ci sono gli aiutanti tipici delle fiabe – è sola, in ogni momento, contro tutti. Ma c’è per se stessa: non capiamo se sia un ritrovato istinto di sopravvivenza o un’arte che si impara proprio malgrado, ma Lynette non dà tregua a chi prova a contrastarla, mostrando una prontezza e un’audacia ammirabili anche in queste tetre circostanze.

Io non sono caduta vicino all’albero. Comincio a pensare che certe persone sono semplicemente nate per affondare. Nate per fallire. E sto iniziando a rendermi conto che io sono una di quelle, e tu non hai idea di come ci si senta. Di quanto sia brutto raggiungere questa consapevolezza. Ma questo non significa che voglio che le cose siano difficili come sono sempre state. Non significa che voglio che rimangano così. Non significa che mi piacciono così. Ma devo pur vivere, no?

Willy Vlautin, p. 187

La notte arriva sempre non è un romanzo facile: anche noi prendiamo i pugni in faccia mentre li riceve Lynette, anche noi abbiamo lo stomaco stretto mentre si avvicinano le scadenze, anche noi andiamo in apnea mentre tutto perde senso. Il tutto, mentre il mondo per cui lavoriamo ogni giorno ci rema contro, ci esclude e ci esula.
Allora quasi riusciamo a convincerci che la soluzione trovata dalla madre, che gli escamotage di Mona, che la vita di facciata di Gloria e i margini in cui si rifugiano tutti i personaggi del romanzo forse siano l’unico luogo accogliente, l’unica occasione per mantenersi a galla – non vivere, non prosperare, non soddisfare l’american dream: quelle sono cose che appartengono ai ricchi e ai fortunati.
A noi tocca un altro giorno da affrontare, ancora, dopo anche la notte più lunga.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.