Alice Walker e l’esordio con “La terza vita di Grange Copeland”

Nell’anno 1966 la scrittrice, la poetessa e l’attivista per la pace e i diritti delle minoranze Alice Walker inizia a scrivere il suo romanzo d’esordio, basato su un caso realmente accaduto di femminicidio — a 13 anni vide una donna uccisa dal marito. Questa immagine la perseguiterà per anni e termina il romanzo a soli 25 anni. Ecco La terza vita di Grange Copeland, da tanti anni ormai introvabile, pubblicato nuovamente a marzo di quest’anno con la traduzione di Andreina Lombardi Bom da Edizioni Sur.

Sullo sfondo del The Peach State, la Georgia rurale e segregazionista — dove la Walker è nata e vive la sua infanzia insieme ai genitori mezzadri e ai sette fratelli —,  la storia di una famiglia del Sud colpita e circondata da prevaricazione, odio razziale e intrarazziale. La stessa comunità nera che vede gli effetti degli abusi fisici e mentali genera la violenza tra neri all’interno della stessa. La comunità che l’odio ha abbruttito, reso bestiale e crudele abbrutisce se stessa. Così gli oppressi diventano oppressori e Walker vuole denunciare soprattutto le violenze e i soprusi subiti dalle donne nere da parte di mariti e familiari.

Alice Walker

La segregazione razziale e lo sfruttamento dei proprietari terrieri esaspera le vite dei mezzadri, senza alcuna speranza di cambiamento. Ma Grange Copeland riesce a vivere tre vite: nella prima, nella contea di Baker in Georgia, è un mezzadro che raccoglie cotone sotto schiaffo di un padrone bianco, ha una moglie e un figlio che maltratta e sui quali riversa il proprio fallimento. Nella seconda è un uomo che abbandona la famiglia per cercare fortuna al Nord. Nella terza è un uomo che deve fare i conti con ciò che ha lasciato: Brownfield, un figlio che a sua volta sfoga tutta la frustrazione sulla moglie Mem e sulle tre figlie (Ornette, Daphne e Ruth), in un ciclo di violenza che sembra non avere mai fine. In questo ciclo di dolore, sofferenza e violenza, forse solo l’amore e la compassione sono come fiori di loto, che riescono a crescere anche in un ambiente avverso.

Fotogramma tratto dal film Il colore viola (The Color Purple) del 1985 diretto da Steven Spielberg

È un libro che, seguendo tre generazioni di una famiglia legate da un rapporto di distruzione, parla di violenza nelle sue tante forme: fisica, verbale, psicologica. Come non pensare al romanzo Pulitzer Il colore viola dell’autrice, dove le donne sono tanto forti quanto alcuni uomini sono invece piccoli, spregevoli, deboli e subdoli. In La terza vita di Grange Copeland ritroviamo gli stessi temi cari a Walker: razza, identità, giustizia, rinascita. Curioso che fra tutti i colori Walker scelse il viola perché era il colore che si vedeva di meno, proprio come le donne maltrattate che restavano sullo sfondo delle storie sulla mezzadria.

La sua opera prima, oscurata dal più celebre romanzo, è davvero potentissima dal punto di vista narrativo. Divisa in undici parti, è intrisa tra le righe di una forte denuncia di un sistema sociale costituito fondamentalmente da un circolo vizioso di violenze interiorizzate e riversate su donne e bambini — come il piccolo Star, fratellastro di Brownfield, morto avvelenato insieme alla madre Margaret, che nella sua breve vita era stato trattato con indifferenza e sembrava rassegnato a essere fuori posto (1).

Brownfield, che vive la sua vita indossando la stessa maschera che era stata di suo padre e non riuscendo a dare negli ultimi anni affetto e comprensione alla madre, si mette in cammino verso il Nord sulle tracce del padre e si ferma in una contea dove nelle grinfie di Josie e Lorene diventa la bestia che lui stesso sentiva di essere (2). Si innamora qui di Mem, giovane maestra istruita, stila un contratto di mezzadria e la sposa. Basterà solo qualche anno per capire che la sua vita stava diventando una ripetizione di quella di suo padre (3):

«Nel corso degli anni raggiunsero quello che, all’epoca del loro matrimonio, avrebbe definito un impossibile, incredibile declino. Adesso Brownfield picchiava regolarmente la moglie non più adorabile, perché questo lo faceva sentire, per un attimo, bene. Ogni sabato notte la picchiava, cercando di scaricare su di lei la colpa del proprio fallimento stampandogliela sulla faccia; e lei, inevitabilmente, lo ripagò diventando una megera sfatta con i gesti di un automa (…). La donna tenera che aveva sposato, lui si mise in testa di distruggerla. E prima di distruggerla era deciso a trasformarla. E la trasformò eccome.» (4)

Quanto più trasforma la moglie in qualcosa che lui non voleva, che non poteva volere tanto più era facile trattarla come meritava. Quanto più sente la propria condizione inferiore, feroce, quasi animalesca, a causa delle ingiustizie della vita, tanto lontana diventa la capacità di risollevarsi, di andare al Nord. Incolpando sempre gli altri per il proprio fallimento, godendo dello sconforto di sua moglie, Brownfield era tormentato da un malessere dell’animo. A un certo punto usa la capacità generatrice della moglie per piegarla con la debolezza fino a distruggerla. I suoi dialoghi sgrammaticati e pieni di turpiloqui indicano non solo la condizione di anafalbetismo ma anche quella di oppressione.

Questo libro fa salire la nausea, è un romanzo ricco di straziata, dolorante umanità. Racconta di uomini violenti e donne tenaci, più intelligenti e protettive ma impossibilitate ad arginare i soprusi maschilisti che gli uomini della loro comunità prendono per libertà. Fa odiare gli uomini per un bel po’ di pagine.

Poi però c’è Grange e il suo rapporto con la nipotina Ruth, amorosa e sagace, che riesce a far sopravvivere la propria anima in questo desolante circolo di odio e distruzione. I due sopravvissuti dell’anima, come li chiama Walker nella Postfazione, si stringeranno in un rapporto unico e salvifico come solo un nonno e una nipote possono avere. Grazie a Ruth, una lenta presa di coscienza del male subito e provocato in Grange genera la sua metamorfosi verso una resistenza alla sottomissione, nella consapevolezza di una responsabilità individuale:

«”A quanto pare non riesco a insegnarti altro che la voglia di sapere le cose”, disse Grange. “Non ho mai visto nessuna come te quando si tratta di andare a guardare sotto la verità rivelata.» (5)

Pensando a Il colore viola e a questa opera prima, hanno reso Alice Walker esponente assoluto della Black Women Renaissance nella letteratura. Negli anni 80 coniò il termine womanism per definire il femminismo delle donne di colore  In questo romanzo d’esordio pensiamo ai temi legati al corpo delle donne, alla violenza emotiva e verbale, ma anche fisica, alla supremazia bianca, al linguaggio che si fa portatore di grandi differenze, tra Nord e Sud, tra bianchi e neri, tra ricchezza e povertà.

Cosa si può fare allora di fronte all’ingiustizia e alla violenza?

Come Walker scrive nella potente Postfazione:

«(…) io credo con tutto il cuore che sia necessario mantenere inviolato l’unico spazio interiore che è concesso a tutti. Io credo nell’anima. Inoltre, credo che sia la tempestiva responsabilizzazione per le proprie scelte, un’accettazione volontaria di responsabilità per i proprio pensieri, comportamenti e azioni, a darle potenza. L’oppressione dell’uomo bianco nei miei confronti, che tu sia uomo, donna, bambino, animale o albero, perché l’io che mi è prezioso rifiuta di lasciarsi possedere da lui. O da chicchessia.» (6)

Quante vite può vivere un solo uomo? Quante volte ci si può redimere? Questo romanzo ci insegna tanto, ci insegna che si può vivere tanto e cambiare diverse volte ma ci si può redimere. Questo romanzo è duro, ma è un pugno nello stomaco come l’odio è simile alla pietra o alla terra bruciata o a ciò che non può più e non deve più tornare.

Thanks God for Alice Walker!

Note

(1) Alice Walker, La terza vita di Grange Copeland, SUR, 2021, pag. 34

(2) Ivi, pag. 76

(3) Ivi, pag. 86

(4) Ivi, pagg. 88-89

(5) Ivi, pag. 261

(6) Ivi, pag. 355

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