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Giù le zampe da Gato Fernández

Questa è l’inizio della storia di Lucía, chiamata affettuosamente Lucy dal fratello Fede, ma è anche quella di Gato. E, soprattutto, questa non è una storia felice: ma è vera, e va raccontata.

Giù le zampe (ComicOut, 2021) è la prima graphic novel di cui Gato Fernández è sia autrice che illustratrice, ed è anche una prova autobiografica che le ha richiesto oltre dieci anni di gestazione, durante i quali ha messo la testa sott’acqua, addentrandosi senza riserve nel dolore e nella malattia mentale per dare loro una forma nota – Gato disegna da quando aveva tre anni – e poterli portare nel mondo.

L’alterego di Gato in Giù le zampe è Lucía, una bimba che vive «con mamma, mio fratello, mia nonna Chana e Alberto… mio papà» in un appartamento di una città che potrebbe essere Buenos Aires. La difficoltà, da subito presentataci, di associare Alberto a quello che dovrebbe essere un padre è evidente, non solo a parole: il suo primo ingresso sulla pagina lo vede con il viso rivolto al muro, che cantilena quanto tutto stia andando male, poi diventa una voce che urla contro la moglie la notte e anche una figura sbiadita che agguanta Lucía anche quando prova a nascondersi, che la ricopre pesante quasi soffocandola, che non le lascia via di scampo. Lucía è vittima di abuso sessuale e l’unica arma di difesa che ha, come tutti i bambini, è l’immaginazione: la stessa arma a cui ricorre ogni giorno ora, ad anni di distanza, Gato Fernández.

Tra queste difficili pagine, due mondi di fiaba si alternano alla dolorosa realtà: uno è quello creato in modo collaborativo da Lucía e Fede, in cui si muovono come guerrieri ed eroi, e l’altro è quello delle fantasie liberatorie che la accompagnano soprattutto di notte, con le quali esorcizza ciò che subisce e può tornare a esserne protagonista attiva. Non sono necessariamente un mondo positivo e uno negativo, ma sono due modalità di sopravvivenza che vengono attivate a difesa di una quotidianità insopportabile, troppo ristretta e soffocante; proprio come fa anche la nonna ricorrendo all’alterità della religione e convincendo Lucía che Dio è dappertutto – e, durante una delle sue cacce avventurose, la piccola effettivamente lo trova, riconoscendolo nello zampillo d’acqua del bidet, al quale si inginocchia per parlare, confidarsi e trovare conforto.

Se il sottotitolo della graphic novel è, in italiano, Una storia vera, nella versione originale recita En la casa hay fantasmas, nella casa ci sono i fantasmi: ma non sono quelli che assistono Lucía, i suoi compagni di gioco e i suoi protettori, che prendono la forma di topi gialli; sono piuttosto quelli del non–detto che si aggirano ben più pericolosi per casa, proprio come fanno gli scarafaggi, animali disgustosi e sporchi che «sono dappertutto! Anche se non li vedi, ci sono… SEMPRE!» dice Fede mettendola in guardia.

Da un lato, Gato Fernández aderisce così alla corrente del realismo magico, dall’altro queste creature sono spuntate sulla superficie della pagina durante gli anni, che servono per incarnare qualcosa di più profondo: nel caso dei topi, è quasi come se la Gato adulta volesse dare, se non degli alleati, almeno dei compagni a Lucía, anche non reali – perché la realtà non è la sola cosa che conta.

Non solo: il titolo originale, El Golpe De la Cucaracha, è la traduzione in spagnolo del modo di dire francese “un coup de cafard” (cioè un colpo di scarafaggio), che indica la depressione, malattia di cui Gato soffre. Ma gli scarafaggi sono anche una delle sue fobie più grandi e, come lei stessa sottolinea, in psicologia le fobie sono sempre un indicatore della figura paterna. E il padre, Alberto, è sempre descritto come «viscido» e «appiccicoso», che causa «schifo», si trasforma in uno scarafaggio quando abusa di lei.

Credo che in letteratura sia giusto mentire per dire la verità.

intervista a Gato Fernández

Soprattutto grazie alla militanza transfemminista, nel 2016 Gato Fernández ha finalmente trovato la forza e i mezzi per denunciare il padre, nonostante alcuni avvocati abbiano cercato di dissuaderla, ma la madre e il fratello non hanno appoggiato la sua causa. Così sono nati i diavoli che Gato riporta in una tavola extra a pagina 107 di Giù le zampe e che entrano nella storia al fianco di Alberto – ed è anche per questo che Lucía ha bisogno dei topi – e così è nata la prima versione della copertina, in cui da una parte siedono Lucía e un tetro scarafaggio e dall’altra la madre e il fratello, tutti che guardano in direzioni diverse.

Come Gato stessa dice nella postfazione, «se tutti i miei psicoanalisti hanno avuto qualcosa in comune, è che concordavano sul fatto che essere in grado di disegnare e scrivere è ciò che mi ha salvato da follia e/o suicidio», ed è stato anche il consiglio che le ha dato Carlos Trillo, uno dei più grandi fumettisti al mondo e suo professore: non ammazzarti, perché devi finire questo libro, devi raccontare questa storia. Giù le zampe, nato in un percorso durato dieci anni, è stato allo stesso tempo uno strumento di terapia e una forza propulsoria per andare avanti, a volte anche trascinandosi malamente, ma sempre con un obiettivo.

Giù le zampe è anche la prima parte di una tetralogia, in cui Gato affronterà l’abuso che ha subito e le sue ripercussioni nel corso del tempo: perché anche se un tribunale archivia un caso, anche se non ci sono più contatti con chi ha abusato, anche se è tutto a decenni di distanza, ogni giorno si deve combattere, ogni giorno ci si deve mostrare, ogni giorno si deve esistere.

Per tutt* quell* che stanno sopravvivendo a un abuso e per chi non ce l’ha fatta. Presenti, ora e sempre.

dedica di Gato a Giù le zampe
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Per approfondire: una preziosa intervista che Libreria Antigone ha fatto a Gato.

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