Nati Nuovi. L’apocalisse dei ragazzini – Il secondo (fanta)romanzo di Domitilla Pirro

Iniziate a leggere, e pensate che è più di un libro, questo.
O almeno, d’aspetto ci azzecca, quello che avete tra le mani è – a tutti gli effetti – un libro. 
Ma in realtà è un viaggio allucinato. Siete tipo dentro un videogioco.

Girate le pagine, leggi e siete già al centro della storia. Come da regola, c’è un Evento che scombina tutto, e il vostro mondo si ribalta come un calzino, perdete delle cose, ne trovate altre, incontrate personaggi alleati, vi muovete, camminate, andate sempre avanti, vi imbattete in Guardiani della Soglia, ostacoli, Bestie, mostri da abbattere, diventerete anche voi un po’ mostri, e manco ve ne accorgerete, perché in un videogioco il confine tra buoni e cattivi è sempre molto discutibile, e intanto andrete a caccia di tane e Risorse che possano permettervi di andare avanti col gioco. Di non morire, mentre ogni cosa è a pezzi.

Questa è stata la prima cosa che ho pensato iniziando il secondo romanzo di Domitilla Pirro, Nati Nuovi. L’apocalisse dei ragazzini, pubblicato dalla casa editrice indipendente effequ, dopo quel (meraviglioso) triturastomaci (e cuori) che è stato Chilografia. Diario vorace di Palla (qui una bella intervista all’autrice a cura di Adriano Pugno). Questa seconda prova, dalla prima all’ultima – mannaggialamiseria – pagina, è stata un’esperienza furente e commovente, in cui si può solo avanzare, confidando in un salvataggio automatico.

Ma aspettate. Premiamo pausa e facciamo un passo indietro.

Premesso che

Per colpa dei Grossi il pianeta ha esaurito le sue risorse. Per colpa dei Grossi le peggiori previsioni avanzate dagli scienziati hanno vertiginosamente portato a uno shift nel sistema. La durata media della vita umana si è accorciata fino a un vero e proprio ribaltamento dei rapporti tra l’età dell’uomo-come durante la preistoria. Il ricambio? Velocissimo. Non è l’adulto il soggetto all’apice della forza, ma il bambino- il Nato Nuovo. E quel Nuovo che la capito prima di tutti ha usato rovesciare la situazione a proprio immediato vantaggio. Non dando prova di grande lungimiranza, va da sé; ma traendone beneficio E gratificazione istantanea – l’obiettivo di qualsiasi giovane forza. Non fu la notte in cui nacque il Primo, che a oggi resta impossibile identificare. Fu anni dopo. Ce ne furono tanti di Eventi. Uno venne trasmesso in diretta nazionale e comincio a circolare sui social e poi fu ripreso da tante emittenti televisive. Rimbalzava da un angolo all’altro del pianeta come una vespa in una bottiglia sporca di vino.
Tutti videro. Quasi tutti capirono.
Per quelli che non capirono fu da subito troppo tardi.

C’è un Evento, o meglio una serie di Eventi che fanno partire una rivolta biologica, in cui all’improvviso a scontrarsi ci sono i Grossi – gli adulti – e i Nati Nuovi – i ragazzini, che ri-nascono, con una «sensazione di euforia e una iperstenia diffusa e persistente», diventando altro da sé. Siamo a Limine, nel Lazio, e per Vera Giordano, una dodicenne “con un frattone di capelli a molla”, parte tutto da un ospedale, il Chianalini, quando Tommaso Dalmasso – uno dei Nuovi – abbatte il personale di servizio del Pronto Soccorso, innescando altri Nati Nuovi e la prima rivolta. Per Gec e Ari accade al invece Multisala, e così, pagina dopo pagina, incontriamo i sei protagonisti e il loro primo incontro con quel qualcosa che rimescola le carte in gioco.

Il parcheggio ha una capienza complessiva di 520 posti, sta scritto. Intenderà posti auto, pensa Gec, che si chiede invece se la capienza di un parcheggio sia mai stata misurata in loro. Sono tantissimi. Hanno dodici oppure quindici oppure nove oppure sette anni. Stanno in piedi oppure corrono oppure si lanciano un pallone. Stanno ridendo oppure stanno lanciandosi addosso gli smartphone spenti come mattoncini, i caricabatterie lasciati chissà dove.

Vera, Gec e Ari, Gabri, Lena e Rica. Quattro femmine e due maschi. Sei ragazzini e ragazzine che, richiamando i Bimbi Sperduti di Peter Pan, insieme comporranno la banda de li sfascioni, e saranno i Diti di una Mano, in cui ognuno è un dito e Vera il palmo che li raccoglie – e accoglie – tutti, perché lei è la più grande, perché è lei che decide dove andare e cosa fare per sopravvivere.

effequ/facebook.com

Perché è questo, il punto. Andare avanti, sopravvivendo in un mondo nuovo e spaventoso e diverso da quello di prima, in cui i Grossi non ci sono (quasi) più, in cui bisogna pensare a procurarsi del cibo, che diventa una “caccia alle Risorse” (in pieno stile da gamer), trovare dei ripari, delle tane-Fortezze, e confrontarsi con loro, i Nuovi, che però sono diversi dai nostri protagonisti, perché “so’ tutti arabbbiàti”, come dirà Ari a un certo punto. I Diti potranno contare solo su loro stessi e quei compagni di viaggio, “fratelli impossibili”, che hanno – letteralmente, in certi casi – raccattato lungo la strada.

Noi lettori li vedremo diventare una strana, strana famiglia di fronte a quattro bicchieri pieni di Fanta sgasata e calda, e affrontare le fragilità, le paure. La perdita. Rideremo con loro e ci faremo spaccare il cuore, grazie anche i disegnetti sparsi qua e là per le pagine. Li vedremo farsi mostri, rimarremo spiazzati e rabbrividiremo di fronte a certe scene, in cui azioni terribbbili vengono compiute con una lucidità e una tranquillità disarmante. In un mondo in cui tutto è andato allo scatafascio e winter is coming, quanto vale un giaccone, Risorsa preziosissima? Cosa sareste disposti a fare per averlo e non morire di freddo? Nonostante questo, gli vorremo bene, perché non possiamo fare altro che quello (Gec e Gabri sono dei pezzi di cuore grandissimo).

Vera ha preso ad amare la nuova forma di Limine. Le piane silenziose tra un palazzotto e l’altro, l’orizzonte lungo distesosbracato sopra a una riga di quadernone. L’assenza di clacson. I grilli, la sera. E tonnellate di cicale, a giudicare dalla Solònna Conòra. Sorride. Gec è proprio – Vera non sa mai come finire il pensiero.

Qui dentro c’è tutto quello che l’autrice conosce (bene benissimo) – i règazzini, il trash di Cretaceous 8 fino all’altissima narrativa del Signore delle Mosche e di The Last of Us –, ed è raccontato con una scrittura veloce, compromessa, esplosiva. È un frullatore in cui ci si butta dentro di tutto, dialetto, slang, musicalità, rimandi pop, neologismi azzardati e pazzeschi, come solo i règazzini sanno inventare. Capitoli brevi ma densissimi – da noi si direbbe brensi (da breve + intenso) – in cui però ogni parola virgola punto è al posto giusto, in un equilibrio assurdo ma solido, solidissimo, in cui non sbrodola nulla.

Insomma, l’avrete capito.

Con Nati Nuovi Domitilla Pirro alza ancora l’asticella. Non è facilissimo entrarci dentro all’inizio, perché bisogna accettare il fatto di rimanere spiazzati. Dalla storia, dalla lingua, da certe verità, intendo. 

Ha scritto un libro bello e tostissimo, che potrebbe essere letto da chiunque, adulti ma anche – e soprattutto – mini-umani, e che poi, adesso adesso, è di un’attualità pazzesca. In questo anno e mezzo di mondo pandemico, l’abbiamo capito che la realtà è spaccata in due. Da una parte, ci siamo noi, i Grossi, vecchi, deboli, brutti, che fatichiamo a cambiare, ad accettare il fatto di essere irrimediabilmente boomer. Dall’altra loro, invece, eccoli: i Nuovi, meravigliosi e terribili, che si adattano a una velocità che noi manco ce la sogniamo, e ci divorano.

Perché la seconda cosa che ho pensato, leggendo ‘sto romanzo, è che io, nel mondo raccontato dalla Pirro, sarei già morta al minuto uno proprio.
Ed è atroce e bellissimo al tempo stesso.

Se avete il coraggio, premete play, e partite per questa (fanta)viaggio.
Non ve ne pentirete.

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