Tra la superficie e le acque fonde: Sirene di Ivonne Mussoni

Mi ricordo di Ivonne Mussoni da Parco Poesia e dal Centro di Poesia Contemporanea di Bologna, che seguivo dai margini e con entusiasmo per queste voci fresche, vicine e delicate.

È una Ivonne diversa quella che incontro oggi, a metà di un anno aggrovigliato, tra le pagine di Sirene (Giulio Perrone Editore, 2021): la sua grazia è immutata e pervade le poesie, ma si è fatta ora meno innocente e ha cambiato il modo di essere incantata – proprio come sono, per tradizione, le creature che danno il nome a questa raccolta, consapevoli e oscure, immutabili ed enigmatiche. Ivonne però ci mostra che la loro non è doppiezza ma dualità, non mostruosità ma prossimità alla parte naturale e ferale, non lussuria ma domanda. E lo fa lasciando loro la parola.

«Sott’acqua non ci sono le tempeste» (p. 24): è lì che andiamo con le sirene, ad assistere alla loro vita più intima, quella che in superficie non si vede e che l’occhio umano non può cogliere. Là sotto, dove tutto rimane cheto, possono schiudersi e indugiare, riflettere ed esitare: sono ben lontane dalle creature sensuali e dannose che conosciamo a pelo d’acqua – sono definitivamente loro stesse e possiamo ascoltarne la voce senza temere di caderne vittime.

Non siamo qui, però, per essere spettatori di un’innocenza o di una vita paradisiaca, ma del loro dolore. Le sirene esistono con un compito che provoca loro sofferenza, che muta e oscilla tra il desiderio di essere ascoltate e quello di essere loro stesse – qualunque cosa esse siano: «Eravamo quasi donne / nel poco che mancava / lucertole, uccelli, meduse, / tempeste, / orsi e serpenti» (p. 32), trasformate da un mito all’altro, da una cultura all’altra, mai intere e sempre in mancanza.

È pericoloso fare luce
su una natura di bestia,
è la prima cosa che si impara,
prima ancora del linguaggio,
si distingue ciò che è vero
dalla conta inesauribile dei mostri,
di quelli che ora conto su due mani.
Eravate voi, non io
a fare più paura.

Ivonne Mussoni, da Sirene, p. 77

«La distanza / fra il sacro e la paura» (p. 24) è quella in cui si muovono, in cui trovano spazio e allo stesso tempo sono costrette. La punizione per non aver difeso Persefone diventa la conoscenza assoluta, la perdita dell’innocenza che hanno invece le bestie; il sapere non le protegge contro l’amore, però, di fronte al quale sono senza difese e senza interpretazioni, tanto che la massima espressione dell’amore è nel non–trattenere: «Quando lasciate la presa vi amo» (p. 40).

C’è un dolore anche nell’essere accettati
nello sguardo che attraversa come se davvero
potesse un giorno amarti.

Ivonne Mussoni, da Sirene, p. 53

I «popoli sotto le onde» hanno «certi cuori inaffondabili» (p. 26), mentre agli uomini è toccato in sorte un «cuore [che] prende acqua da ogni parte» (p. 42): la distanza sembra incolmabile proprio per costituzione, la materia che li compone si comporta in modo differente e segue logiche aliene, che li allontana e li mantiene separati.

A questo regolamento devono sottostare anche i momenti più innocenti e autoindulgenti che dovrebbero creare una bolla protettiva dal mondo e dai doveri, come raccogliere conchiglie: quasi perdono il loro potere salvifico quando messi a confronto con ciò che era necessario fare, togliendo la naturale spensieratezza a un gioco da ragazzini.

Il tempo speso a cercare le conchiglie
non vale nella conta finale dei giorni

Ivonne Mussoni, da Sirene, p. 50

Da I cerchi sull’acqua, le poesie della superficie, a Quasi mezzogiorno, le poesie del sacro e della conoscenza, a I cerchi sott’acqua, le poesie dell’intimo, con le quali la sirena può essere kore, cioè una fanciulla, e sperare e tremare e desiderare, fino a Sulla terra, la sezione conclusiva in cui ci si deve confrontare con regole terrestri, l’alterità e l’incomprensione, Ivonne ci porta attraverso le onde e i pericoli dell’essere sirena, del non avere forma e poterne avere tutte, dell’essere metà e del sapere ogni cosa.

Era la pioggia senza la pioggia che cade,
il vino nel bicchiere
senza il suono che lo versa,
la porta che si apre ed era proprio lui, proprio lei
che stavate aspettando
e non ne avete riconosciuto il passo.

Ivonne Mussoni, da Sirene, p. 59

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