E tutt’intorno il mare di Dominique Fortier – Tra lettura e scrittura, la vita

Mi sono imbattuta in Dominique Fortier, autrice canadese, lo scorso anno quando Alter Ego, casa editrice con un catalogo che si arricchisce mese dopo mese di belle penne (ho amato Streghe di Brenda Lozano), ha pubblicato in Italia Le città di carta in cui Fortier racconta la vita di Emily Dickinson attraverso i luoghi, le poesie e le passeggiate. Un testo profondo ed ermetico che mi aveva fatto apprezzare la scrittura di Dominique Fortier che torna – sempre per Alter Ego – con un altro romanzo – un ibrido tra racconto e flusso di coscienza – intitolato E tutt’intorno il mare (tradotto da Camilla Diez). Un testo che omaggia, tra lettura e scrittura, la vita non solo in senso biologico, ma in tutta la sua interezza, frammentata da sentimenti di diverso genere (e non sempre positivi).

Muri sventrati, volte crollate, soffitti incendiati, torri rase al suolo, passaggi ostruiti, scale condannate, campanili abbattuti, ricostruiti, caduti in rovina; simile a un manoscritto grattato dieci volte e che conterrebbe frammenti di storie, tracce di tratteggi e caratteri illeggibili, il Mont-Saint-Michel è un immenso palinsesto di pietra.

Protagonista, anche se stagliata sullo sfondo, è certamente l’affascinante abbazia di Mont-Saint-Michel, in Normandia, luogo di pellegrinaggio, di preghiera, ma anche di cultura. La sua storia comincia intorno al 708 quando il vescovo Oberto – dopo l’apparizione in sogno dell’arcangelo Michele – decise di edificare sull’isolotto del Mont-Tombe un santuario dedicato a lui.

Esitando ancora sulle dimensioni da dare al santuario, il vescovo ricevette un nuovo segno: la rugiada notturna ricoprì la cima del monte, fatta eccezione per un punto rimasto asciutto. Era di forma circolare e poteva accogliere un centinaio di persone. È lì che sarà costruita Notre-Dame-sous-Terre [chiesa ritrovata grazie a scavi effettuati tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. n.d.r.].

La maestosa abbazia di Mont-Saint-Michel – in uno spazio temporale lungo secoli – fa da fil rouge tra la vita dell’autrice e quella di un pittore del ’400, Éloi, che si innamora, per via di un ritratto che gli commissionano, di Anna, una nobildonna sposata. Da una parte c’è la voce di Fortier – autentica e talvolta commossa – che cerca di conciliare la sua passione per la scrittura con la maternità, dall’altra quella – toccante e malinconica – di Éloi che si ritrova addolorato dopo la morte di Anna.

© N. Le Coguiec – CRT Normandie

Quest’ultima è sì, una figura di passaggio, ma è anche il perno intorno a cui ruota non solo l’amore per la lettura e per la scrittura encomiato da Fortier, ma anche la gratificazione e il senso di stupore che Éloi, mai mandato a scuola, prova nei confronti dell’amata: «non mi avevano mai ritenuto degno di tenere una conversazione su un tema serio. Ma Anna, leggendomi i libri, non mi raccontava semplicemente una storia con delle parole, raccontava anche la storia di quelle parole, come se fossero stati i personaggi di una fiaba: da dove venivano, come si declinavano, qual era la loro famiglia, com’erano arrivate lì e dove le aveva trovate.»

Éloi passa un periodo della sua vita all’interno dell’abbazia, luogo sicuro che accoglie non solo pellegrini e bambini, ma anche libri. L’abbazia non è infatti solo un posto di ritrovo e di passaggio, ma è anche una vera e propria città dei libri, una biblioteca, protettrice di volumi rari e unici. L’autrice, invece, inizialmente è spaventata dal rivedere l’abbazia, come scrive nell’incipit: «La prima volta che l’ho visto avevo tredici anni […] Fu una specie di colpo di fulmine. […] Ho trascorso venticinque anni senza rivederlo. Quando è venuto il momento di tornarci, sulle prime ho suggerito di lasciar perdere.»

Fortier dice una cosa tanto vera e tanto giusta a proposito delle località o dei monumenti che abbiamo visto e visitato da bambinə, “avevo paura di trovarlo svilito, come si trovano sviliti i luoghi della propria infanzia ogni volta che ci si torna, per una di queste due ragioni: o ci erano sembrati grandi solo perché i nostri occhi erano piccoli, oppure strada facendo abbiamo perduto la capacità di essere abbagliati, due constatazioni ugualmente avvilenti”, ma per fortuna questo non accade perché l’abbazia è lì, racchiusa tra cielo e mare.

Non solo un omaggio ai libri, ma anche uno spunto di riflessione che – nonostante le differenze – sembra calzare a pennello con i problemi odierni relativi al mondo editoriale. Nel Quattrocento i frati di Saint-Michel sono preoccupati da un nome, da un uomo che in Germania ha trovato il modo di copiare lo stesso libro cento volte.

Robert guardava nelle tenebre davanti a lui, senza vedere. Intuivo che cercava di decidere se quella notizia annunciasse la morte della biblioteca oppure la sua rinascita. Come fare per sopravvivere in un mondo in cui i libri si sarebbero fatti senza gli uomini?

Secoli fa la nascita della stampa segnava una delle più grandi scoperte, una soluzione risolutiva per moltiplicare i libri (forse è il caso di dirlo) “come i pani e i pesci”. Eppure oggi ci troviamo di fronte a una difficoltà che riguarda la materia prima: c’è una carenza della carta e, di conseguenza, un suo aumento. Chissà cos’avrebbe detto Gutenberg a riguardo…

Fortier, oltre all’amore per la scrittura e la lettura, mette in luce l’importanza delle biblioteche, luoghi che talvolta passano in secondo piano quando si parla di libri e editoria: «In realtà non sono le opere ad aver bisogno della protezione dei monaci, sono gli uomini ad aver bisogno dei libri. Noi moriremo, i libri sopravvivranno». E se dovessimo trovarci in un periodo apocalittico, senza novità né ristampe, dove andremmo a prendere i libri secondo voi?

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