Il cane più pazzo del mondo – Recensione di Il randagio che mi ha preso il cuore di Rick Bragg

Quando si decide che si prenderà un cane ognuno si immagina il proprio cane preferito. Per alcuni sarà grande e coccoloso, per altri minuscolo e iperattivo. Per alcuni avrà il pelo lungo, per altri corto, o con un importante ammasso di dreadlock o con tante rughe. Giocoso, pigro, esaltato, mansueto, vorace, pingue o scarno. Ognuno ha i suoi sacrosanti gusti in fatto di cani, e anche Rick Bragg, lo scrittore de Il randagio che mi ha rubato il cuore (Aboca, traduzione di Teresa Albanese), li aveva. 

Lui si immaginava un cane grasso, buffo, paziente e fidato. Un amico per la vita, con cui passeggiare “sempre leggermente in discesa” e a cui dare un biscottino ogni chilometro di passeggiata.

Purtroppo, Speck non è il cane che aveva in mente. 

Rick Bragg è uno scrittore americano, molto conosciuto in patria. Ha vinto il premio Pulitzer nel 1996, per una serie di articoli scritti per il New York Times nei quali narrava la contemporaneità negli Stati Uniti. Erano articoli ironici e pieni di vita, che raccontavano dai folli e dirompenti festeggiamenti per il Martedì Grasso a New Orleans a un caso particolarmente complesso di omicidio domestico. E con la stessa delicatezza nel passaggio tra un tema e l’altro è scritto anche questo libro, Il randagio che mi ha preso il cuore.

Speck, il cane, nonostante tutti i suoi – piuttosto evidenti – difetti diventa infatti per lo scrittore un’ancora di salvezza e di amicizia in un periodo tremendo della sua vita. 

Lo adotta nello stesso periodo in cui gli viene diagnosticato un cancro, potenzialmente gestibile e curabile, attraverso però enormi sforzi e dolori e cure debilitanti. Bragg si sente vinto dall’esistenza, stanco, arrivato al gran finale a  sessant’anni, senza nemmeno le forze per tagliare il traguardo. è profondamente depresso e non si sente compreso da quelli che gli stanno intorno.

Eppure c’è questo cane, cieco da un occhio, senza la coda, con le orecchie strappate dalle continue zuffe in cui si getta con gli altri animali, che non molla mai. Non importa quante volte il fratello di Bragg lo chiuda in una gabbia per punizione, non importa quante volte gli asini lo picchino in testa con gli zoccoli, o quante gli urlino dietro. Speck è resiliente, testardo e pieno di vitalità. Può correre quattro, cinque volte intorno alla casa fino a provocarsi spasmi e attacchi di vomito, lui continuerà a farlo. Anche quando gli collassa la trachea.

Il randagio che mi ha preso il cuore è un libro commovente nella sua ironia, un vero e proprio tributo, quasi un’ode, a un grandissimo amico strambo. Quello che fa solo danni, di cui ci si lamenta continuamente, ma di cui non si riesce più a fare a meno e quando non c’è, manca.

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