Tributi alla terra

Ecologia digitale – Il manifesto italiano per una tecnologia sociale e sostenibile

Il digitale è fisico. Il digitale non è verde. Il cloud è a terra. Su queste tre tesi si basa l’argomentazione di Ecologia digitale. Per una tecnologia al servizio di persone, società e ambiente (Altreconomia Edizioni), un saggio che raccoglie i contributi di diverse voci del panorama italiano e internazionale con l’obiettivo di scoprire l’altra faccia del digitale, il lato nascosto di un’infrastruttura che poco o nulla ha di immateriale, green ed equo (come avevamo già spiegato in un precedente articolo).

Come sostiene Gerry McGovern, considerato “tra i cinque visionari con un impatto fondamentale nello sviluppo del web”, il digitale “è il più grande motore di consumo estremo e di sovra-produzione mai inventato”. Un motore che corre talmente veloce da essere difficilmente controllabile, come dimostra l’aumento vertiginoso dello spreco di dati – “il 90% di quelle foto non saranno mai più consultate. Rimarranno lì a marcire, sputando CO2 insieme ad altri zettabytes di dati spazzatura che si stanno accumulando senza far rumore nelle nostre discariche di dati” – o lo smodato consumo di suolo, acqua ed energia a cui il digitale contribuisce attraverso i processi di estrazione delle materie prime necessarie al suo mantenimento e i mega data center, enormi centri di elaborazione dati la cui temperatura deve essere mantenuta tra i 18° e i 27° tramite un sofisticato sistema di raffreddamento. Eppure, sottolinea Alberto Prinai Cerai nel saggio, le traiettorie di sviluppo che caratterizzeranno il futuro delle nostre società continuano a essere rappresentate dal mantra della sostenibilità e della digitalizzazione, concetti che hanno già permeato le strategie aziendali, le politiche pubbliche dei governi nazionali e il dibattito sui media: “la convergenza delle tecnologie low-carbon e di quelle digitali ci fanno sperare che il decoupling tra crescita economica e consumo di risorse sia possibile: l’idea di un cloud economico immateriale, di un “metaverso” in cui il benessere viene scandito dai bit e non dalle emissioni di CO2. Ma si tratta probabilmente di una proiezione fuorviante”. Infatti, “la scala della penetrazione delle tecnologie green-tech in un’ottica di decarbonizzazione e digitalizzazione delle attività economiche non farà che aumentare la propensione “estrattivista” del capitalismo”.

“Abbiamo ormai imparato a capire il percorso che porta un chicco di caffè o una tavoletta di cioccolata sulle nostre tavole, a partire dal lavoro e dalla terra con cui sono prodotti (e per questo li scegliamo ad esempio dal Commercio Equo e Solidale), ma oggi una grande parte dei nostri consumi e della nostra spesa si svolge nella sfera elettronica del “ciber-spazio”, dove ogni giorno si svolgono altri tipi di transazioni economiche e consumi di risorse, accompagnati da diversi squilibri”.

Sì, perché il digitale e i prodotti tecnologici si reggono sui metalli rari, concentrati soprattutto in alcune aree di un pianeta fatto di risorse finite, ma soprattutto “sfinito da un modello di sviluppo che fatica a conciliare la promessa di benessere con gli equilibri demografici ed ecologici”. Per non parlare di quanto il digitale si regga sul lavoro di donne e uomini altrettanto sfruttati per estrarre, produrre, trasportare, consegnare, smaltire. Quello della gig economy, ad esempio, rappresenta uno dei fronti più conflittuali, essendo contraddistinto da elevati tassi di rapporti lavorativi irregolari – si parla addirittura di caporalato digitale – e dal predominio di un algoritmo nell’assegnare commesse o valutare il lavoro svolto. Parallelamente, per sottolineare le iniquità del digitale, vale la pena sottolineare come 2,9 miliardi di persone al mondo continuino a non avere accesso a internet o, riducendo la scala, come il 27% delle famiglie italiane non disponesse di sufficienti dispositivi (pc, stampanti, videocamere…) per proseguire con le attività lavorative o scolastiche durante il lockdown. Il tema delle disuguaglianze digitali, affrontato nel libro da Dario Pizzul, si rivela sempre più importante, legandosi a discorsi più ampi di disuguaglianze economiche, sociali e culturali più che evidenti come ha messo ben in luce la pandemia.

A partire da queste considerazioni, Ecologia digitale si interroga anche su come coniugare la sete di digitalizzazione con la problematica della crisi climatica da un lato e con la transizione ecologica dall’altro. La risposta non è affatto scontata se si considera che secondo Digital Europe la domanda di elettricità da parte del mondo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) aumenterà del 50% entro il 2030, rappresentando circa il 10% della domanda globale complessiva. “Per limitarlo non si può più contare su computer più efficienti” affermano Francesco Cara e Giuseppe Palazzo, enfatizzando il ruolo delle energie rinnovabili nel ridurre le emissioni climalteranti, il progresso dell’economica circolare e lo sviluppo dell’ecodesign per mutualizzare l’uso dei dispositivi ed estenderne il ciclo di vita. Tuttavia, com’è facile ipotizzare, i meccanismi di mercato non basteranno per innescare e regolare queste profonde trasformazioni. L’intervento politico, infatti, sarà fondamentale e, di certo, non privo di sfide. Questo, infatti, dovrà operare in un settore economico di grande rilevanza pubblica, ma di fatto controllato dai privati. Le multinazionali del tech, infatti, sono sempre più potenti e ricche, osserva Massimo Acanfora facendo riferimento al paesaggio economico contemporaneo sempre più plasmato dal capitalismo digitale: “le famigerate GAFAM, il minaccioso acronimo delle Big Tech, composto dalle iniziali di Google, Amazon, Facebook-Meta, Apple e Microsoft monopolizzano e dominano il mercato e la Borsa, eludono le tasse, ci profilano e conoscono i nostri gusti (e forse i nostri segreti), fanno circolare i nostri dati o li vendono, sono in grado di influenzare elezioni politiche e referendum (vedi gli scandali Cambridge Analytica o i Facebook papers), minacciano apertamente gli Stati di disconnettere i propri servizi in caso di provvedimenti a loro sfavorevoli”.

“la vera moneta ormai è l’esperienza umana nel suo complesso: lo dice senza mezzi termini la stessa Shoshana Zuboff nel suo ormai iconico “Il Capitalismo della sorveglianza” definendo il sistema digitale “un nuovo ordine economico che sfrutta l’esperienza umana come materia prima per pratiche commerciali segrete di estrazione, previsione e vendita (…); una mutazione pirata del capitalismo caratterizzata da concentrazioni di ricchezza, conoscenza e potere senza precedenti nella storia dell’umanità”.

L’economia immateriale, la cui moneta rappresentata dall’esperienza umana è sfruttata dalle Big Tech abilissime nell’evitare sistemi di regolamentazione e tassazione (a volte del tutto inesistenti) e ad abusare del loro potere di mercato per ostacolare realtà alternative e innovative, costituisce la nuova frontiera di azione strategica del diritto e della politica – tramite interventi dall’altro – ma anche di cittadini e consumatori, sempre più consapevoli dell’altra faccia del digitale. La sfida, sottolinea Acanfora, è tutt’altro che semplice. Il settore tecnologico, infatti, è quello che spende di più per le attività di lobbying nell’UE. L’introduzione del Digital Market Act, introdotto a dicembre 2021 dalla vicepresidentessa della Commissione UE e commissaria Antitrust Margrethe Vestager, rappresenta un primo passo per stabilire un set di regole che le grandi Big Tech dovranno rispettare, ma il percorso si profila piuttosto impervio.

Ma le autrici e gli autori di Ecologia Digitale – docenti, studiosi, attivisti/e, imprenditori ed esperti del settore, giornalisti – non si limitano a illustrare e spiegare gli aspetti problematici del digitale e della digitalizzazione. Al contrario, il team di Altraeconomia si spinge più in là proponendo nuove idee, possibili soluzioni, potenziali strade da percorrere e direzioni da prendere per un web più sociale, più sostenibile, più giusto. A partire dai dalla discussione sugli open data come bene comune, passando per l’associazionismo on-line o il climattivismo digitale che propone l’utilizzo di social media alternativi o ribelli, per giungere alle buone pratiche da diffondere in relazione alla riparazione e, soprattutto, all’educazione alla riparazione. Ecologia digitale spinge a porci domande su aspetti del digitale che continuiamo a ignorare nonostante una crisi sociale ed ecologica sempre più pervasiva. Domande che, dopo aver letto il saggio, sorgeranno spontanee a ogni invio di mail, scatto di fotografia e utilizzo di motori di ricerca portandoci a riflettere oggi sul futuro del digitale e sul tipo di società da .

“Insomma negli anni a venire dovremo lottare contro la nebbia – o confusione – che abbiamo intorno, continuando a condividere le nostre conoscenze e a trovare i giusti alleati per mettere in comune le energie necessarie per realizzare un ambiente digitale di alta qualità”.

Autrici e autori: Gerry McGovern, Carlo Gubitos, Francesco Cara, Giuseppe Palazzo, Alberto Prina Cerai, Alessandro Cillario, Stefano Onofri, Giacomo Venezia, Stefano Broadbent, Dario Pizzul, Stefano Trumpy, Tommaso Goisis, Stefania Paolazzi, Maurizio Napolitano, Giulia Monteleone, Matteo Spini, Nicola Bonotto, Savino Curci, Antonio Alessio Di Pinto, Gauthier Roussilhe, Massimo Acanfora, Duccio Facchini, Andrea Siccardo, Marianna Usuelli, Stefano Zoja

PhCredit: Altreconomia.it

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