Frédéric Pajak e il Manifesto incerto

«Sono bambino, avrò circa dieci anni. Sogno un libro, fatto di parole e immagini. Scene d’avventura, ricordi sparsi, aforismi, fantasmi, eroi dimenticati, alberi, la furia del mare.»

– FRÉDÉRIC PAJAK, Manifesto incerto. Con Walter Benjamin, sognatore sprofondato nel paesaggio

Nato in Francia nel 1955, Pajak ha avuto un’esistenza che affligge. Tirato su per un periodo in brefotrofio, poi cresciuto nel boom economico tra idee povere e falsi sentimenti, vissuto nell’agio. A sedici anni viene ammesso all’Accademia delle Belle Arti, ci resta solo un semestre perché oppresso dalla rigidità dell’ambiente. Per gli anni seguenti lavorerà col corpo, mai con il cervello come operaio, grafico, cuccettista sui treni notturni, inserviente in un macello industriale, conoscendo l’umiliazione, la povertà più disperata e una solitudine cui riesce a sfuggire soltanto grazie alla scrittura, alla poesia e al disegno. Oggi è scrittore, pittore, disegnatore ed editore (dirige la collana Cahiers dessinés – è una chicca credetemi!).

“Manifesto incerto. Ezra Pound chiuso in gabbia, la morte di Walter Benjamin” (luglio 2022)

I libri della serie Manifesto incerto, l’impresa letteraria di una vita, regalano al lettore esistenze, parole e immagini di grandi figure dell’arte e del pensiero del XIX e del XX secolo. Per il vincitore del Premio Strega 2021, Emanuele Trevi, questi libri rappresentano una delle imprese artistiche più originali e illuminanti del nostro tempo. Dal 2012 Pajak ha iniziato a pubblicare, al ritmo di un volume all’anno, questo work in progress, metaforicamente infinito e indefinito ma condensato in un corpo frammentato identificabile in nove tomi.

Questi stanno per essere tradotti in italiano da Nicolò Petruzzella e pubblicati da L’orma editore. Il terzo volume della serie (Ezra Pound chiuso in gabbia, la morte di Walter Benjamin) è stato pubblicato a luglio di quest’anno. L’opera intera è stata definita anche come un romanzo grafico che unisce scrittura e illustrazione attraverso i disegni a china, ma è davvero così ibrida da sfuggire forse a qualsiasi categoria letteraria e anche espressiva. Sicuramente non è né un’opera figurativa né astratta, piuttosto onirica attraverso i ricordi dell’autore, i suoi fantasmi, più vivi, più densi di quelli della realtà. I primi due volumi sono Con Walter Benjamin, sognatore sprofondato nel paesaggio e Sotto il cielo di Parigi con Nadja, André Breton, Walter Benjamin (le cover sono nell’immagine di copertina) ci anticipano già che la storia non è una cosa che si impara, ma un sentimento che la società intera deve provare se non vuole estinguersi.

«Adesso l’insoddisfazione ha cambiato volto, è uscita allo scoperto e ha avvinto la società intera. La si può indicare col dito, la si esibisce nella ribalta mediatica, e così anche noi diventiamo più inclini al compatimento, alla consolazione, alla sutura: e lei, di conseguenza, non ha ancora trovato le parole per esprimersi.»

– FRÉDÉRIC PAJAK, Manifesto incerto. Ezra Pound chiuso in gabbia, la morte di Walter Benjamin

Dal malessere di Walter Benjamin del primo volume alle molteplici identità di Fernando Pessoa passando per la follia di Vincent van Gogh, Pajak esprime tutte le sfumature della malinconia, senza dimenticarsi della propria.

«Quando ha incontrato Beckett per la prima volta, James Joyce, l’esule perenne, ha ribadito al giovane compatriota quanto segue: “Ci ha messo un po’, non lo nego, ma alla fine è tornato anche Ulisse…”.
E infatti Beckett non abbandonerà mai davvero la sua isola e la sua lingua. Si nutrirà delle parole di quel maestro, gesuita incorreggibile e impenitente, fino a quando non avrà trovato la propria voce, la propria risata e, soprattutto, di che far ridere. Diventerà il protestante comico, un precursore capace di trasformare la pasta molle di ogni conversazione in un dialogo al contempo divertente e disperato,
un dialogo realista e improbabile.
Beckett pare, nello sguardo di van Velde, di incontrare un fratello, “il primo a riconoscere che essere un artista significa fallire, come nessun altro osa fallire…”».

– FRÉDÉRIC PAJAK, Con Walter Benjamin, sognatore sprofondato nel paesaggio

Quest’opera ci suggerisce tante incertezze su cosa fare, sulle interpretazioni della storia da dare, sui libri e sulle riviste. In sottofondo c’è sempre una grande città come mostro antropofago di ieri e di oggi: Parigi, Berlino, Torino, con i suoi viali saturi di folla o completamente vuoti. Strade diritte o tortuose, campi cinti fino all’orizzonte, dove i protagonisti vagano tutti erranti, svestiti e indifesi, traditori di un vuoto desolante. La prospettiva di Pajak ci trasporta verso limiti che non siamo in grado di comprendere, inspiegabili, rivelando l’assenza o l’estinzione di qualsiasi residuo simbolico.

Prevale sicuramente una visione fatalistica, uno stato in cui l’azione del soggetto è irrilevante, in quanto è inghiottito da una miriade di tensioni e di causalità che tendono a ridurre a nulla l’ipotetico potere di determinazione dell’individuo. L’esistenza è sofferta, non si fonda in alcun modo su se stessa, sull’interiorità di ogni individuo ma solo sul caos.

Frédéric Pajak, Autoritratto

I volumi del Manifesto incerto sono stati tradotti in oltre dieci Paesi ottenendo prestigiosi riconoscimenti come il premio Médicis per il saggio 2014, il premio Goncourt per la biografia 2019 e il Gran Premio svizzero di letteratura 2021. L’immaginario caleidoscopico dell’autore franco-svizzerola è alla base di questo lavoro unico. C’è molto lasciato non illuminato in ciò che viene posto davanti ai nostri occhi e le illustrazioni di Pajak ci spingono verso questa direzione.

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