Rigenerazione K035 – L’errore e la memoria

Quando ho finito di leggere Rigenerazione K035 – romanzo breve di Sara Maria Serafini, pubblicato dalla casa editrice Divergenze nella collana (Ec)citazioni – un’immagine ben precisa ha occupato la mia mente. Si tratta di una fotografia scattata dal pluripremiato fotografo polacco Tomasz Gudzowaty e appartenente alla sua serie dedicata allo sport, Sport Features. 

Nella foto, scattata in Asia orientale, tre allievi di arti marziali praticano un esercizio di allenamento e il loro maestro ne osserva e giudica la sua corretta esecuzione. Queste discipline sono abitate da un’educazione che prevede rigore e un certo tipo di responsabilità. Soprattutto qui l’errore non è concepito

Questo principio di infallibilità è alla base della distopia creata dalla Serafini, in cui lo Stato, oltre a usare l’urbanizzazione come studio del comportamento, punta sul programma di rieducazione dell’individuo e della società: Agenda 2100. Affinché questo avvenga è istituito il Catasto Umano,  designato a registrare i successi e i fallimenti della correzione dei soggetti con devianza. L’ente, esattamente come il maestro della foto, controlla la presenza o meno dell’errore.

La protagonista della storia è Lia, una ragazza di trentacinque anni che si è macchiata di un omicidio senza movente, perciò non meditato e non prevedibile. Seguendo il protocollo la sua memoria viene cancellata. K035 è la sigla che designa la sua nuova identità e Amalia è il nome del suo alter ego. La ragazza è sottoposta a una serie di test in cui vengono inseriti nel suo cervello ricordi artificiali, creati ad hoc per lei. Le sue azioni e reazioni in questi nuovi contesti e il cambiamento del battito cardiaco fanno sì che il risultato esca positivo o negativo. Ma K035 fallisce sempre.

Come nella foto gli allievi sembrano uno la replica dell’altro, allo stesso modo Amalia ripete sé stessa e Lia (il primo nome contiene il secondo) all’interno delle simulazioni a cui è sottoposta.

Il romanzo, ambientato per lo più a Campara, paese della provincia, e Roma, segue le orme dei grandi classici del genere distopico. L’autrice riesce a destreggiarsi tra due tipi di voci: quella fredda, macchinosa e burocratica del Catasto Umano e quella calda di un narratore in terza persona che segue Ama(lia) e la sua umanità. La struttura del montaggio alternato accompagna il lettore fino all’ultima pagina.

Quello che rimane è: se i ricordi falliscono e siamo capaci di rifare gli stessi errori anche sotto un controllo matematico allora è vero, come dice Ivano Porpora nella postfazione, che siamo figli della violenza e di una memoria che ci rende deboli?

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