Pur essendo prodotto in Cina, TikTok in Madre Patria non ha la medesima diffusione e successo che nel resto del mondo, inoltre la sua versione “originale” chiamata Douyin presenta delle differenze sostanziali rispetto a quella che abbiamo imparato a conoscere e a volte contestare in occidente.
Sono anni ormai che TikTok è al centro delle discussioni politiche e non per via della tipologia di contenuti che vengono sviluppate al suo interno, per via delle sue policy, di come originariamente non proteggesse a sufficienza gli utenti più giovani da contenuti e contatti potenzialmente dannosi e persino pericolosi per la loro incolumità.
Più volte ByteDance si è trovata a dover pagare delle sanzioni e a dover modificare la struttura del proprio social per evitare il ban definitivo (recente quella su una serie di infrazioni ascrivibili alla mancata trasparenza dei metadati). Sia chiaro che non c’era da parte dell’azienda alcuna intenzione di mettere in pericolo gli utenti più giovani, ma semplicemente delle falle nel sistema di controllo che sono state sempre prontamente corrette una volta emerse con decisione.
Il perché il social è stato vietato in alcuni Paesi occidentali e orientali non è però da ricondursi a questioni di questo genere, il ban voluto dagli Stati Uniti ad esempio è legato a questioni meramente politiche di controllo e diffusione dei dati recuperati tramite i social. Non a caso Trump ha cercato in più occasioni di agevolare l’acquisizione della piattaforma da parte dei giganti tech locali al fine di preservare posti di lavoro e probabilmente tutelare anche la loro posizione dominante sul mercato.
Ma davvero TikTok è vietato in Cina? E se è davvero vietato per quale motivo? La questione emerge in seguito all’emersione sul web di una conferenza tenuta dal giornalista Matteo Gracis su questo tema.
In una conferenza divenuta virale in rete nei giorni scorsi, il direttore de L’Indipendente Matteo Gracis ha definito TikTok non un “Social per i balletti stupidi” come in molti ritengono, bensì addirittura un “Arma cognitiva sviluppata dal governo cinese con l’intento di fo***e il cervello delle nuove generazioni”.
Una posizione forte, sconveniente e che lui stesso è consapevole possa essere tacciata come mero “Complottismo”. Ma nel suo discorso Gracis inserisce delle informazioni e dei dati che servirebbero a dimostrare la sua posizione. Il dato più importante sarebbe il divieto di diffusione del social in Cina.
Ecco questo dato non è propriamente vero, poiché TikTok non è vietato da quelle parti, semplicemente ha un nome differente, ovvero Douyin. Le due versioni del social hanno gli stessi menu e la stessa struttura, ciò che differisce è la tipologia di contenuti che diventano virali e vengono suggeriti ai suoi utilizzatori.
@faty86lafenicearaba #faty86phoenix #fouryou #paratiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii #explore #viral ♬ suono originale – 🐦🔥🪶Faty86LaFeniceAraba🪶🪽
Va detto che l’esperienza in tal senso è molto differente da utente a utente, visto che in base a ciò che si cerca si trovano suggeriti contenuti differenti, esattamente come succede su ogni social. Ciò che sicuramente è vero – e lo utilizza come principale argomentazione per dimostrare la sua tesi lo stesso Gracis – è che nella versione cinese c’è un maggiore rigore nel controllo dei contenuti, motivo per cui si trovano più contenuti e video su argomenti edificanti ed educativi.
L’algoritmo di Douyin è pensato per penalizzare contenuti privi di senso, di cattivo gusto, futili, gli stessi che più volte sono finiti al centro delle critiche nelle analisi negative su TikTok qui da noi. Una differenza pianificata per rovinare le nuove generazioni occidentali come sostiene Gracis o semplicemente una differenza esclusivamente legata alla tipologia di mercato e alle libertà di cui si gode al di fuori dei confini cinesi dove un social educativo non avrebbe attecchito in alcun modo?
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