Hai mai visto un uomo che sembra aver perso tutto — e poi decide di ricominciare da un simbolo. Qualcosa di antico, profondo, che parla a chiunque abbia mai cercato un senso oltre la rabbia o la gloria. È un po’ quello che sembra voler raccontare Conor McGregor in queste ultime settimane.
L’ex campione dell’UFC è tornato sotto riflettori non per un calcio, un gancio o una provocazione. Un ritorno diverso, più intimo: con uno sguardo che cerca la croce — e qualcosa di molto più grande di sé.
Negli scorsi giorni, McGregor ha deciso di ridare vita al suo profilo social dopo un periodo di totale assenza. Dopo essersi allontanato da Instagram, è riaffiorato con un’immagine significativa: lui, in contemplazione, come in preghiera, rivolto a un simbolo religioso, ad una croce.
Questo gesto — l’uso della croce, la sacralità data al momento — suona come una dichiarazione d’intenti: non solo un ritorno mediatico, ma una ricerca interiore. Una voglia di mostrarsi vulnerabile, umano.
In tanti, osservando quella foto, hanno pensato che non fosse solo “fare scena”: era un uomo che diceva di volersi riscoprire diverso.
In un recente post — e in successive interviste — McGregor ha raccontato di essersi sottoposto a un percorso terapeutico a Tijuana, in Messico, presso la clinica Ambio Life Sciences, scegliendo una terapia con Ibogaine.
Secondo le sue parole, ha vissuto un’esperienza intensa, di quelle che “ti mostrano la morte” — con visioni, riflessioni profonde, una consapevolezza nuova su ciò che conta davvero.
“Ho visto la Santissima Trinità, Gesù, Maria, gli Arcangeli… Mi hanno mostrato la luce. Sono stato unto con una corona… Ho capito che ero salvato: la mia anima, il mio cuore, la mia mente — guariti.”
Parole forti, che sembrano arrivare da qualcuno che ha toccato il fondo — e che ora vuole ricostruirsi davvero.
Per lui, non una fase: una conversione, un ribaltamento interiore.
«Vivo secondo la Parola di Dio», ha dichiarato.
Dopo anni di infortuni, scandali e pause forzate, oggi McGregor non sembra cercare vittorie o denaro, ma un nuovo modo di esistere. Un tentativo di fare pace con i suoi demoni.
Non so tu, ma trovo potente che un uomo come lui — abituato ai flash, alle provocazioni, alle mani alzate sul ring — scelga di guardare altrove.
Verso qualcosa che non si misura in knock-out o follower, ma in silenzi, dolore, introspezione.
La sua immagine può sembrare uno show.
Ma se c’è verità dietro quel gesto, c’è anche un uomo che si mette in gioco davvero.
Forse ti lascia stupito. Forse ti fa storcere il naso.
O magari — chissà — risveglia dentro di te una domanda:
Che faresti tu, se prima di morire ti mostrassero tutto ciò che conta e tutto ciò che hai perso?
Per McGregor, non è una conclusione. È un punto di svolta.
E allora, forse, vale la pena domandarsi:
Cosa succede quando la croce smette di essere un simbolo — e diventa un faro?
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