Cosa sono le “Frodi carosello”

foto_di_lara_rongoniQuando parliamo di frode “carosello” ci riferiamo ad una particolare tipologia di reato fiscale (o reato tributario).

Per reato tributario intendiamo, in particolare, una violazione penale realizzata nel campo dei tributi, che produce, generalmente, l’effetto della cosiddetta evasione fiscale. Ogni volta che la legge prevede forme di evasione fiscale penalmente rilevanti avremo un reato tributario.

Il meccanismo, molto apprezzato in settori come le carni, i telefonini e le automobili (vedremo perché), è congeniato in modo tale da permettere ai truffaldini di turno di proporre sul mercato prodotti a prezzi particolarmente concorrenziali, grazie al fatto di eliminare quella componente aggiuntiva che, nel prezzo, è rappresentata dall’Iva, l’imposta sul valore aggiunto. Prima di andare a vedere il cuore del “carosello” per capirne le dinamiche, è bene domandarsi cosa sia esattamente l’Iva, protagonista suo malgrado delle frodi in discorso.

La funzione dell’Iva è quella di tassare, si può dire, il consumo dei beni. Per questa ragione, in occasione di  un acquisto troviamo esposta la dicitura “iva inclusa” o “prezzo + iva”. L’imposta sul valore aggiunto, infatti, grava sul consumatore finale, mentre nei passaggi intermedi, ad esempio tra il produttore ed il distributore o il distributore ed il commerciante, il “peso” dell’imposta è neutralizzato, perché ad ogni passaggio, chi vende la addebita e chi acquista la detrae, ossia la paga e poi la scomputa dall’ammontare di imposte da pagare.

Questa la regola, che come tutte, ha le sue eccezioni. La più significativa e la più sfruttata dai truffatori di professione, in particolare, è quella relativa ai c.d. scambi intracomunitari, vale a dire le vendite (e gli acquisti) effettuate tra paesi dell’Unione Europea. In casi simili, dal momento che non esiste un’Iva “identica” in tutti gli Stati, la disciplina dell’imposta è stata studiata per non ostacolare il mercato e secondo una direttiva della Comunità Europea del 1977 (la n. 388), gli scambi avvengono, normalmente, in regime di “sospensione Iva“, cioè senza applicazione dell’imposta. In Italia, la Direttiva è stata recepita con il d.l. 331 del 1993, che pur intitolandosi “regime transitorio” per gli scambi comunitari, in realtà è, ad oggi, ancora in vigore.

Conseguenza immediata della normativa in esame è, dunque, che qualunque vendita e acquisto realizzati con un Paese UE saranno documentati da una fattura nella quale figurerà solo il prezzo del bene scambiato. Proprio questo “tassello” è stato sfruttato dagli ideatori dei caroselli per i propri intenti truffaldini. Vediamo come.

Esemplificando: se A, soggetto commerciale appartenente ad un Paese UE, vende a B, ad es. grossista italiano, un prodotto al prezzo di 100 (come detto senza imposta), il prezzo di vendita che A incassa sarà pari a 100; allo stesso modo, B registrerà il proprio acquisto specificando la dicitura “non imponibile”. A quel punto B, per vendere il bene sul mercato nazionale, ricaricherà sul prezzo un margine di guadagno ed applicherà all’acquirente l’imposta. L’acquirente a sua volta corrisponderà la cifra dovuta a B dopo l’addebito dell’Iva nel prezzo di acquisto, procedendo a registrare nella propria contabilità l’imposta pagata sotto forma di “detrazione”, ovvero di imposta da scomputare dal totale delle imposte dovute (in effetti l’Iva su quell’acquisto è stata pagata direttamente al momento del pagamento del prezzo del bene).

Il sistema della detrazione di imposta in acquisto e della “rivalsa” di imposta sul prezzo di vendita continua, perciò, fino a che il prodotto non si trova sullo scaffale del negozio in cui andiamo a comprarlo. Nel nostro esempio, B potrà vendere al commerciante C il bene ad un prezzo (chiamato anche imponibile) di 120 + Iva (ipotizzando un’imposta del 20% B incasserà 144), e infine C, negoziante, dopo aver pagato 144, proporrà sul mercato il bene al prezzo finale, ad esempio, di 180 + Iva.

Il meccanismo di funzionamento dell’Iva appena descritto viene utilizzato, nelle frodi carosello, per “scomporreil prezzo del bene dal primo all’ultimo passaggio della catena, così da eliminare, in sostanza, l’aggiunta dell’Iva sul costo finale che ci si trova a pagare.

Vediamo, quindi, perché, come abbiamo anticipato, i settori preferiti sono quelli dei prodotti elettronici di consumo (come i cellulari), il commercio delle carni e il mercato delle auto. La ragione è effettivamente economica, poiché queste categorie di prodotti permettono vendite in grandi volumi (alta richiesta) con margini di guadagno abbastanza sottili, ragione per la quale risulta ancora più vantaggioso proporli sul mercato a prezzi “molto concorrenziali”.

Si può dire che il nucleo della frode sta nel fatto che solitamente le merci non si muovono realmente ma solo “sulla carta”: una prima società vende (fittiziamente) ad una seconda che ha il compito vero e proprio di innescare il carosello. Infatti questa società, detta cartiera perché produce vendite solo cartacee, generalmente non esiste, possiede solo una partita Iva ma è priva di una sede, e il suo rappresentante legale è un soggetto pagato per farsi intestare i recapiti societari (cosiddetto testa di legno).

La cartiera, ricevuto il bene dal  primo soggetto (che spesso è l’ideatore della frode), lo cede ad un altro acquirente che formalmente ha tutte le carte in regola per essere inquadrato come soggetto commerciale esistente e regolare. Il suo nome in gergo è società filtro dal momento che la sua funzione è proprio quella di interporsi tra la cartiera e l’ultimo anello della ipotetica catena al quale spetterà il compito di immettere sul mercato il prodotto “scontato”. Lo scopo della società filtro è essenzialmente quello di dare un’apparenza ancora più regolare alle cessioni dei beni, e come più volte accaduto nella realtà, possono trovarsi ad essere soggetti filtro anche società completamente inconsapevoli della frode, che semplicemente avevano acquistato una partita di prodotti da un fornitore che li proponeva ad un prezzo concorrenziale, per poi rivenderla a condizioni sensibilmente più vantaggiose rispetto al prezzo normalmente praticato.

Dopo il passaggio che coinvolge la società filtro, la merce viene ceduta al c.d. beneficiario finale, ossia l’ultimo dei rivenditori “professionali” che poi proporrà i prodotti  ai clienti privati – consumatori finali.

Resta da vedere che cosa accada ad ogni passaggio per far sì che venga evasa l’imposta e in che modo si ottenga il risultato fraudolento che gli ideatori si propongono con questo genere di meccanismo.

Ebbene, mentre nell’esempio fatto sopra, B, dopo aver comprato da A ad un costo di 100 senza Iva, rivendeva a C aumentando il prezzo (come normalmente avviene secondo una logica economica di guadagno), nei caroselli fraudolenti l’imponibile viene al contrario abbassato. Dunque, se A (soggetto comunitario) vende a B a 100 (in regime di non imponibilità), la stessa B, come ipotetica cartiera, non avendo interesse a guadagnare ma solo a contribuire all’abbassamento del prezzo finale eliminando l’imposta, venderà a C ad un imponibile inferiore, per un totale comprensivo di imposta di poco superiore al prezzo di acquisto (es. acquista a 100 e rivende a 102 scomponendo il prezzo in 85 di imponibile e 17 di Iva). Nel passaggio successivo, l’eventuale “filtro”, acquistando a 102 rivenderà, normalmente, ad un prezzo di poco superiore, potendo benissimo egli, come visto, essere un soggetto inconsapevole e dunque inserito in una logica di profitto (nell’esempio, acquista a 102 e rivende a 108, imponibile 90 e 18 di Iva). Giunto all’ultimo passaggio, il bene, pertanto, arriverà ad un prezzo di molto inferiore rispetto alle normali condizioni di mercato, che, secondo quanto abbiamo visto del meccanismo di funzionamento dell’Iva, avrebbero comportato una cifra che, ricaricata del guadagno di ogni soggetto coinvolto, era pari a 180 nell’esempio sopra fatto. Dunque, un prezzo finale di 108 dell’ipotetica frode a fronte di quasi 200 con i passaggi “regolari”.

carosello

Una bella convenienza, a cui vanno aggiunte due precisazioni.

In primo luogo, va considerato che, spesso, i beni non transitano realmente tra tutti i soggetti coinvolti, bensì soltanto tra i due che normalmente gestiscono le fila della frode, ossia il venditore non italiano posto “all’inizio”, nonché l’ultimo anello della catena, colui che propone il prodotto al mercato dei consumatori.

In questo modo, tutte le fatture che documentano le vendite intermedie risulteranno, tecnicamente, “false”, per inesistenza dell’operazione. Nel caso in cui le società intermedie risultino essere società di comodo, come accade nella maggior parte dei casi, si parlerà di inesistenza soggettiva, mentre nell’ipotesi in cui la stessa merce non transiti mai in alcun magazzino ma vada direttamente dal primo all’ultimo soggetto coinvolto nella catena truffaldina, allora l’inesistenza sarà oggettiva, dal momento che si avranno fatture attestanti operazioni mai avvenute nella realtà.

Secondariamente, la portata offensiva di meccanismi di questo tipo va ravvisata nel fatto che ogni componente di Iva documentata nei passaggi che vanno dalla seconda società (la cartiera) all’ultima, rappresentano somme che chi vende incassa col prezzo del bene ceduto ma che poi, generalmente, non versa alle casse dell’Erario, con l’effetto di incamerare ingenti quantità di denaro, per poi scomparire, facendo fallire la società o semplicemente cessando ogni attività senza lasciare traccia.

Nell’esempio fatto, B incassa 17 di Iva e non la versa, così come, generalmente, farà C con i 18 a sua volta riscossi.

La denominazione “carosello” deriva anche da un altro fattore: spesso l’ultimo soggetto non immette il prodotto sul mercato ma “fa ripartire il giro”, vendendo la merce…al primo venditore UE, con altrettanti passaggi “cartolari” di operazioni fittizie e altrettanta imposta incamerata. Ancora: in casi simili, chiamati anche caroselli “chiusi”, il venditore “finale” (D nel nostro esempio) si troverà anche ad avere un credito Iva verso lo Stato. Infatti, acquistando da un lato “subendo” la rivalsa Iva del suo fornitore (C) che aveva incorporato l’imposta nel prezzo, egli vende, dall’altro, ad un soggetto al quale, come ripetiamo, non può applicare la rivalsa di imposta, pertanto avrà pagato in sede di acquisto un’imposta della quale non può rivalersi al momento della vendita. Dunque, dovrà presentare istanza di rimborso al fisco il quale oltre al danno, patirà anche la beffa.

Meccanismi di questo genere sono puniti, in Italia, dal decreto legislativo 74/2000 dedicato ai reati tributari (in particolare viene punita l’emissione di fatture per operazioni inesistenti), mentre, a livello comunitario, oltre alle istituzioni coinvolte nella lotta alle frodi fiscali come l’OLAF, sono le pronunce della Corte di Giustizia di Lussemburgo a venire in soccorso alla legislazione europea non ancora del tutto armonizzata in materia Iva.

In una sentenza considerata cardine, la Corte (cause C-439 e 440/04) ha stabilito che il vero discrimine per poter considerare coinvolti in una frode carosello comunitaria determinati operatori commerciali è la consapevolezza o meno dei singoli soggetti di far parte del circuito criminoso. Pronuncia importante soprattutto per quei casi nei quali spesso, operatori economici ignari di acquistare una partita di merce (effettivamente movimentata) ad un prezzo ritenuto competitivo, si inseriscono a propria insaputa in un carosello ideato da altri per l’abbattimento dell’Iva, operazione che in gergo viene definita anche “lavaggio di imposta” (c.d. Vat proceeds laundering).

Al proliferare di questo tipo di illeciti è conseguito, nel nostro Paese, un progressivo inasprimento della disciplina sanzionatoria penale, così come a livello europeo sono stati implementati gli strumenti di sorveglianza e prevenzione, come l’ampliamento strategico dei poteri del VIES (Vat Information Exchange System), un network di informazioni in grado di fornire alle autorità il maggior numero di dettagli possibili sull’operatività di partite Iva considerate “sospette”.

Se si pensa che già nel 2006 l’evasione Iva complessiva, rappresentata in gran parte da frodi, era stimata dalla Commissione Europea in circa 200 miliardi di Euro, è facile immaginare l’importanza che assume la repressione di fenomeni che anche nel nostro Paese salgono alla ribalta delle cronache con costante frequenza e che, nel quadro dell’evasione fiscale, costituiscono senza dubbio una delle pratiche più dannose.

Tommaso Sabbatini

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