Vita, morte e altre cose poco serie. Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna

«Se mi buttassi da qui secondo te morirei?» ho chiesto a mia madre mentre stavamo attraversando un ponte di pietra, sospeso sopra a un torrente dalle acque color menta.
«Sei impazzita? Perché pensi a queste cose?»
«Curiosità.»
«E di qui invece? Siamo abbastanza in alto, laggiù ci sono rocce appuntite…»

Così è andata, riassumendo, l’escursione in montagna che abbiamo fatto mia madre e io domenica. Così va, riassumendo, la mia vita da quando ho iniziato a leggere Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna.

Sì, perché mi piacerebbe aiutarli, quei poveri disperati, vorrei trovare per loro il posto perfetto da cui buttarsi. Dalle mie parti c’è il ponte di Loreto. Adesso l’hanno barricato con delle reti metalliche perché ci andavano in troppi a suicidarsi, ma se si scavalca la recinzione il gioco è fatto. Mi immagino già le obiezioni dei Morituri Anonimi: «E se cado mentre cerco di oltrepassare la rete? Oppure mi fulmino perché l’hanno elettrificata?»
«Fai prima.»

Questa è l’aria che tira, tra le pagine del libro. Quasi trecento, e nemmeno una in cui non si parli della morte. Eppure, la storia tutto è tranne che angosciante, per il principio su cui la risata si fonda da sempre, ovvero che il comico è il tragico al contrario.

I membri dell’associazione Morituri Anonimi sono stanchi di vivere una vita che non fa altro che prendersi gioco di loro. Per questo hanno deciso di andare a Capo Nord e farla finita in maniera piuttosto decorosa buttandosi tutti e trentatré, a bordo della Saetta della Morte, nel Mar Glaciale Artico.

La storia è assurda, ma profondamente reale.

Un viaggio dell’eroe – o meglio, degli eroi – attraverso l’Europa e il senso della vita, che ne sembra priva.

Comodamente seduti sui lussuosi sedili della Saetta, guardando il paesaggio cambiare oltre al finestrino, i Morituri Anonimi si accorgono che i buoni motivi che avevano per suicidarsi non reggono più in confronto alla spiazzante banalità della vita. Sì, perché vivere è la cosa più scontata che ci sia, non servono doti particolari e nemmeno rispettare certi standard. Spaventa più della morte, eppure, come lascia intendere Paasilinna, nessuna delle due cose è poi così seria.

Così, un libro che non parla d’altro che di suicidio, è diventato invece un inno alla voglia di vivere, nascosta anche nei più radicali, quelli che hanno già scritto il loro epitaffio.

Come la Saetta di Korpela, il libro scorre veloce in un susseguirsi di peripezie, tentativi di suicidio mancati, avvicinamenti e anche qualche innamoramento. Tutto si muove continuamente, dentro e fuori dei personaggi. Un’avventura straordinaria che dalla Finlandia, la patria dei suicidi, ci porta fino alla punta più estrema del Portogallo e che, dalla morte, ci riporta in vita.

Centrale, e salvifico, diventa il rapporto con gli altri, i legami che si stringono in viaggio e che riportano la speranza a chi l’aveva perduta da tempo.

In qualità di ex guardaboschi e, si presume, di grande amante della natura, di quest’ultima Paasilinna ha fatto un elemento chiave dei suoi romanzi. Qui, ha la funzione di riportare alla semplicità: più ci si addentra nei boschi e nei paesaggi nordici, più i Morituri si liberano dalle convenzioni e dalle aspettative sociali.

Arto Paasilinna ha la straordinaria capacità di inventare personaggi iconici e stravaganti – ma dai nomi impossibili da pronunciare per i non finlandesi. Ognuno di loro meriterebbe un approfondimento maggiore, invece li vediamo solo velocemente, di passaggio, e forse, poiché ne intuiamo le grandi potenzialità, ne sentiamo la mancanza.

Nei loro confronti, il narratore non mostra compassione e nemmeno vicinanza; c’è, al contrario, una normalizzazione del dolore operata anche attraverso il linguaggio, sempre uguale per raccontare gioie e dolori. In fondo, è così che va la vita: a volte è a nostro favore, altre contro, ma sempre in movimento.

I Morituri Anonimi sono soli nel loro dolore. Basta poco per uscire da questa situazione: altre trentadue persone con cui confidarsi e stringere legami veri. Eppure, l’associazione è ritenuta sovversiva e pericolosa dalle forze dell’ordine.

In questo, risiede una profonda critica alla società finlandese. Il 1990, anno della prima edizione di Piccoli suicidi tra amici (in Italia arriva nel 2006, tradotto e pubblicato da Iperborea), è stato anche l’anno in cui la Finlandia ha registrato il maggior numero di suicidi. Possiamo leggere l’intero libro come la satira pungente ad una società che non sa aiutare i suoi membri ad uscire dalla profonda apatia che li abita. Paasilinna lo dichiara apertamente, nell’incipit del libro: «Il più formidabile nemico dei finlandesi è la malinconia, l’introversione, una sconfinata apatia. […] Il peso dell’afflizione è tale da indurre parecchi finlandesi a vedere nella morte l’unico sollievo.»

Indubbiamente, l’idea di Paasilinna è geniale. Sviluppata in maniera più avvincente nella prima parte del romanzo, sembra perdere un po’ della sua forza nella seconda, in cui il viaggio procede alternato alla storia – quasi sempre straziante – dei suicidi. Forse, più che di forza, sarebbe però corretto parlare di cambio di ritmo e di intenzioni. Infatti, quando i Morituri si mettono in marcia verso l’altrove, la domanda che il lettore si pone è un’altra. Non ci si chiede più come moriranno – perché è scontato che non accadrà – ma come faranno a vivere.

Arto Paasilinna è il maestro dell’umorismo nordico, uno che è riuscito a far ridere un popolo di donne e uomini forti, abituati a nuotare nelle acque gelide del mare dopo aver fatto una sauna incandescente. È stato capace, con Piccoli suicidi tra amici, di ridestare la Finlandia dall’apatia. Per questo, e per la brillantezza dei suoi intenti e la buona riuscita nella pratica, vale la pena di leggerlo!

Alice Dalle Grave

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