Tributi alla terra

L’indomito spirito umano di Jane Goodall

Qualche tempo fa ero a Roma e, mentre passeggiavo per i giardini intorno a Villa Borghese, mi sono lasciata attrarre dai cartelli che segnalavano il Bioparco poco distante, e ho deciso di farci un salto. Tra gli animali esotici che ho visto quasi immediatamente c’erano due giraffe altissime, con la loro espressione buffa, e quell’indolenza tipica degli esseri molto alti.

Poi sono arrivata alla gabbia vetrata dei mandrilli, le scimmie con le barbe colorate e gli occhi saggi, che vagolavano annoiati, raccoglievano cose da terra, e poi le ributtavano dov’erano. Uno di loro mi si è avvicinato verso di me – non mi era chiaro se mi vedesse o meno – e si è seduto su un gradino, appoggiandosi al vetro; c’era solo quello a separarci. La sua peluria sulla schiena appiattita contro il plexiglass trasparente. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, e – la cosa che mi spezzò definitivamente il cuore – una mano appoggiata al gradino, per bilanciarsi, e una sul suo ginocchio. Sembrava un piccolissimo signore anziano, seduto pensoso su una panchina; le sue unghie perfette completavano quella mano così umana, appoggiata al ginocchio nodoso.

Sono settimane che penso a quel mandrillo, chiedendomi cosa stesse pensando, se i sentimenti malinconici che gli ho attribuito lo stessero davvero attraversando in qualche modo, o se si fosse solo seduto su un gradino a farsi gli affari suoi, mentre digeriva una lauta colazione.

Tutti questi pensieri mi si sono affacciati ancora di più quando ho avuto tra le mani Il libro della speranza – Manuale di sopravvivenza per un pianeta in pericolo (Bompiani, 2022), una rielaborazione di interviste fatte da Douglas Abrams a Jane Goodall.

Douglas Abrams si è occupato, tra l’altro, anche di conversazioni con il Dalai Lama e Desmond Tutu ne Il libro della gioia (Garzanti, 2016), e con Stephen Hawking, nel suo ultimo libro Le mie risposte alle grandi domande (Rizzoli, 2018).

E Jane Goodall non è una persona comune: la sua esperienza è travolgente e i suoi ragionamenti non sono quelli di una normale signora di ottantotto anni, una semplice, adorabile nonnina. 

Jane Goodall è una pioniera, un’etologa e un’antropologa, una scrittrice, un’oratrice, una grandissima ispirazione per generazioni di scienziati, studiosi e letterati. Un’icona, come lo è Rachel Carson.

Senza alcuno studio pregresso, se non la sua profonda sensibilità, dimostrò che gli scimpanzè che stava studiando in Tanzania – anche come ci era arrivata lì è una grande storia, ma non ve la racconto – erano capaci di emozioni complesse, personalità, pensieri. 

E dopo gli studi, il suo attivismo in prima linea per salvare gli scimpanzè dai laboratori in cui erano rinchiusi la lotta contro i bracconieri, contro l’inquinamento, contro il disboscamento, la creazione di fondazioni e luoghi di salvezza per gli animali, tutto questo ha contribuito a renderla una figura di riferimento per gli ambientalisti di tutto il mondo.

La sua competenza, la sua forza, emergono come un abbraccio da questa lungo conversazione tra lei e Douglas Adams. Insieme ripercorrono la sua vita fin dai primi istanti, per poi raccontare il vero cuore di questo libro: cosa significa sperare. 

Jane Goodall durante una conferenza alla Mizzou Arena nel 2014 © Mark Schierbecker 

La speranza, così spesso scambiata per inutile e fastidioso ottimismo a tutti i costi, è per Goodall la più grande fonte di ispirazione. 
Nella speranza c’è fiducia negli altri esseri umani, c’è la possibilità di lottare perché le cose cambino nella direzione che desideriamo, e per lei c’è ancora motivo per sperare nel salvezza del nostro pianeta. 

Non è un sentimento compiaciuto quello di Goodall,quello di una signora arrivata agli ultimi atti della sua esistenza che invita gli altri a essere speranzosi. Ma racchiude espressione di grazia e coraggio.

Il libro viene suddiviso in quattro sezioni, i quattro motivi per continuare a sperare, per insegnare a sperare a chi quella speranza l’ha ormai persa.

Non racconta solo coltivarla intimamente, ma invita all’azione, l’unica vera arma della speranza. Invita a essere grati alla natura, al nostro intelletto umano, ai grandi progetti ecologici. Goodall spinge all’attivismo, al coinvolgimento sociale e civile degli esseri umani, al non piegarsi al semplice scorrere del tempo. A tutti chiede di sostenere i giovani, di incoraggiare le loro lotte contro il cambiamento climatico e l’ingiustizia sociale e ambientale. 
Solo così, dice, la speranza non può morire.

“Per il bene dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nel mondo naturale: gli animali, le piante, gli alberi”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.