Un’epica italiana. Di macchia e di morte di Filippo Cerri

Lo abbiamo visto nelle retrospettive, nelle mostre, nelle rassegne a tema, e negli articoli del nostro Davide Cerreja Fus: il western in America non è soltanto un genere, ma un immaginario condiviso, un’epica in cui riconoscersi, senza dei o mediazioni ultraterrene, persino un linguaggio. Possiamo discutere sulle conseguenze di mitizzare un certo mondo, sul ruolo degli indiani nei vari film e la retorica americana mai così smaccata, certo. Ma se John Wayne è ancora presente tra i nostri riferimenti più immediati, le ragioni dell’opportunità lasciano spazio a un tipo di narrazione popolare e alta allo stesso tempo, con cui siamo ancora alle prese.

E l’Italia? La critica unanime ci dice che la parte più feconda, più ricca del Bel Paese sta nel genere, nell’utilizzo di uno schema comune da riattualizzare, modificare, tirare a lucido o sporcare per creare saghe, protagonisti indimenticabili, opere da leggere tutto d’un fiato.

Ma un’epica italiana, degna dei romanzi e dei fumetti western che importavamo e importiamo da oltreoceano, è ben lontana dal nascere, malgrado la speranza di quel New Italian Epic profetizzato dai Wu Ming. Seguiamo i protagonisti dei romanzi nello scavo interiore, nei dubbi su ciò che fanno che spesso superano l’azione stessa, nella psicologia dei rapporti. Uomini soli, come quelli dei Pooh, con cui possiamo empatizzare ma che non arrivano a creare quelle gesta comuni e insieme leggendarie in cui si unisce un popolo, che sia una nazione o semplicemente persone che hanno qualcosa in comune. Insomma, siamo ancora lontani dall’epica.

Ecco perché Di macchia e di morte. Ballata degli ultimi briganti di Filippo Cerri per effequ è stata una sorpresa incredibile, una ventata di stupore nel nostro panorama letterario. Cerri riprende un patrimonio di storie orali tutto italiano come il brigantaggio e lo trasforma in un’opera prorompente, vitale, sfacciata, di una coerenza testuale tale che è difficile immaginarla fuori da un filone, ma tant’è.

L’operazione di Cerri parte dalla lingua, che descrive un mondo dove la politica e la nobiltà sono presenti quanto lontani dalle cose di tutti i giorni, da una maremma ostile come quella di Tozzi e Pardini ma che brulica di una giustizia interna, non giusta ma neanche così crudele come si può immaginare: la giustizia dei briganti e del sangue. In un mondo del genere, dove il brigante “ha qualcosa del ladrone e qualcosa del Cristo”, Cerri si può permettere il “sole vigliacco e spione”, “un pugno di casa, lanciate là come si farebbe con un residuo d’ossi”, un lessico originale e proteiforme che non sconfina mai nella retorica ma si appiccica alle vicende dei personaggi come non potesse essere altrimenti.

“Una terra ti entra dentro anche quando l’hai odiata tanto.”

Di macchia e di morte, lo dice il sottotitolo, è una ballata, che secondo il dizionario è un’opera popolare dove alle strofe si alterna un semplice ritornello. Perché poi Bianciardi, il brigante semplice che è più il collante che il protagonista del romanzo, è praticamente questo: ciò che unisce tempi e luoghi nel racconto con i suoi occhi, i dubbi su una vita diversa, l’ingenuità persa per sempre come tanto altro. Nel suo mondo si alternano capi briganti leggendari come il Re della Selva o Manfredi detto il Tribunale di grazia e giustizia o il Vampa, leggi non scritte che valgono molto più di quelle ufficiali, storie su storie di contadini che emendano e corroborano la realtà dei fatti, fino a diventare cosa sola. Una realtà dove il potere è assente ed è sempre sopruso, richiesta dall’alto, e i briganti ne rappresentano uno specchio apparentemente più violento, talvolta più umano, sicuramente più vicino al mondo che proteggono e tengono in ostaggio allo stesso tempo.


E, lo dico sottovoce, Di macchia e di morte è un libro divertente, che ti tiene incollato a personaggi che si innalzano a icone e finiscono nella polvere in un giro di pagine, alle fughe spettacolari con i proiettili che fischiano ovunque, a una storia che sembra letta attorno a un fuoco, quando il cielo diventa buio e passare la notte assomiglia a salvarsi la vita.

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