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Non un romanzo come tanti

Quando ho girato l’ultima pagina di Una vita come tante di Hanya Yanagihara (Sellerio Editore, 2016), ho pianto come fossi tornata bambina. Come se qualcuno a otto anni mi avesse presa in disparte per comunicarmi che non avrei più visto il gatto giocare fra le piante nel nostro giardino.

Questo non è un libro come tanti. Non è il libro che si sceglie per essere rassicurati, non è il libro leggero e spensierato che ti aspetta prima di andare a dormire sul comodino, o quello di cui dimentichi la trama passando subito al successivo.
Una vita come tante è un’esperienza di vita di cui porti sempre con te i dettagli: un volto, un odore, un sapore, un colore. È un romanzo che può spaventare, che ti guarda dall’alto delle sue 1094 pagine. Ma farsi intimorire sarebbe un peccato mortale, perché dalle prime righe capirai che, dopo aver conosciuto Jude, Willem, Malcolm e JB, niente nelle tue giornate sarà più come prima e che quelle mille pagine non basteranno a darti ciò di cui hai bisogno.

La scrittura di questo romanzo è così fluida che scivola in modo inevitabile nella storia dei protagonisti e, come un mulinello, porta tutti i personaggi e il lettore verso il cuore pulsante di ogni cosa: Jude. Il lettore diventa così un osservatore silenzioso, un amico silenzioso. Entra nella mente dei personaggi, ne studia i comportamenti, ne comprende il carattere, ne giustifica i difetti, li ama per ciò che sono. Prima ragazzi e poi uomini alle prese con la paura del passato e con l’ansia del futuro, con le incoerenze della società, con le difficoltà di vivere in un mondo che, agli occhi di qualcuno, non permette la redenzione. Il lettore impara presto, a sue spese, a capire che a ogni gesto è associata una cicatrice e che dietro ogni cicatrice si nasconde un dolore talmente radicato da essere innominabile, talmente grande da essere diventato invalidante.

Le scene drammatiche sono distribuite lungo tutto il romanzo, sono crude e spietate come sa esserlo solo la vita in alcune occasioni, ma al tempo stesso, le conseguenze di tali scene vengono affrontate con una delicatezza che le rende vive, reali, toccanti, inevitabili, e che ne potenzia al massimo l’intensità. Staccarsi da quelle scene equivale a lasciare soli i personaggi, ad abbandonarli al loro destino. Per questo è così difficile interrompere la lettura nonostante il carico emotivo che si porta dietro, per questo è impossibile pensare di rimanere immuni al fascino della prosa di Hanya Yanagihara. Così semplice, chiara e ipnotica, sincera fino alle lacrime.

Leggendo Una vita come tante viene naturale porsi delle domande. Le stesse che si fa Jude e alle quali non riesce mai a trovare una risposta, preso com’è a scappare dalle iene del passato e del presente che vogliono cibarsi della sua carcassa (perché è così che Jude si considera, niente più che una carcassa).
Quanto intensamente si può amare qualcuno? E quanto intensamente si può odiare se stessi per ciò che altri hanno deciso di farci diventare? Esiste davvero l’amore senza condizioni? E se esiste, chi stabilisce chi ne è degno e chi no? E perché, se ci capita continuiamo a pensare che sia un errore, che qualcuno abbia premuto la leva sbagliata, mandando a noi ciò che era indirizzato a qualcun altro?

Per alcuni c’è tanto, troppo dolore in questo romanzo, troppo male per essere affrontato da una sola persona. Ma la verità è che tutto questo dolore offre l’opportunità di mostrare anche l’esatto opposto. Per ogni individuo che ha perso la propria umanità, può essercene uno che ci fa credere che quell’umanità esista ancora e che non dobbiamo per forza smettere di cercarla.

Non c’è sollievo in Una vita come tante, non c’è conforto tra le sue pagine, e non è per quello che vi consiglio di leggerlo, quanto più per la tenerezza e l’amore che unisce i personaggi, ma soprattutto per la sensazione che avvertirete quando lo avrete finito, ovvero quella di avere afferrato solo per uno sfuggevole istante il senso della vita e del suo scorrere inevitabile. È una sensazione che vi renderà liberi e che vi farà pensare “Jude, non sei mai stato solo. Io non sono solo.”
Una vita come tante, in fin dei conti, è una grande e straziante lettera d’amore indirizzata a una persona che, nella sua vita, l’amore non ha mai pensato di meritarlo. Ed è per questo che, alla fine, ho pianto come una bambina.

Elena Scipione

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