Il falso diventa reale. Niente di vero di Veronica Raimo

A Verika piace disegnare.

È questa l’esaustiva introduzione di Niente di vero, edito da Einaudi e vincitrice del Premio Strega Giovani 2022, che precede il volto di Veronica Raimo nelle narrazioni della madre. Una formula semplice, efficace, cucita addosso a una bambina che, nonostante la vita che ci si è messa di mezzo, negli occhi degli altri è rimasta ancorata a un ricordo fallace.

Fallace sì, perché a Verika, o Veronica, o Oca, disegnare non è mai piaciuto. O meglio, probabilmente c’è stato un momento in cui le cose sembravano andare in quella direzione, lo confermano le due tele che la madre tiene fieramente incorniciate in corridoio, ma il fatto che quelle tele non siano opera di Verika, ma frutto di un furto e di una messinscena egregiamente architettata da una bambina di otto anni, rendono difficile trovare in esse la purezza dell’atto creativo.

Veronica Raimo
Veronica Raimo

L’inghippo del ricordo fallace sta nel fatto che quella che è nata come una marachella al limite dell’innocenza, e che un genitore accorto avrebbe prontamente scoperto per poi rimproverare la figlia e magari interrogarsi su cosa avesse portato la bambina a compiere tale gesto, si è trasformata in realtà. Mamma Francesca, donna iper-apprensiva, innamorata dei suoi figli, dei suoi gioielli che ai suoi occhi brillano al punto da accecarla (uno più dell’altra, ma questi sono dettagli) non è in grado di vedere l’incoerenza dei fatti. E così il falso è diventato reale, ha preso vita nelle narrazioni delle gesta familiari, sulle labbra dei parenti, sulla parete del corridoio.

Tutti hanno finito per crederci, anche Veronica stessa che, talmente abituata a inquinare il raziocinio della stanza e delle regole, a immaginare cose finte, a dirle, a provocarle, fino a crederci, è arrivata a scriverle, a metterle nero su bianco. Forse per fare chiarezza, per cercare di raccapezzarsi tra i fatti che il mondo lo hanno abitato e quelli che invece sono al pari di icona sacra. O forse solo perché una cosa per essere reale deve essere tangibile, e un libro è un buon compromesso tra i fatti, i ricordi che se ne hanno e i racconti che se ne offrono.

Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quella famiglia è finita, si dice.

In Realtà la famiglia se la caverà alla grande, come è sempre stato dall’alba dei tempi, mentre sarà lo scrittore a fare una brutta fine nel tentativo disperato di uccidere madri, padri e fratelli, per poi ritrovarseli inesorabilmente vivi.

E Veronica Raimo, consapevole di quanto sia vano tentare di uccidere la propria famiglia, la racconta senza flirti, con un’ironia straziante, un lessico affilato e un ritmo magistrale.

Dal momento in cui apriamo il suo giovane memoir vi restiamo incollati, intraprendendo un volo pindarico nelle idiosincrasie della famiglia Raimo: un padre ipocondriaco che innalza muri, una noia infinita che porta due fratelli a rifugiarsi nelle parole, prima lette poi scritte, una madre che non è in grado di comunicare con sua figlia, degli uomini, che già da sé vuol dire tutto, una vita costruita da ricordi disfunzionali in cui non c’è Niente di vero, anche se forse in realtà, di vero c’è tutto.

Rebecca Ramacciotti

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