Zootropolis, il film Disney che non ti aspetti

Ormai al cinema se ne vedono di tutti i colori per quanto riguarda l’animazione. Con l’avvento delle tecniche digitali anche piccole case produttrici sono capaci di mettere in cantiere e distribuire film animati − spesso male −, altre piccole case rimangono specializzate in tecniche più tradizionali − la Laika Entertainment, ad esempio, con la stop-motion.

Walt-Disney-Screencaps-Walt-Disney-Studios-walt-disney-characters-35853313-5000-2813Ma dopo tutto questo tempo il più grande colosso dell’animazione, la Disney, che per la prima volta ha portato nelle case della gente il primo lungometraggio d’animazione, Biancaneve e i sette nani (ricordiamo che all’epoca questa idea del caro Walt era considerata un suicidio economico, una mossa rischiosissima mai provata prima) rimane in piedi, e tralasciando vari contratti che portano oggi sotto il “controllo” di questa grande casa produttrice alcuni famosi marchi − Marvel e Star Wars, per citare i più celebri −, i loro film d’animazione continuano a uscire, anche se spesso il guadagno non è stratosferico. Ciò non è nuovo alla casa di produzione che, nel corso della sua lunghissima carriera, ha avuto diverse tribolazioni, come alla fine degli anni ’50, quando rischiò persino la bancarotta a causa del flop de La bella addormentata nel bosco.

Ma al di là di questo, in molti percepiscono ultimamente una “caduta di stile” da parte della Disney, altri una “mancanza di idee” o più in generale la “noia” che scaturisce dalla visione di alcuni loro ultimi film. Certo è che, dopo il “rinascimento Disney”, inaugurato con La sirenetta e che trova ne Il re leone il suo apice − oltre che, probabilmente, il più bel film Disney mai prodotto − è difficile mantenere le aspettative così alte. La principessa e il ranocchio ci aveva provato nel 2009, riproponendo stile a atmosfere che ricordano molto gli anni ’90, facendo anche un bel lavoro e confezionando un’opera più che piacevole.

zootropolisMa è stato solo quest’anno che la Disney è riuscita finalmente a stupire nuovamente il suo pubblico, con questo Zootropolis, grazie ad un approccio più moderno verso storia e personaggi. Seppur alcune scelte possano essere considerate classiche, come quelle di avere come protagonisti degli animali parlanti − non a caso il Robin Hood del 1973 è stato di grande ispirazione per i creatori −, la trama si espande con decisione e consapevolezza in un universo più adulto. Non si cerca di mascherare la solita, classica storia strappalacrime con un lieto fine per il personaggio principale dietro a poche idee innovative − o sarebbe meglio dire “leggermente non convenzionali” − come qualche anno fa aveva fatto il sopravvalutato Frozen, che cercava di introdurre un concetto sicuramente importante, quello dell’emancipazione femminile, ma che si perdeva in inevitabili coreografie e colori fastosi, con canzoncine dallo stampo troppo classico: una decisione sicuramente mirata a conquistare un pubblico femminile più giovane, niente di nuovo o di malvagio in tutto ciò, ma che al contempo rendeva vane tutte le urla dei fan che celebravano un capolavoro che sicuramente quel film non è.

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Sicuramente Zootropolis è, più di qualsiasi altro film Disney degli ultimi anni, quello che più si avvicina all’olimpo dei film da dover sicuramente rivedere presto, per capire se sia “solamente” un film molto bello oppure un piccolo capolavoro. Sicuramente il potente messaggio anti-razzista lanciato da questo film lo rende un manifesto pungente, moderno e, aggiungerei, purtroppo affatto banale di questi tempi. Sin dai primi minuti uno spettatore navigato e perspicace capisce che il film tratterà questi temi, ma ciò non è necessariamente una fattore negativo, perché anche conoscendo la destinazione finale, è il viaggio che dopotutto diverte durante la visione.

E che visione! Il modo in cui i disegnatori hanno progettato l’omonima città del titolo è sicuramente strabiliante: i diversi habitat, la cura nella rappresentazione di ogni piccolo edificio che miscela la fantasia dello stile animalesco con uno spettacolare realismo: basti citare una scena d’inseguimento nella minuscola città dei topolini. E il lasciarsi trasportare dalla trama accattivante, a tratti profondamente in stile noir, risulta fin troppo facile.

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Ci aveva già provato uno dei registi di questo film, Rich Moore, quando qualche anno fa con il bel Ralph Spaccatutto aveva dipinto un personaggio sfaccettato e dalle motivazioni non banali, un cattivo che non riusciva a trovare conforto nel ruolo che gli è stato assegnato nella società − una sorta di Jack Skeletron del mondo dei videogiochi − ma che lungo la strada finiva per perdersi in manierismi narrativi che non non riuscivano a portare ad una completa catarsi il personaggio e, di conseguenza, lo spettatore. Strano come, alla fine, questi due film presentino come veri cattivi due personaggi simili e poco convenzionali, ma che in quest’ultimo lungometraggio risulta più efficace nel proprio ruolo, grazie ad un discorso più sfaccettato e dal più ampio respiro, che non prende in considerazione solo i rapporti tra i personaggi protagonisti ma addirittura un’intera società utopistica, dove predatori e prede vivono in pace  − da quì il più azzeccato titolo originale Zootopia − ma che, alla fin dei conti, risulta essere una copia critica e spudorata della realtà in cui viviamo. Si tratta di dettagli che i più piccoli spettatori sicuramente non noteranno e che, invece, a noi adulti rimasti sempre un po’ giovani dentro, lascerà al termine della visione soddisfatti, sicuramente non annoiati e finalmente grati nei confronti di uno studio d’animazione che ha passato ruggenti anni di sperimentazione artistica −Fantasia del 1940 ne rimane il più maestoso esempio − alternando storie convenzionali, commoventi, a volte brucianti delusioni, e che ancora oggi si dimostra volenterosa di comunicare ad un pubblico più adulto con film come questi.

noirNon male per un film il cui trailer prometteva soltanto sketch dalla comicità veloce e demenziale, che sembrava non potesse lasciare spazio ad alcun tipo di trama; ma, fortunatamente, come a volte capita, i trailer possono essere fuorvianti. Non temete, le battute non mancano, e fanno anche ridere. Ma al termine della visione non rimarranno sono quest’ultime nella memoria dello spettatore, quanto piuttosto un appetitoso sapore di trama ben congegnata, personaggi sfaccettati e… anche un retrogusto di carota (notoriamente ricca di vitamina A, che, si sa, fa bene alla vista).

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