Verso il 17 aprile tra Sì, No e molto silenzio

Come avevamo già annunciato lo scorso mese, il prossimo 17 aprile si voterà per il Referendum abrogativo riguardo la durata delle concessioni petrolifere entro le 12 miglia dalle coste italiane. Secondo le previsioni raggiungere il quorum non sarà una sfida facile, tra tentativi di boicottaggio, campagne fuorvianti e poca informazione. Per questo è senz’altro necessario fare chiarezza.
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Il primo aspetto che colpisce di questo referendum è che, per la prima volta, non è stato indetto tramite una raccolta firme. Sono infatti stati nove Consigli regionali a richiederlo, con la partecipazione di alcune associazioni ambientaliste già da tempo impegnate nella lotta alle estrazioni. Già questo fatto non ha impedito ai comitati per il no di strumentalizzare la notizia, affermando che l’obiettivo delle Regioni è essenzialmente quello di abrogare l’articolo dello Sblocca Italia che toglierebbe loro potere e competenze. Se questo non può essere del tutto smentito, non necessariamente deve essere visto come un aspetto negativo. Infatti, l’approdo al referendum arriva dopo mesi e mesi di richieste e di ricorsi ma soprattutto di manifestazioni della società civile, associazioni e comitati locali che subiscono direttamente, sul loro territorio e sulla loro pelle, gli effetti di politiche energetiche inefficaci, per non dire inesistenti. Il quadro della situazione è quindi molto più complesso di una semplice riappropriazione di potere da parte degli enti locali, poiché ha a che fare con qualcosa che ci riguarda da vicino, anche se risulta difficile riconoscerlo. È pur vero però che spesso le campagne referendarie prendono una strada un po’ ambigua, dal momento che sembra più importante la quantità di persone da portare dalla propria parte piuttosto che la qualità delle informazioni, riducendo il tutto ad una partita, giocata per di più in modo poco corretto. A meno di un mese dal voto, infatti, vige un’enorme confusione tra gli elettori, costretti a confrontarsi con una materia complessa e delicata come quella dell’energia, strettamente legata ad aspetti economici, politici, e socio-ambientali. Probabilmente un referendum evitabile, se il governo avesse intrapreso un dialogo coerente con le Regioni. Un dialogo che appunto non c’è stato, scatenando una mobilitazione silenziosamente incisiva.asud.net
Innanzitutto c’è da specificare che, in caso di vittoria del sì, non liberemo i mari dalle cosiddette trivelle. Ciò che infatti i cittadini decideranno è se, una volta scadute le concessioni delle diverse compagnie estrattive operanti nel nostro mare, queste dovranno cessare o potranno essere rinnovate fino all’esaurimento del giacimento. Oggetto di voto saranno inoltre solo 21 delle 66 concessioni attive, cioè quelle ubicate all’interno di un raggio di 12 miglia dalla costa, le quali estraggono principalmente gas metano e non petrolio. Chi si oppone al quesito e quindi voterà no, rivendica con forza la motivazione secondo la quale smantellare le estrazioni offshore del comparto italiano porterebbe ad un’ingente perdita di posti di lavoro. Ciò su cui, però, dovremo esprimerci non inciderà sull’occupazione, per l’altro già in netto calo, bensì solo sulla durata delle attività, parola del Prof. Enzo Di Salvatore, insegnante di Diritto Costituzionale presso l’Università di Teramo e uno dei fondatori del movimento No Triv. intervistato dal giornale online Radiopopolare. Di Salvatore aggiunge che “gli effetti di un potenziale sì si faranno sicuramente sentire sui posti di lavori, ma in un arco di 20 anni, cioè tutto il tempo necessario per intraprendere una riconversione energetica a favore di risorse meno inquinanti”.www.fotovoltaicosulweb.it Inoltre, continua il professore, “la decisione del governo di prolungare illimitatamente le concessioni, è in deciso contrasto con le normative europee in materia di libera concorrenza”, quindi la possibilità di agire ora appare quanto più cruciale se questa potrà evitare eventuali infrazioni ed illegittimità, contribuendo a porre già da ora il problema dei posti di lavoro, che comunque non potranno andare avanti per sempre, dal momento che come ben sappiamo gas e petrolio sono risorse finite. Se infatti si dovesse raggiungere il quorum, arriverebbe finalmente il momento di parlare del nostro futuro energetico, cosa di cui dovrebbe occuparsi il mondo politico, che ad oggi non presenta nessun piano sul lungo periodo. Il quesito, pur riferendosi ad un dettaglio, solleva il problema del fabbisogno energetico italiano, soprattutto alla luce dell’accordo di Parigi che chiede al mondo intero l’impegno di contenere la temperatura al di sotto dei 2°. Nonostante nel testo non sia specificatamente citato il termine decarbonizzazione, cioè l’abbandono totale di carburanti fossili, è questo l’obiettivo che, con l’aiuto della scienza, dovremo raggiungere nel 2050.www.eunews.it
Oltre ad un discorso prettamente economico e politico, le ragioni del sì prendono in considerazione anche eventuali disastri ambientali. Il fatto che non ci siano stati finora, non implica necessariamente che le nostre piattaforme siano completamente sicure, se pensiamo soprattutto che la maggior parte di queste hanno ormai più di 40 anni. I controlli ci sono, nessuno lo nega, e un disastro simile a quello avvenuto nel Golfo del Messico sarebbe impossibile data l’assenza di giacimenti con simili volumi e profondità, quindi non facciamoci prendere dal panico dando ascolto ad inutili allarmismi. In questi casi quello che più conta è il buon senso: non possiamo escludere incidenti. È di appena qualche giorno fa la notizia del guasto di una piattaforma a soli 7 chilometri dalle coste delle isole Kerkennah, in Tunisia. Il malfunzionamento, che ha causato la fuoriuscita di petrolio, va a colpire un habitat profondamente legato a pesca e turismo che si trova ad un centinaio di chilometri da Lampedusa. La problematica, quindi, oltre ad essere ambientale, colpisce diversi settori fondamentali per l’economia. Facile capire come la situazione delle Kerkennah si possa trasporre su ampia scala nel nostro Paese, per il quale il turismo è essenziale.

Infine, quello che appare ormai molto chiaro è la palese incoerenza del nostro Governo: una doppia faccia che da un lato afferma di voler innovare il Paese, dall’altro rimane ancorato a meccanismi e giochi politici che di nuovo non hanno proprio nulla.www.ejoujo.eu I tentativi di far fallire il referendum del 17 aprile sono ormai sotto gli occhi di tutti, così palesi che resta solamente da chiederci: perché continuare ad investire in gas e petrolio se le nostre risorse sono così scarse? Perché, come si domanda il Fatto Quotidiano Insider, perfino il ministero dell’ambiente e quello dello sviluppo economico non ne fanno parola, se a maggior ragione sono loro gli enti competenti per il rilascio delle autorizzazioni? Quello che è certo è che il referendum è scomodo, per cui meglio non parlarne affatto. Erri De Luca in uno dei suoi ultimi contributi alla campagna per il sì afferma che il referendum si trova in “piena clandestinità di informazione”, una vera e propria censura che poco si accorda con gli ideali di libertà e democrazia di cui si fa portatrice l’Italia. L’informazione, quella onesta, degna di questo nome, è la cosa di cui abbiamo più bisogno al momento e allo stesso tempo quella che più manca. Ciò che sappiamo è che il 17 aprile si voterà senza se e senza ma: i bisogni energetici continueranno ad aumentare e il problema di come soddisfarli sarà sempre più concreto, purtroppo quelli che non vogliono riconoscerlo sono proprio coloro che dovrebbero risolverlo.

Le immagini sono state prese da: asud.net, www.eunews.it, www.fotovoltaicosulweb.it, www.rinnovabili.it, www.ejoujo.eu, www.interno.gov.it

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