Dietro la penna di Hans Christian Andersen

La mia vita è stata scandita dalla lettura fin da piccola. Leggevo avidamente tutto ciò che mi capitasse per le mani, perfino le riviste che avevano le mie nonne. Leggevo, ma guardavo anche i cartoni animati, mi piacevano quelli della fascia pomeridiana e anche quelli in videocassetta, i cari vecchi videoregistratori, quanto tempo è passato. Nella mia cameretta ci sono ancora tante VHS, molte della Disney. Sono una figlia degli anni ’90 e per uno dei miei compleanni (credo per i sei o sette anni), ricevetti la videocassetta de La Sirenetta che – ancora oggi – continua a rimanere uno dei miei film d’animazione preferiti. Sono molto attaccata al mare, forse per via della mia terra natìa, e ho un amore particolare per il mondo marino. Nella mia infanzia ricevevo anche libri e uno mi è stato donato da una cara prozia che conosce bene il mio insaziabile desiderio per la lettura. Questa prozia mi regalò un libro di fiabe molto speciale, si intitolava Le più belle fiabe di Andersen, pieno di immagini colorate e alcune tra le più note fiabe dello scrittore sopracitato. Sono quasi sicura di avere visto prima il cartone animato disneyano e, soltanto dopo, avere letto la vera storia de La Sirenetta, proprio in quel libro. Un po’ mi era dispiaciuto, poi, col tempo, ho iniziato a comprendere bene la distanza fra adattamento cinematografico e le storie, ho studiato la fiaba in sé come narrazione e ne ho lette molte. La fiaba ha una grande dignità: è antica, ha una tradizione popolare e orale, e occorre omaggiare tutti coloro che hanno avuto la pazienza e la voglia di trascriverle e di inventarne di nuove, proprio come l’autore di questo mese. A tal proposito, torniamo alla sirenetta. Nel finale della fiaba (spero che lo conosciate, sennò andate a leggere questo capolavoro) non c’è nessun matrimonio tra la dolce sirena e il principe umano. Proprio no. Ma c’è molta narrazione poetica e il lettore percepisce il dolore della sirenetta, il senso di solitudine e tristezza che la attanaglia. Lo stesso senso l’ho ritrovato nella statua di bronzo de La Sirenetta che si trova all’ingresso del porto di Copenaghen: la sirenetta guarda verso il mare e, davvero, osservandola, sembra di percepire l’apice della malinconia.

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Dietro una grande opera c’è ovviamente un grande scrittore ed è chiaro che, aprendo il sipario, dietro le quinte, troveremo Hans Christian Andersen che fu uno dei primi autori a scrivere delle fiabe originali. Molte fiabe le scrisse basandosi sulle storie narrate dalle vecchie filandaie di Odense, sua città natale, ma molte scaturirono dal suo genio. Utilizzò fatti a lui accaduti o luoghi in cui visse, per esempio nella sua casa d’infanzia c’era il giardino di sua madre e uno simile si trova nella fiaba La regina delle nevi. Andersen non ebbe vita facile. Oggi lo ricordiamo e lo elogiamo, ma forse in pochi sanno che la sua vita fu proprio come una fiaba, con tanto di esordio, movente, peripezie dell’eroe e conclusione, per seguire lo schema di Propp. Ha avuto fortuna, Andersen, ma anche tante sfortune e forse fu proprio questo uno dei motivi per cui scrisse Il brutto anatroccolo. Pensate, per esempio, che quando nel 1844 andò in Germania, volle incontrare i fratelli Grimm. Si fece ricevere da Jacob che, al contrario di Hans Christian, non sapeva affatto chi fosse. Per fortuna, Jacob Grimm scoprì qualche mese dopo chi fosse l’uomo che era andato a fargli visita.

Hans Christian Andersen nasce il 2 aprile del 1805 a Odense, nell’isola di Fionia in Danimarca. Il nome della città vien da Odino, il dio pagano che – secondo la tradizione – avrebbe vissuto in quella città. Il padre di Andersen era un ciabattino, anche se avrebbe voluto tanto frequentare il ginnasio e studiare. Andersen passava molto tempo con suo padre, andavano a passeggiare soprattutto d’estate e il padre gli leggeva la Bibbia, racconti, commedie e libri di storia. Ben presto, però, la figura paterna verrà a mancare: Andersen padre si arruola come soldato nel momento in cui la Danimarca appoggia Napoleone. Torna poco dopo e fin da subito gli effetti della guerra si fanno sentire tanto da arrivare alla morte. Dopo la morte del marito, la madre di Andersen va spesso a lavorare per garantire il pane a casa e Andersen passa molto tempo da una vicina di casa il cui fratello è un poeta. Andersen perde il padre, ma non la sua voglia di fantasticare, leggere e creare tanto che scrive una tragedia intitolata Abor ed Elvira. Per evitare che il figlio passi le giornate senza far nulla, Maria, la madre, decide che è arrivato il momento di far lavorare Hans in una fabbrica. Ma nemmeno lì, l’amore per il teatro e per la lettura si affievoliscono: Hans allieta i lavoratori cantando e recitando. Tuttavia, anche lì Hans è costretto a subire delle cattiverie. Aveva una voce molto sottile, femminile, e per questo fu preso in giro tanto che fuggì a casa e non mise mai più piede dentro la fabbrica. Dall’altro lato, la madre sposò in seconde nozze un artigiano, un uomo che permetteva ad Hans di fare quello che voleva.

Dopo qualche anno, Hans comincia a frequentare la scuola dei poveri. Lì si accorge di avere delle gravi carenze in molte materie e di non conoscere bene l’ortografia. Nonostante ciò, però, per le sue doti canore e di recitazione, viene accolto dalle buone famiglie di Odense per intrattenere i commensali. Dopo la cresima, Hans conta i suoi denari: possedeva ben tredici talleri d’argento e decise di intraprendere un viaggio verso la capitale. Hans si fece scrivere una lettera di presentazione da un editore di Odense per presentarsi a Madame Schall, prima ballerina di Copenaghen, che Hans aveva visto a teatro nella sua città. Il 6 settembre 1819 Andersen arriva nella capitale, animato da un forte ottimismo. Lì avrebbe potuto fare ciò che amava, dedicarsi al teatro e al canto, Copenaghen gli avrebbe aperto la strada. Questo secondo i suoi pensieri e le sue fantasticherie. Madame Schall lo ricevette nella sua casa, ma quando Hans cominciò a cantare e recitare, dimenandosi così tanto che la ballerina lo credette matto e lo congedò. Dopo tutta quella umiliazione, una persona debole non avrebbe retto e, invece, il nostro eroe decide di trovare un lavoro a Copenaghen perché il pensiero di tornare a Odense e, quindi, ammettere che avesse fallito lo intimoriva di più di qualunque altra cosa. Hans trova un lavoro da apprendista presso uno stipettaio, ma come era accaduto a Odense, per via della sua figura fragile e femminea, viene preso in giro e, non potendolo sopportare, lascia il lavoro. Nonostante tutto, un briciolo di forza rimane nello scrittore: decide di raggiungere la casa del tenore italiano Giuseppe Siboni, che poi diventerà il direttore del Conservatorio di Copenaghen. Siboni prova simpatia per Hans e gli concede un’audizione, loda la sua prova canora e gli permette l’ammissione alla scuola di canto e di ballo del Teatro Reale Danese come soprano. Tuttavia, la sfortuna continua a perseguitare il povero Andersen, la sua voce cambia e sarà costretto ad accantonare il ruolo. Grazie alla frequentazione del teatro, Andersen conosce personalità di spicco tra cui Jonas Collin, direttore del teatro, e il re Federico VI che lo iscrive a sue spese alla scuola di grammatica e latino di Slagelse. Anche qui Hans è costretto a trovare il nemico di turno, il direttore Meisling che non manca mai di rimproverarlo e di definirlo stupido e ignorante. Meisling è un uomo strano: nonostante le critiche al giovane Hans, lo porta con sé quando diviene direttore della scuola di teatro di Elsinore. A questo punto si potrebbe pensare che in realtà Meisling agisse per il bene del ragazzo e che gli volesse bene, invece continua a trattarlo male al punto da spingere Andersen a lamentarsene con Collin che lo fa ritornare a Copenaghen. Nel 1828, Andersen si iscrive all’Università presso la facoltà di Filosofia.

È proprio all’università che Hans comincia a essere famoso tra i suoi compagni, stampa a sue spese Viaggio a piedi dal canale di Holm al capo orientale di Amack i cui diritti vengono poi acquistati da un editore che lo ristampa. La produzione di Andersen è immensa e poliedrica: non è solo uno scrittore di fiabe, ma di romanzi, di adattamenti teatrali e di poesie. Nel 1833 ottiene una borsa di studio per viaggiare in Italia e in Francia. Visita Milano, Genova, Roma, si spinge fino a Napoli. Torna a Roma il 20 marzo 1834 e festeggia il suo compleanno a Montefiascone (VT). Il suo viaggio continua visitando Firenze, Siena, Bologna e Venezia che inizialmente non gli fece una buona impressione. Il viaggio italiano gli ispirò il suo romanzo L’improvvisatore, pubblicato nel 1835. Sempre in quell’anno, Andersen pubblicò il suo primo libro di fiabe che non ebbe molto successo: lo scrittore venne criticato negativamente, ma per fortuna ci si accorse ben presto della grande abilità di Andersen tanto che nel novembre del 1867 fu convocato a Odense per una festa in suo onore.denmark-960239_1920

La famiglia di Andersen era molto religiosa, il padre gli leggeva la Bibbia e questo profondo spirito di religiosità fu trasmesso anche al figlio da parte di entrambi i genitori. Nelle sue fiabe, in traduzione originale e non rivisitata, c’è sempre una menzione a Dio, anche nelle fiabe più famose come La Sirenetta e La regina delle nevi, o anche in quelle meno famose come Il paradiso terrestre o L’angelo. Andersen afferma di non avere mai perso la speranza perché credeva in Dio ed era certo che il Signore avesse grandi piani per lui. Tuttavia, bisogna anche considerare che la famiglia di Andersen era umile e Odense una città piccola, gli abitanti erano superstiziosi oltre che religiosi. Prima che Hans partisse per Copenaghen, la madre chiamò una vecchia per far sì che predicesse il futuro del figlio attraverso la lettura delle carte e dei fondi del caffè. L’anziana disse che la città di Odense, un giorno, sarebbe stata illuminata a festa. Ed ecco che torniamo al 1867, precisamente al 6 dicembre, giorno in cui si tenne la festa per Andersen. I bambini non andarono a scuola, la città era illuminata, tutta la popolazione cantava in onore di Andersen, la città gremita di decorazioni. I bambini recitarono una poesie per lo scrittore e fu creato un busto a immagine di Hans. Allo scrittore venne conferita anche la cittadinanza onoraria. Quella festa, probabilmente, fu un gran riscatto per Andersen che ebbe una vita travagliata, ma come nelle fiabe, con un pizzico di fortuna e qualche aiutante, riuscì a cavarsela egregiamente e a diventare l’icona che oggi continuiamo ad ammirare.

«Era troppo felice, ma niente affatto fiero, perché un cuore buono non è mai fiero! Pensava a quanto era stato perseguitato e insultato, e ora sentiva tutti dire che era il più splendido di tutti quegli splendidi uccelli; e i lillà gli si inchinavano con i rami fin giù nell’acqua, e il sole splendeva così caldo e bello, allora le sue piume frusciarono, il collo snello si alzò e con tutto il cuore esultò: Tanta felicità non la sognavo quando ero il brutto anatroccolo».

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