I quadernini di Milano | Intervista a Thomas Pololi

Ho scoperto Quadernini parecchi anni fa, durante il mio perpetuo procastinare su Tumblr. Il formato orizzontale, ordinato, con le pagine sempre centrate su sfondo rosa li ha resi subito accattivanti e riconoscibili nel flusso ininterrotto di immagini della dashboard − tra i miei preferiti ce n’è, forse senza sorprese, uno un po’ diverso dal solito su Italo Calvino. Perché Quadernini è questo: un’enorme raccolta di temi, compiti a casa ed esercizi scolastici, la memoria collettiva nei nostri errori e delle nostre vacanze, di quello che siamo stati da bambini e di come lo abbiamo raccontato, di quello che avremmo voluto fare da grandi e di quanto è accaduto all’Italia nel frattempo.

In questo momento il progetto si è spostato dal web all’Ex Fornace: è cominciata infatti il 25 novembre la mostra I quadernini di Milano, dove le stampe si accompagnano alle trascrizioni dei temi, a quaderni sfogliabili fisicamente e virtualmente, dove è possibile recuperare e seguire il filo della storia − quella dell’educazione, certo, ma anche dell’Italia tutta, dagli inizi fino agli ultimi anni del Novecento. Questa mostra è «per metà un punto di arrivo», ci racconta Thomas Pololi, l’uomo dietro le pagine dei Quadernini, «per questo abbiamo voluto che fosse un evento gratuito. Le persone, i locali  e le realtà di Milano ci hanno sostenuto tanto: questo è il doveroso regalo che noi facciamo alla città. È allo stesso tempo, però, il punto di slancio per molti progetti futuri».

sitoooookI primi quaderni che hai raccolto sono stati quelli di famiglia o di sconosciuti?
Sono stati i miei, a dire il vero! È iniziato tutto nel 2004: era il periodo dei primi blog qui a Milano e c’era una “Festa delle medie” alla Trattoria Da Lina, un posto rimasto un po’ come una volta. All’epoca avevo ventidue anni, mentre gli altri erano tutti un po’ più grandi di me, quindi negli anni Ottanta andavo ancora alle elementari: per questo ho pensato di portare e leggere i temi che avevo scritto allora. La cosa ha avuto parecchio successo, così ho pensato di iniziare a raccogliere anche i quaderni di amici e conoscenti; non avevo ancora un progetto di questo tipo in mente, era tutto molto amichevole e spontaneo. A un certo punto, quando ne ho avuti circa un centinaio, ho iniziato a scannerizzarli e a metterli su un blog.

È stato così che sono arrivati i primi contenuti esterni?
Esatto. Quando ho aperto il blog ero ancora da solo, perciò ho cominciato a chiedere a chi mi seguiva o leggeva di contribuire alla raccolta. Fin dall’inizio, insomma, avevo l’idea di avviare un percorso partecipato via internet, mentre il progetto vero e proprio è partito nel 2011. Nel frattempo, ho iniziato a studiare fotografia e a fare il reporter, e sono anche cominciati i reading  di temi scelti, con l’aiuto di altre persone e in giro per i locali.

Sempre qui a Milano?
Sì, noi siamo di base qui, e un terzo circa dei quaderni che abbiamo raccolto in questi anni sono di Milano. Alcuni reading siamo riusciti a organizzarli anche a Torino e Bergamo, ed è così che il progetto ha iniziato a circolare molto di più. Nel frattempo, mi sono accorto che le scansioni non funzionavano più molto bene e che fotografare i quaderni poteva invece essere la soluzione migliore; in quel periodo abbiamo cominciato a pubblicarle anche su Facebook.
L’associazione è venuta un po’ più tardi, nel 2014, con l’aiuto di Anna, che si occupa soprattutto della parte relativa ai bandi e al fundraising. Così abbiamo potuto cominciare a finanziare un progetto che era diventato sempre più impegnativo e oneroso sia in termini di tempo sia di risorse − per esempio, la questione della digitalizzazione: al momento abbiamo circa seimila foto, ma per riuscire a digitalizzare tutto il materiale che abbiamo dovremmo farne almeno cinquantamila, e bisogna tenere in conto quelli che continuano ad arrivare.

 È diventato quindi il tuo lavoro a tempo pieno?
Praticamente sì. Di fatto, io faccio il freelance e  ho dei lavoretti che mi mantengono, perché al momento il progetto non è ancora autofinanziato in modo pieno.

In quanti siete a lavorare al progetto?
Principalmente noi due [indica Anna], poi ci sono molte persone che collaborano alle diverse attività. Per esempio, quando facciamo i reading c’è una compagnia teatrale, per la parte del laboratorio c’è La Grande Fabbrica delle Parole, per la parte di ricerca, digitalizzazione e catalogazione c’è l’Università cattolica con il Dipartimento di Pedagogia e l’Archivio del Lavoro.
In più, poco tempo fa siamo stati a Siviglia, su invito di una rete di ricercatori che si occupa di Storia dell’educazione.  Stiamo cercando di far partire lo stesso nucleo di progetto anche in altri Paesi, soprattutto in Spagna e Inghilterra, e la mostra stessa qui a Milano è stata pensata per poter essere rimodulata e adattata. Ci vorrà del tempo, sono processi delicati soprattutto perché si dovrà passare a un’altra lingua e la traduzione dei contenuti richiederà molto impegno, soprattutto per gli errori, che sono legati al linguaggio e alla cultura. Ci vuole un traduttore pazzesco per tradurre un errore! [ride] Di sicuro sorgeranno molte difficoltà, ma abbiamo anche capito di avere tante energie.

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In parte mi hai risposto all’inizio, quando hai raccontato come è nata l’idea di Quadernini. Dato che sono esposti esercizi di calligrafia e di aste e molte copertine, anche l’elemento estetico è diventato importante? 
Inizialmente l’essenziale era il contenuto, certo, perché son partito dai temi che ho scritto io da piccolo e in quel periodo ero interessato soprattutto alla scrittura. Poi, avendo iniziato a fare fotografia e a occuparmi sempre di più di grafica, ho cominciato a dare rilievo anche al valore estetico dell’oggetto quaderno, ma non ero ancora riuscito a capire come farlo cogliere anche agli altri. In questo, l’adozione di un format gradevole e l’uso di una piattaforma pensata soprattutto per le immagini ha aiutato: quando facciamo le raccolte di copertine spaziali abbiamo un grande successo su Tumblr.
Il valore storico lo abbiamo capito ancora più avanti, quando siamo entrati in contatto con dei ricercatori.

Hai incontrato anche alcuni autori?
Molti! La maggior parte dei quaderni esposti ce li hanno dati persone con cui siamo in contatto. In più, insieme a La Grande Fabbrica delle Parole, un laboratorio di scrittura creativa per bambini, abbiamo organizzato ad aprile, in occasione del Settantesimo della Liberazione, alcuni incontri nei quali abbiamo portato e letto in classe il quaderno di una signora che viveva a Milano nel 1944-45. Sono dei temi stupendi, in realtà nemmeno tanto concentrati sulla guerra, più sulla vita quotidiana e gli animali e i giochi, tutto scritto in modo meraviglioso. Abbiamo anche organizzato l’incontro tra i bambini e questa signora, sempre rileggendo e usando il quaderno come ponte,  perché nel tema è un bambino a parlare, perciò è più facile per loro riconoscersi e porre delle domande che magari a noi non verrebbero mai in mente.

E qualcuno invece si è riconosciuto nei quadernini che avete pubblicato negli anni?
Questo non ci è mai capitato, anche perché in genere i quaderni sono la prima cosa a essere buttata una volta che si cambia o si finisce la scuola. In ogni caso, penso sarebbe molto difficile riconoscere un proprio tema, non solo per la grafia, ma soprattutto per i contenuti: molti hanno dimenticato completamente di essere stati scolari e l’unico modo concreto per ricordarlo è, a tutti gli effetti, il quaderno. Esiste una progressiva eliminazione del periodo dell’infanzia, ci si allontana tantissimo da tutte le sensazioni che si sono provate ed è praticamente impossibile recuperarle.

Quando mi imbatto in un mercatino, la prima cosa da cui sono attratta sono le vecchie stampe o le fotografie degli sconosciuti. Ti è mai capitato di trovare un quadernino così?
Non in mercati reali, ma ne trovo spesso online su siti di antiquari o i loro negozi eBay. È difficilissimo scovare quelli più antichi o averli dalle persone, perché pochi conservano i quaderni dei propri bisnonni. La situazione ideale è quella di una famiglia che vive ancora in centro città, magari borghese, di modo che abbia studiato e abbia una soffitta capiente e, cosa fondamentale, che non abbia mai traslocato, perché di solito è così che i quaderni vanno persi e buttati.

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Nel contatto con i bambini “di adesso” hai notato delle differenze rispetto a quelli che hanno scritto questi quadernini in passato?
Le tracce sono rimaste uguali: l’ultima volta che siamo stati in classe abbiamo letto anche dei temi di fine degli anni Settanta, tra cui uno sulla paura, e uno dei temi scritti da poco da quegli studenti aveva come titolo “Di cosa hai paura?”. Diciamo che esistono dei classici, come la traccia sui genitori, gli animali, i giocattoli preferiti… Sarebbe possibile ricostruire l’evoluzione delle vacanze in Italia grazie solo ai temi, per esempio. Sarebbe un esperimento interessante.

Mi è piaciuto moltissimo l’astuccio in legno gira pagine!
Vero? Ci hanno aiutato i nostri amici di Goofy Goober project, che hanno sviluppato il software. All’inizio doveva essere una video−installazione, ma ci è piaciuta l’idea di continuare a collegare la tecnologia all’elemento cartaceo, a un oggetto antico, al quaderno fisico. Se avessimo fatto una mostra di soli oggetti da vedere non penso avrebbe trasmesso la stessa cosa. Il contenuto dev’essere elaborato e ritrattato perché possa emergere davvero.
A questo proposito, per me è molto importante la collaborazione con la cartiera Arbos: con loro abbiamo ideato e progettato questi quaderni, che da dicembre saranno distribuiti in tutta Italia, nelle cartolerie e nelle librerie. Ognuno è dedicato a un decennio e contiene un inserto con una selezione di testi e disegni e una piccola spiegazione del progetto, con una call to action a partecipare con i propri quaderni. Quando saranno pronti tutti e dieci i decenni, li raccoglieremo in un cofanettone per il 2016. Non volevamo fare un libro, ci è sembrata molto bella l’idea di fare dei quaderni dei quaderni.
Ci tengo a parlarne perché è la coniugazione di un progetto culturale con uno imprenditoriale: visto che si parla tanto  di come si possa oggi finanziare la cultura, noi siamo la dimostrazione che è possibile farlo con l’aiuto di un’azienda illuminata e attenta ai progetti culturali. L’essenziale è trovare modi alternativi e originali, soprattutto in questo momento.

Se puoi sbilanciarti: hai un quadernino preferito tra quelli esposti?
Ce n’è più di uno, quello della signora milanese di cui dicevo prima, per esempio. E poi quello di Miguel Bosé.
È anche il mio!

A noi I quadernini di Milano è piaciuta tanto. Abbiamo anche cercato di ripassare le basi − e non c’è niente da fare, passano gli anni ma l’h maiuscola è difficile come il primo giorno.

2015-11-30 08

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L’immagine in evidenza è di proprietà di Quadernini, a cui vanno tutti i diritti.

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